Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 1317 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 1317 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4831/2018 R.G. proposto da
COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME, rappresentati e difesi, congiuntamente e disgiuntamente, dal prof. avv. NOME COGNOME dall’avv. NOME COGNOME e dall’avv. NOME COGNOME ed elettivamente domiciliati presso lo studio del primo in Roma, INDIRIZZO
-ricorrenti –
contro
COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME, rappresentati e difesi dagli avv.ti prof. NOME COGNOME e NOME COGNOME ed elettivamente domiciliati in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME
-controricorrente –
COGNOME, COMPARATO NOME e COMPARATO COGNOME, eredi legittimi di COGNOME NOME; COGNOME NOME; COGNOME NOME, erede di San Filippo Rosario e NOME, a loro volta eredi di San Filippo Giuseppe;
-intimati –
Avverso la sentenza non definitiva n. 1368/2017 della Corte d’Appello di Palermo, depositata il 17/7/2017 e non notificata; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18 dicembre 2023 dalla dott.ssa NOME COGNOME
Rilevato che:
Con sentenza n. 402/2011 del 31 marzo-7 Aprile 2011, il Tribunale di Agrigento rigettò la querela di falso proposta da COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME COGNOME e COGNOME NOME avverso il testamento pubblico di NOME COGNOME ricevuto dal notaio NOME COGNOME COGNOME Montechiaro il 24 Aprile 1981, non essendo stata raggiunta la prova della dedotta falsità che aveva riguardato la presenza dei testimoni nel momento in cui il notaio aveva raccolto le ultime volontà del testatore.
Il giudizio d’appello, incardinato da COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, nel quale si costituirono i soli COGNOME NOME e COGNOME, mentre rimasero contumaci COGNOME NOMECOGNOME NOME e COGNOME NOME, quali eredi di COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, che erano rimasti contumaci anche in primo grado, si concluse con la sentenza n. 1368, depositata il 17 luglio 2017, con la quale la Corte d’appello di Palermo riformò la sentenza
impugnata, dichiarando la falsità del testamento pubblico di NOME COGNOME nella parte in cui la notaio NOME COGNOME di Palma di Montechiaro aveva affermato che il testatore NOME COGNOME le aveva esposto le sue volontà alla presenza dei testi e ordinò la cancellazione, dal suddetto testamento pubblico, delle parole ‘ alla presenza dei testi ‘ dalla frase ‘ il quale signore comparso della cui identità personale io notaio sono personalmente certa alla presenza dei testi mi espone le sue volontà per quando avrà cessato di vivere ‘.
2. Contro la predetta sentenza COGNOME Rosario, COGNOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME Franco, quali eredi legittimi (moglie e figli) di COGNOME, propongono ricorso per cassazione sulla base di sette motivi illustrati anche con memoria. Si difendono con controricorso, illustrato anche con memoria, COGNOME NOME Cesare Maurizio, COGNOME NOME, COGNOME COGNOME NOME COGNOME, eredi di COGNOME NOME, e COGNOME NOME , quest’ultimo anche quale erede di COGNOME NOME mentre sono rimasti intimati COGNOME NOME, NOME e NOME NOME, quali eredi legittimi (moglie e figli) di NOME NOME COGNOME NOME e COGNOME NOME, quale erede di COGNOME NOME e NOME, a loro volta eredi di COGNOME NOME .
Considerato che :
1.1 Con il primo motivo di ricorso, si lamenta la violazione dell’art. 100 cod. proc. civ., con riferimento all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito omesso di pronunciare il difetto di interesse ad agire degli attori, posto che la falsità della frase riguardante l’assenza dei testimoni non avrebbe determinato la nullità della scheda testamentaria, né
avrebbe consentito l’attribuzione agli attori di alcuna utilità pratica. Infatti, ad avviso dei ricorrenti, alla stregua dell’art. 603 cod. civ. e della legge notarile, non occorre, ai fini della validità del testamento, che i testimoni siano ininterrottamente presenti alla redazione della scheda, essendo sufficiente che dell’atto sia data lettura alle parti, in presenza di testimoni, se questi siano intervenuti.
1.2 La censura è infondata.
La querela di falso, sia essa proposta in via principale ovvero incidentale, che si connota quale processo a contenuto oggettivo con prevalente funzione di protezione dell’interesse pubblico all’eliminazione di documenti falsi dalla circolazione giuridica (Cass., Sez. L, 3/6/2011, n. 12130), ha il fine di privare un atto pubblico (od una scrittura privata riconosciuta) della sua intrinseca idoneità a “far fede”, a servire, cioè, come prova di atti o di rapporti, mirando così, attraverso la relativa declaratoria, a conseguire il risultato di provocare la completa rimozione del valore del documento, eliminandone, oltre all’efficacia sua propria, qualsiasi ulteriore effetto attribuitogli, sotto altro aspetto, dalla legge, e del tutto a prescindere dalla concreta individuazione dell’autore della falsificazione, sicché la relativa sentenza, eliminando ogni incertezza sulla veridicità o meno del documento, riveste efficacia “erga omnes”, e non solo nei riguardi della controparte presente in giudizio (Cass., Sez. 1, 20/6/2000, n. 8362).
Come questa Corte ha avuto modo di affermare, è legittimato a proporre querela di falso chiunque abbia interesse a contrastare l’efficacia probatoria di un documento munito di fede privilegiata in relazione ad una pretesa che su di esso si fondi, non esclusa la stessa parte che l’abbia prodotto in giudizio (Cass., Sez. 1, 17/4/1997, n. 3305; Cass., Sez. 2, 15/11/1971, n. 3260), e,
dunque, chiunque intenda conseguire una certezza, quanto alla falsità o genuinità di un documento, nei confronti di chi abbia inteso concretamente avvalersi di esso, sicché difetta l’interesse ad agire, con riferimento al tema della certezza dell’autenticità dello scritto, quando essa è già esistente, in quanto consacrata in un provvedimento giurisdizionale divenuto cosa giudicata (Cass., Sez. 1, 3/8/2017, n. 19413), oppure quando sopravvenga l’irrilevanza del documento rispetto alla definizione del processo (Cass., Sez. 1, 7/6/1988, n. 3880).
Ciò significa che l’interesse ad agire ex art. 100 cod. proc. civ., che consiste nell’esigenza di ottenere un risultato utile, giuridicamente apprezzabile e non conseguibile senza l’intervento del giudice mediante la rimozione di uno stato di incertezza oggettiva sull’esistenza del rapporto giuridico dedotto in causa (Cass., Sez. 1, 30/7/2015, n. 16162), non implica nella querela di falso, al pari di quanto accade in genere per le azioni di accertamento, l’attuale verificarsi della lesione d’un diritto o una contestazione, essendo sufficiente uno stato di incertezza oggettiva sull’esistenza di un rapporto giuridico o sulla esatta portata dei diritti e degli obblighi da esso scaturenti, non superabile se con l’intervento del giudice, oltre a identificarsi nell’esigenza di eliminare lo stato di incertezza obiettiva (Cass., Sez. 3, 28/7/1972, n. 2591) che deriva dalla veridicità del documento posto a fondamento dell’altrui pretesa, senza che la sua esistenza, secondo un giudizio da svolgersi a posteriori, possa essere condizionata dagli esiti dell’accertamento richiesto, allorché questo limiti la falsità ad una parte solo del documento esaminato, senza estenderla alla sua integralità.
Ciò comporta che a nulla rileva l’incidenza che la parziale falsità del testamento possa avere sulla delazione testamentaria, dovendo le conseguenze dell’esito della querela di falso , proposta
nella specie in via incidentale, essere decise nell’ambito del giudizio principale.
Ne consegue l’infondatezza della censura.
2.1 Con il secondo motivo di ricorso, si lamenta la violazione dell’art. 603 cod. civ., dell’art. 654 cod. proc. pen., 48 legge notarile 16 febbraio 1913, n. 89, con riferimento all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito omesso di ricostruire i diversi momenti in cui si articola la redazione del testamento pubblico e avere ignorato l’efficacia probatoria degli accertamenti eseguiti in sede penale. Ad avviso dei ricorrenti, i giudici di merito, per un verso, avevano fatto confusione sulle tre fasi in cui si articola la redazione del testamento alla presenza di testimoni (ossia quella della raccolta delle ultime volontà, quella della redazione della scheda e quella della sua lettura), non avendo chiarito quando i testimoni si sarebbero allontanati, posto che gli stessi figuravano nell’intestazione dell’atto da loro poi sottoscritto, e, per altro verso, avevano trascurato sia le prove testimoniali acquisite nel corso del procedimento penale, benché escludessero tutte che la sottoscrizione dei testimoni fosse avvenuta prima della redazione della scheda testamentaria, sia gli esiti del giudizio abbreviato che aveva assolto gli imputati, in contrasto con quanto sancito dall’art. 654 cod. proc. pen., che regola l’efficacia della sentenza penale resa all’esito del dibattimento in relazione a diritti e interessi legittimi fondati sui medesimi fatti materiali oggetto del giudizio penale. A quest’ultimo riguardo, i ricorrenti hanno evidenziato come i giudici di merito, ancorché tenuti a considerare gli esiti del giudizio penale e, in caso di sua mancata condivisione, ad esprimere i motivi della scelta, non avevano fatto alcun accenno ad essi, ma avevano riformato le contrarie considerazioni espresse dai giudici di primo grado.
2.2 La censura è infondata.
Occorre, innanzitutto, prendere le mosse dai principi, affermati da questa Corte, secondo cui la conformità del testamento pubblico alle regole formali dettate dall’art. 603 cod. civ. è comprovata dal contenuto dell’atto pubblico, la cui rispondenza al vero permane, quanto alle circostanze che il pubblico ufficiale attesta essersi verificate alla sua presenza, sino a querela di falso, rientrando quindi tra i fatti per i quali il verbale notarile spiega efficacia fidefaciente ex art. 2700 cod. civ. anche la presenza dei testimoni a tutte le operazioni che devono necessariamente intervenire ai fini della valida formalizzazione della volontà del testatore ex art. 603 cod. civ.
Come affermato, anche di recente, da questa Corte, le operazioni attinenti al ricevimento delle disposizioni testamentarie e quelle relative alla confezione della scheda, prescritte dal ridetto art. 603 cod. civ. e riassumibili nella a) dichiarazione della volontà del testatore alla presenza dei testimoni, nella b) riduzione di essa per iscritto a cura del notaio, nella c) lettura dell’atto al testatore ed ai testimoni, e nella d) menzione dell’esecuzione di tali formalità, ‘sono idealmente distinte e, pertanto, possono svolgersi al di fuori di un unico contesto temporale; in tal caso, qualora la scheda sia predisposta dal notaio, condizione necessaria e sufficiente di validità del testamento è che egli, prima di dare lettura della scheda stessa, faccia manifestare di nuovo al testatore la sua volontà in presenza dei testi ‘, mentre l’osservanza della duplice formalità, data dalla dichiarazione di volontà del testatore e dalla lettura della stessa, una volta riportata per iscritto, da parte del notaio, entrambe da eseguire alla simultanea presenza del notaio, del testatore e dei testimoni, è finalizzata al raggiungimento della maggiore garanzia di certezza che il contenuto del testamento sia l’eco fedele della
libera e cosciente volontà manifestata dal testatore (Cass., Sez. 2, 31/10/2023, n. 30221; Cass., Sez. 2, 23/1/2017, n. 1649; Cass., Sez. 2, 11/7/1975, n. 2742).
Orbene, i giudici di merito non hanno effettivamente distinto tra le fasi in questione, ma, a ben vedere, neanche vi erano tenuti, atteso che essi non erano affatto chiamati a pronunciarsi sulle ricadute che l’accertata falsità della scheda testamentaria avrebbe avuto sulla delazione ereditaria, ma, prima ancora, a verificare se il valore fidefaciente della scheda testamentaria fosse intaccato da attestazioni non rispondenti al vero, ciò che comporta la sostanziale irrilevanza di questa parte della censura.
Quanto alla rilevanza degli esiti del giudizio penale su quello civile di querela di falso, si osserva quanto segue.
Occorre, sul punto, evidenziare come, secondo quanto già affermato da questa Corte, il codice di procedura penale del 1988, sebbene detti la regola, innovativa e generale, dell’autonomia tra il giudizio civile e quello penale, preveda, con le norme di cui agli artt. 651 e 652 cod. proc. pen., altrettante eccezioni, che, unitamente ai successivi artt. 653 e 654, individuano tre categorie di giudizi, quello (civile e amministrativo) di danno, quello disciplinare, ed infine, genericamente, “altri giudizi civili e amministrativi”, con la conseguenza che, in questi ultimi, a differenza di quelli per danni, la sentenza di assoluzione o di condanna fa indifferentemente stato, tout court , sui fatti accertati dal giudice penale e rilevanti ai fini della decisione (cfr. Cass., Sez. 3, 2/8/2004, n.14770).
In questi ultimi casi, dunque, il giudicato penale ha autorità, ai sensi dell’art. 654 cod. proc. civ., nel giudizio civile quando il relativo oggetto sia un diritto o un interesse legittimo il cui riconoscimento dipende
dall’accertamento degli stessi fatti che sono oggetto del giudizio penale e la legge civile non ponga limitazione alla prova “della posizione soggettiva controversa” (cfr. Cass., Sez. L, 13/1/2003, n. 314; Cass., Sez. 5, 19/3/2002, n. 3961).
Ciò significa che, ai sensi dell’art. 654 cod. proc. pen., l’efficacia vincolante del giudicato penale nei giudizi civili ed amministrativi per coloro che abbiano partecipato al processo penale è espressamente sottoposta alla duplice condizione che nel giudizio civile o amministrativo la soluzione dipenda dagli stessi fatti materiali che furono oggetto del giudicato penale e che la legge civile non ponga limitazione alla prova “della posizione soggettiva controversa” (Cass., Sez. 5, 19/3/2002, n. 3961), verificandosi allorché una specifica disposizione, legale, regolamentare o contrattuale, faccia derivare dal fatto posto in essere da un soggetto – che sia considerato come reato dalla legge penale e abbia formato oggetto della relativa imputazione – un ben determinato ed individuato effetto riguardo al diritto (o all’interesse legittimo) dedotto nel giudizio civile (Cass., Sez. L, 13/1/2003, n. 314).
Con specifico riguardo alla querela di falso, questa Corte ha in più occasioni avuto modo di affermare che il giudizio civile di falso e il procedimento penale di falso, ancorché differenti, tendendo il primo esclusivamente a dimostrare la totale o parziale non rispondenza al vero di un determinato documento nel suo contenuto obiettivo o nella sua sottoscrizione e mirando il secondo anche ad identificarne l’autore al fine di assoggettarlo alle pene stabilite dalla legge, conducono entrambi all’ eliminazione dell’efficacia rappresentativa del documento risultato falso (Cass., Sez. 3, 7/2/2006, n. 2524), e che la sentenza penale che abbia accertato la non autenticità di un documento, in quanto falsamente formato, ha efficacia di
giudicato, ai sensi dell’art. 654 cod. proc. pen., nel giudizio civile, pendente tra le stesse parti (ma non anche nel giudizio civile nei confronti dei terzi, rimasti estranei a quel procedimento penale, in tal senso Cass., 28/8/1999, n. 9070), avente ad oggetto il credito al quale quel documento si riferisce, controvertendosi intorno ad un diritto il cui riconoscimento dipende, in tutto o in parte, dagli stessi fatti materiali di falsificazione rilevanti ai fini della decisione penale (Cass., Sez. 3, 3/8/2017, n. 19337).
Tale principio ha, ad esempio, condotto Cass., Sez. 2, 23/4/2015, n. 8303, ad affermare che, ai sensi dell’art. 654 cod. proc. pen., la sentenza penale, che abbia accertato la non autenticità delle sottoscrizioni dei promittenti alienanti in calce al preliminare, in quanto apposte su di un foglio che nascondeva il testo della scrittura, ha efficacia di giudicato nel giudizio civile, avente ad oggetto l’esecuzione specifica ex art. 2932 cod. civ. dell’obbligo di concludere un contratto di compravendita, controvertendosi intorno ad un diritto il cui riconoscimento dipende degli stessi fatti materiali ritenuti rilevanti ai fini della decisione penale e in relazione ai quali era stata proposta incidentalmente querela di falso.
Orbene, nella sentenza impugnata non si fa in alcun modo riferimento al procedimento penale, né al suo esito, sicché la questione giuridica prospettata, in quanto implicante un accertamento di fatto, avrebbe imposto alle ricorrenti, onde non incorrere nell’inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta deduzione della stessa dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo avesse fatto, onde consentire alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la
censura stessa (per tutte Cass., Sez. 6-5, 13/12/2019, n. 32804; Cass., Sez. 6-1, 13/6/2018, n. 15430).
Non avendovi però le ricorrenti provveduto, la censura non può che considerarsi infondata.
Con il terzo motivo di ricorso, si lamenta la violazione degli artt. 1362, 1363, 2721 e ss. cod. civ. e dell’art. 115 cod. proc. civ., con riferimento all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito attribuito alle dichiarazioni del notaio COGNOME un significato diverso da quello risultante dal loro tenore letterale, avendo dato atto che, nel verbale di audizione del teste dal 13 maggio 2002, era stata detta la frase ‘ voglio dire che all’atto della formale redazione del testamento tutti i testi erano presenti ‘ e ignorando, invece, che la stessa frase era stata subito dopo sostituita, nel verbale, dalla seguente: ‘ preciso che i testi erano presenti al momento della redazione e della lettura del testamento ‘.
Con il quarto motivo di ricorso, si lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo, con riferimento all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., per avere la Corte d’Appello omesso di esaminare il fatto che tutti i testimoni sentiti nelle diverse sedi avessero confermato di aver sentito le ultime volontà del sig. COGNOME, ciò che avrebbe consentito ai giudici di affermare la presenza dei testi nel momento in cui il testatore aveva esposto al notaio le sue volontà.
Con il quinto motivo di ricorso, si lamenta la nullità della sentenza o del procedimento, in relazione agli artt. 112, 113, 115, 116, cod. proc. civ., con riferimento all’art. 360, n. 4, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito interpretato in modo errato le dichiarazioni rese dalla notaio NOME COGNOME al Procuratore della Repubblica il 23 ottobre 1981 e il 1 giugno 1982, senza considerare che quest’ultima aveva dato atto che il
testatore aveva manifestato le sue volontà alla presenza di molte persone, compreso l’avv. NOME COGNOME I giudici avevano in particolare trascurato che, secondo quanto detto dalla stessa notaio , quest’ultima aveva mandato via tutti dalla stanza soltanto quando doveva scrivere l’atto, ossia dopo che il testatore aveva espresso le sue ultime volontà, sicché in quella fase nessuna ulteriore volontà era stata indagata, e che nel testamento erano inserite le generalità complete dei testimoni, a dimostrazione della loro presenza fin dal primo momento.
Con il sesto motivo di ricorso, si lamenta l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 2700 cod. civ., con riferimento all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito omesso di compiere una pur sommaria indagine sulla valenza probatoria delle dichiarazioni della notaio al P.M., giacché sarebbe, altrimenti, emersa la contraddittorietà tra l’asserita assenza dei testi durante la redazione del testamento e la puntuale registrazione, in esso, delle loro generalità complete, oltre al fatto che neppure la notaio rogante avrebbe potuto contestare il contenuto del proprio atto, siccome dotato di efficacia fidefacente.
Con il settimo motivo di ricorso, si lamenta l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, con riferimento all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito ignorato il contenuto delle dichiarazioni rese dai due testimoni, COGNOME e COGNOME al Procuratore della Repubblica in data 4 dicembre 1981, allorché questi ultimi avevano affermato che la notaio aveva riportato nell’atto quanto dettole dal testatore, denunciando la percezione diretta, da parte loro, delle dichiarazioni di quest’ultimo.
8. I motivi, da trattare congiuntamente in quanto strettamente connessi, sono inammissibili.
Infatti, «il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. (che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio), né in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 cod. proc. civ., n. 4, – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante» (Cass., Sez. 1, 26/9/2018, n. 23153; Cass., Sez. 3, 10/6/2016, n. 11892), sia perché la contestazione della persuasività del ragionamento del giudice di merito nella valutazione delle risultanze istruttorie attiene alla sufficienza della motivazione, non più censurabile secondo il nuovo parametro di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.), sia perché con il ricorso per cassazione la parte non può rimettere in discussione, contrapponendovi le proprie, la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie concreta operate dai giudici del merito, trattandosi di accertamento di fatto, precluso in sede di legittimità ( ex plurimis Cass., Sez. 1, 6/11/2023, n. 30844; Cass., Sez. 5, 15/5/2018, n. 11863, Cass., Sez. 6-5, 7/12/2017, n. 29404; Cass., Sez. 1, 2/8/2016, n. 16056).
Peraltro, in tema di prova, spetta in via esclusiva al giudice di merito il compito di individuare, secondo il suo prudente apprezzamento, le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la
concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, assegnando prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, nonché la facoltà di escludere anche attraverso un giudizio implicito la rilevanza di una prova, dovendosi ritenere, a tal proposito, che egli non sia tenuto ad esplicitare, per ogni mezzo istruttorio, le ragioni per cui lo ritenga irrilevante (in questi termini, Cass., Sez. L, 13/6/2014, n. 13485).
Con le censure proposte, invece, le ricorrenti, anche sotto l’apparente sussunzione nella fattispecie di cui al n. 3 dell’art. 360, pretendono di rimettere in discussione la valutazione del compendio probatorio scelto e valutato dai giudici di merito, sollecitando una rivisitazione nel merito dello stesso, preclusa alla Corte di legittimità.
Peraltro, con riferimento al terzo, quarto e settimo motivo, i ricorrenti hanno del tutto omesso di indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse , come previsto nell’ipotesi di c.d. «doppia conforme» dall’art. 348 -ter , quinto comma, cod. proc. civ., onde evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., nel testo riformulato dall’art. 54, comma 3, del d.l. n. 83 cit. ed applicabile alle sentenze pubblicate dal giorno 11 settembre 2012 (per tutte, Cass., Sez. 5, 18/12/2014, n. 26860; Cass., Sez. 5, 11/05/2018, n. 11439; Cass., sez. 1, 22/12/2016, n. 26774; Cass., sez. L., 06/08/2019, n. 20994).
Ne consegue l’inammissibilità delle censure.
In conclusione, dichiarata l’infondatezza dell e prime due censure e l’inammissibilità delle restanti, il ricorso deve essere
rigettato. Le spese del giudizio, alla stregua della verifica degli atti, seguono la soccombenza e devono essere poste a carico delle ricorrenti.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 7.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato previsto per il ricorso a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del