Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 178 Anno 2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al N. 8992/2021 R.G. proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dal l’avv. NOME COGNOME come da procura allegata al ricorso, domicilio digitale come in atti
-ricorrente –
contro
COGNOME rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME come da procura allegata al controricorso, domicilio digitale come in atti
-controricorrente – avverso la sentenza N. 45/2021 emessa dalla Corte d’appello di Messina, depositata in data 25.1.2021;
udita la relazione della causa svolta nella adunanza camerale del 8.11.2024 dal Consigliere relatore dr. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Nel corso del giudizio d’appello pendente dinanzi alla Corte d’appello di Messina -Sez. Lavoro, iscritto al N. 774/2006 R.G., vertente tra la RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME, ex dipendente della prima, il COGNOME chiese ed ottenne la sospensione del giudizio, onde proporre querela di falso in ordine ad una quietanza di pagamento a sua firma, per l’importo di L. 25.500.000, quale ‘ somma ricevuta a più riprese in contanti negli anni su t.f.r. ‘, già oggetto di CTU grafologica nel corso del giudizio di primo grado. Pertanto, con atto del 21.9.2009 convenne in giudizio la società dinanzi al Tribunale di Messina, proponendo la querela di falso avente ad oggetto la suddetta quietanza, pure evocando in giudizio il Procuratore della Repubblica. Costituitas i la società, l’adito Tribunale rigettò la querela di falso con sentenza n. 2464/2014. NOME COGNOME propose quindi appello e la Corte d’appello di Messina, nel contraddittorio con NOME COGNOME quale titolare della ditta individuale ‘COGNOME NOME COGNOME Rocco’ (già RAGIONE_SOCIALE), accolse il gravame, dichiarando la falsità materiale della quietanza, ordinando la cancellazione delle interpolazioni ‘ 25 ‘, ‘ venticinquemilionicinquecentomila’ e ‘ somme ricevute a più riprese in contanti negli anni su T.F.R. ‘, regolando le spese. Osservò il giudice d’appello, dopo aver chiarito l’oggetto della querela del Sulfaro (ossia, la manipolazione della quietanza, con le suddette interpolazioni, da parte di un terzo, su documento a firma verificata dello stesso COGNOME), che nella specie si discuteva di falsità materiale e che il querelante aveva adempiuto l’onere della prova a suo carico (la
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contraffazione del documento), mentre l’Abate non aveva fatto altrettanto, non avendo dimostrato che la contraffazione era stata compiuta o consentita dal sottoscrittore. Ne discendeva, quindi, l’inutilità di ogni ulteriore attività istruttoria.
Avverso detta sentenza, NOME COGNOME quale titolare della ditta individuale RAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE) propone ricorso per cassazione, affidandosi a tre motivi, illustrati da memoria, cui resiste con controricorso NOME COGNOME. Il P.G. non ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1 Con il primo motivo si lamenta ‘ Violazione e falsa applicazione dell’art. 221 c.p.c. in relazione all’art. 360, n.3 c.p.c. Valore della prova legale della scrittura privata limitato alla provenienza della dichiarazione del sottoscrittore e non alla veridicità del contenuto. Falso materiale e falso ideologico. La querela di falso non è esperibile per il falso ideologico ‘ . Il ricorrente censura l’affermazione della Corte d’appello di Messina che ritiene trattarsi nella fattispecie di falso materiale e non di falso ideologico, in quanto la questione per cui è processo investe la falsità del contenuto, una volta preso atto che la veridicità della firma del RAGIONE_SOCIALE è stata confermata dal CTU. La Corte territoriale avrebbe dunque erroneamente considerato ritualmente proposta la querela di falso, al contrario di quanto ritenuto dal giudice di prime cure, contravvenendo ai principi dettati in materia dalla giurisprudenza, per cui ‘ la querela di falso è esperibile unicamente nei casi di falsità materiale per rompere il
collegamento, quanto alla provenienza, tra dichiarazione e sottoscrizione e non in quella di falsità ideologica per impugnare la veridicità di quanto dichiarato ‘.
1.2 -Con il secondo motivo, si denuncia ‘ In relazione all’art. 360, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., dell’art. 345 c.p.c. e dei principi generali in materia di onere della prova, reputandosi che la Corte d’Appello alla luce del compendio istruttorio emerso nel corso della vicenda -avrebbe dovuto ritenere non assolto l’onere da cui il ricorrente era gravato ‘ . Sosti ene il ricorrente che la Corte d’appello avrebbe erroneamente ritenuto che l’appellante COGNOME avesse dimostrato che la scrittura era stata redatta da altro soggetto, ma contrariamente al vero, tanto più che non può assurgere a prova la perizia di parte depositata per la prima volta in appello dallo stesso COGNOME, in contrasto con la previsione del vigente art. 345, comma 3, c.p.c. Osserva il ricorrente che il COGNOME non ha provveduto nemmeno a nominare un consulente tecnico di parte nel primo grado di giudizio e che la Corte d’appello non avrebbe dovuto tenere conto della relazione di parte; invece, essa l’ ha illegittimamente considerata al fine di riformare la sentenza di primo grado.
1.3 -Con il terzo motivo, infine, si lamenta ‘ Violazione e falsa applicazione del principio di soccombenza ex art. 91 c.p.c. ‘. Il ricorrente si duole del l’ingiusta condanna alle spese del doppio grado di giudizio, quale effetto dell’accoglimento del presente ricorso. In subordine, seppur nell’errata prospettiva della riforma della sentenza di prime cure, la Corte
d’appello avrebbe dovuto tenere conto della statuizione relativa al primo grado di giudizio e, quanto meno, compensare le spese di quel grado.
2.1 -Il ricorso è palesemente inammissibile sotto molteplici profili.
2.2 -Anzitutto, esso difetta di autosufficienza, in violazione de ll’art. 366, comma 3, n. 6, c.p.c. (nel testo applicabile ratione temporis ).
Infatti, il ricorrente omette del tutto di riportare il contenuto della decisione impugnata, discutendo delle doglianze qui proposte come se questa Corte dovesse essere già a conoscenza delle ragioni della decisione d’appello e così argomentando su temi del tutto astratti. In tal modo, il ricorrente non consente alla Corte di apprezzare la potenziale decisività dei motivi, già dalla lettura del ricorso stesso, donde l’inammissibilità .
2.3 -Per quanto il superiore vizio abbia già carattere assorbente, può comunque osservarsi che il ricorrente -con il primo e il secondo motivo -mostra di non aver neppure colto la ratio decidendi dell’impugnata sentenza, omettendo di confrontarsi con i relativi snodi argomentativi.
La Corte peloritana, una volta individuato il perimetro della querela di falso proposta dal Sulfaro (ossia, la manipolazione della quietanza di pagamento, da parte di uno stesso autore del falso), ha censurato la prima decisione, escludendo che la quietanza fosse stata complessivamente vergata da un unico soggetto ed evidenziando che si verteva chiaramente in una ipotesi di falso materiale. Conseguentemente, ha ritenuto che, mentre il Sulfaro aveva assolto il proprio onere probatorio (dando dimostrazione della contraffazione del
documento, mediante produzione della CTU effettuata nel giudizio dinanzi al giudice del lavoro ), non altrettanto poteva dirsi per l’COGNOME, perché questi non aveva dimostrato (e neppure allegato) che detta contraffazione era stata compiuta o consentita dal sottoscrittore della quietanza, cioè proprio dal COGNOME , donde l’inutilità di ogni ulteriore approfondimento peritale. Ha infine aggiunto che il COGNOME aveva anche ritualmente prodotto , nel giudizio d’appello, una propria CTP grafologica, da cui emergeva che egli non era l’autore delle interpolazioni.
Ebbene, il ricorrente omette del tutto di confrontarsi con i suddetti argomenti, insistendo sulla pretesa natura di falso ideologico inammissibilmente agitata (in tesi) dal COGNOME, ma senza affatto individuare in cosa esattamente consisterebbe l’errore della Corte d’appello nel contrario opinamento, nient’affatto censurato , nonché incentrando le proprie doglianze su un presunto ruolo decisivo che avrebbe assunto, circa l’esito del giudizio, la CTP inammissibilmente prodotta dal COGNOME solo nel giudizio d’appello.
In realtà, s’è già detto che tale ultima questione è valorizzata dalla Corte peloritana solo ad abundantiam , giacché da tali risultanze essa ha solo tratto argomenti aggiuntivi a conferma del proprio convincimento circa l’oggetto della querela, i cui argomenti non risultano minimamente attinti dalle censure in esame.
Può infine evidenziarsi che entrambi i suddetti motivi mirano comunque a rimettere in gioco l’accertamento circa la natura materiale della falsità dedotta dal COGNOME, che è riservato al giudice del merito (fatto salvo il
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profilo del l’eventuale vizio di sussunzione, che non risulta parimenti evincibile dai motivi di ricorso); questi ultimi, dunque, si risolvono meramente in una superficiale contrapposizione dialettica rispetto agli argomenti spesi dalla decisione impugnata, con il che ne resta pienamente confermata l’inammissibilità .
2.4 Infine, il terzo motivo è un ‘ non motivo ‘ nella parte in cui addebita l’erroneità della statuizione sulle spese ai pretesi vizi della decisione d’appello, così come denunciati col ricorso in esame . In proposito, è evidente che, ove i primi due motivi (o uno solo tra loro) fossero stati ritenuti fondati, il capo condannatorio sulle spese sarebbe stato conseguentemente travolto per l’effetto espansivo interno ex art. 336, comma 1, c.p.c.
Inoltre, l’argomento subordinato pur essendo stato speso soltanto a p. 3 del ricorso (nell’ambito della ‘sintesi dei motivi’) e non anche nel vero e proprio corpo del mezzo (pp. 21 e 22), ne va comunque rilevata l’ inammissibilità, perché la decisione del giudice di merito di compensare o non compensare le spese di uno o più gradi del giudizio non è di regola censurabile per cassazione, non venendo in rilievo per definizione una violazione della regola della soccombenza (per tutte, Cass. n. 24502/2017).
3.1 -In definitiva, il ricorso è inammissibile. Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
In relazione alla data di proposizione del ricorso (successiva al 30 gennaio 2013), può darsi atto dell ‘ applicabilità dell ‘ art. 13, comma 1quater , del
D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (nel testo introdotto dall ‘ art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228).
P. Q. M.
la Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese di lite, che liquida in € 3.700,00 per compensi, oltre rimborso forfetario spese generali in misura del 15%, oltre € 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.
A i sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n.115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente al competente ufficio di merito, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile,