Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 11875 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 11875 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 06/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 28494/2020 R.G., proposto da
NOME COGNOME rappresentato e difeso da sé medesimo ex art. 86 cod. proc. civ.; elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso lo Studio dell’Avv. NOME COGNOME
-ricorrente-
nei confronti di
Ministero della Giustizia , in persona del Ministro in carica; rappresentato e difeso ope legis dall ‘ Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui Uffici, in Roma, INDIRIZZO, è domiciliato ex lege ;
-controricorrente-
per la cassazione della sentenza n. 32/2020 della CORTE d’APPELLO di CAGLIARI, pubblicata il 15 gennaio 2020;
udìta la relazione svolta nella camera di consiglio del 3 marzo 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
In data 1° ottobre 2008, L’Avv. NOME COGNOME presentò alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Cagliari un esposto nei confronti di tre magistrati del Tribunale Amministrativo Regionale di Cagliari, denunciando la sussistenza nella loro condotta dei presupposti di fatto dei reati di cui agli artt. 368, nonché 81 e 323, cod. pen., dichiarando espressamente di non pronunciarsi sull’elemento soggettivo del reato, di cui era rimesso l’accertamento alle necessarie indagini d ell’ ufficio.
In data 17 dicembre 2008, il Pubblico Ministero iscrisse nel registro degli indagati, ai sensi dell’art.335 c od. proc. pen., sia i denunciati che denunciante, per il reato di calunnia.
In data 18 marzo 2010 fu e messo, ai sensi dell’art. 415 -bis cod. proc. pen., avviso di conclusione delle indagini nei confronti dell’Avv. COGNOME con la comunicazione che la documentazione relativa alle indagini espletate era depositata presso la Segreteria del Pubblico Ministero.
In data 20 agosto 2010, il Pubblico Ministero formulò la richiesta di rinvio a giudizio ai sensi dell’art. 416 cod. proc. pen., elevando l’imputazione nei confronti dell’ Avv. COGNOME
Con atto di citazione del 15 febbraio 2011, l’Avv. COGNOME propose querela di falso nei confronti dei suddetti atti del Pubblico Ministero.
Precisamente , impugnò di falso: l’iscrizione ex art. 335 cod. proc. pen., sul presupposto della sua falsa retrodatazione al 17 dicembre 2008, essendo essa da riferire al 9 dicembre 2009; l’ avviso di conclusione delle indagini ex art. 415bis cod. proc. pen., sull’assunto
che, ad onta della comunicazione in esso contenuta circa il deposito della relativa documentazione presso la Segreteria del Pubblico Ministero, in realtà nessun atto di indagine fosse stato espletato; la richiesta di rinvio a giudizio e la successiva imputazione, in quanto l’accusa rivolta nei suoi confronti , tratta dal suo esposto del 1° ottobre 2008, era contraria alla realtà em ergente dall’ esposto medesimo, con riguardo agli elementi oggettivo e soggettivo del reato, atteso che egli non si era mai pronunciato sull’ elemento soggettivo; inoltre, l’imputazione trovava fondamento nella reputata falsità del suo assunto circa il fatto che nella pronuncia resa dai magistrati del Tribunale Amministrativo Regionale fosse stata applicata una norma abrogata, assunto che invece era avvalorato dalla sentenza d’appello emessa dal Consiglio di Stato e passata in giudicato.
Costituitosi il Ministero della Giustizia, il Tribunale di Cagliari, con sentenza n. 1937/ 2012, dichiarò l’inammissibilità delle querele di falso.
P roposto appello dall’originario attore, la Corte territoriale di Cagliari, con sentenza 15 gennaio 2020, n.32, ha dichiarato la nullità della pronuncia di primo grado per mancata partecipazione al giudizio del pubblico ministero, al quale, non ostante la legge ne prevedesse l’intervent o obbligatorio nel giudizio di falso, non era stata data comunicazione del procedimento.
Decidendo nel merito, la C orte d’ appello ha quindi dichiarato l’ inammissibilità delle querele e condannato l’ attore-appellante alle spese dei due gradi di giudizio.
Propone ricorso per cassazione NOME COGNOME sulla base di due motivi, cui risponde il Ministero della Giustizia con controricorso.
La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale, ai sensi dell’art.380 -bis .1 cod. proc. civ..
Il Procuratore Generale, cui è stato comunicato l’avviso dell’adunanza camerale, non ha depositato conclusioni scritte.
Non sono state depositate memorie di parte.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente, va disattesa l’ eccezione di inammissibilità del ricorso per tardività della notifica, sollevata dal Ministero controricorrente.
Avuto riguardo alla necessità di tenere conto, oltre che della sospensione dei termini processuali per il periodo feriale, anche di quella dal 9 marzo all’11 maggio 2020 disposta dall’art. 83, comma 2, del decreto-legge 17 marzo 2020 n. 18, convertito con modificazioni dalla legge 24 aprile 2020 n. 27, come modificato dal decreto-legge 8 aprile 2020 n. 23, convertito con modificazioni dalla legge 5 giugno 2020 n. 40 (per un totale di 64 giorni: cd. ‘sospensione Covid’) , il termine lungo per il ricorso per cassazione, da computarsi a far data dal deposito della sentenza d’appello (15 gennaio 2020), scadeva non già il 19, bensì il 20 ottobre 2020, cosicché la notifica effettuata dal ricorrente in tale data deve reputarsi tempestiva ( ex aliis , Cass. 06/12/2022, n. 35857 e Cass. 8/07/2022, n. 21758).
Pure in via preliminare, va osservato che non incide sulla validità del giudizio, avente per oggetto la querela di falso civile, la circostanza che il Procuratore Generale non abbia presentato le sue conclusioni, risultando comunque la comunicazione al suo ufficio dell’avviso dell’odierna adunanza camerale . Va infatti ribadito, al riguardo, il principio secondo cui, nei giudizi civili in cui è previsto l’intervento obbligatorio del Pubblico Ministero, il disposto della legge è osservato,
a norma dell’art 71 cod. proc. civ., con la comunicazione all ‘ ufficio competente del Pubblico Ministero, per consentirgli di intervenire in giudizio con un proprio rappresentante (Cass. 04/06/1996, n. 5119; Cass. 16/12/2021 n. 40377).
Con il primo motivo viene denunciata la violazione e falsa applicazione degli artt. 111, sesto comma, Cost., degli artt. 221 cod. proc. civ. e 2699-2702 cod. civ., degli artt. 132, quarto comma, e 277 cod. proc. civ.; carenza/insufficienza della motivazione in relazione all ‘ utilizzo della querela ex art 221 cod. proc. civ. per atto penale; violazione e falsa applicazione degli artt. 193 e 177, 225, 407 e 415bis cod. proc. pen..
Il ricorrente censura la statuizione principale della sentenza impugnata, con cui sono state dichiarate inammissibili le querele di falso da lui proposte.
Sostiene, in generale, che l’istituto della querela di falso esprime un principio generale dell’ordinamento per cui essa querela può essere proposta anche in sede penale per far dichiarare la falsità degli atti del pubblico ministero.
Argomenta, in particolare, sul carattere oggettivamente falso, nella fattispecie, dei diversi atti impugnati, ovverosia l’iscrizione tardiva nel registro degli indagati, la falsità dell’ avviso ex art. 415bis cod. proc. pen. quanto al compimento di atti di indagine non specificati non ostante puntuale istanza da parte sua, la non veridicità del capo di imputazione formulato nei suoi confronti a seguito della richiesta ex art.416 cod. proc. pen..
3.1. Il motivo è infondato.
Correttamente il giudice del merito ha ritenuto l’ inammissibilità, nella fattispecie, della querela di falso ai fini dell’impugnativa degli atti
posti in essere dal Pubblico Ministero nel corso delle indagini preliminari e, segnatamente, dell’atto di iscrizione nel registro degli indagati, dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari e della richiesta di rinvio a giudizio.
Tale statuizione è in linea con i principi enunciati da questa Corte, la quale ha ribadito che la querela di falso costituisce uno strumento processuale che ha lo scopo di accertare la falsità di un atto pubblico o di una scrittura privata riconosciuta o giudizialmente accertata, sicché la finalità del procedimento è quella di privare un documento della sua rilevanza probatoria, per annullare la possibilità che il giudice possa fondare la propria decisione su una prova falsa; in altri termini, la querela di falso non può essere proposta se non allo scopo di togliere ad un documento (atto pubblico o scrittura privata) la idoneità a far fede e servire come prova di determinati rapporti, sicché, ove siffatte finalità non debbano essere perseguite, in quanto non sia impugnato un documento nella sua efficacia probatoria, né debba conseguirsi l ‘ eliminazione del documento medesimo o di una parte di esso, né si debba tutelare la fede pubblica, la querela di falso non è ammissibile (v. già Cass. 02/07/2001, n. 8925; più recentemente, Cass.18/09/2020, n. 19626).
È poi evidente che la veridicità delle circostanze di fatto descritte nel capo di imputazione penale va verificata dallo stesso giudice procedente, nel corso dei vari gradi in cui si dipana il processo, costituendo tale accertamento lo stesso oggetto del processo penale.
Il primo motivo del ricorso proposto da NOME COGNOME pertanto, deve essere rigettato.
Con il secondo motivo viene denunciata la violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e ss. cod. proc. civ., nonché degli artt. 4 e 5
del D.M. n. 55 del 2014, nella formulazione applicabile ratione temporis .
Il ricorrente censura la statuizione accessoria emessa dalla Corte d’appello, concernente la sua condanna al pagamento delle spese processuali del doppio grado del giudizio di merito.
Per un verso, NOME COGNOME si duole del fatto che la causa sia stata considerata di valore ‘ indeterminabile ‘ ( con applicazione del tariffario del relativo scaglione ai fini della liquidazione del compensi dovuti al difensore), anziché «di modesto valore equiparabile al primo scaglione».
Per altro verso, lamenta di essere stato condannato anche al pagamento delle spese del primo grado, sebbene la relativa sentenza sia stata dichiarata nulla e sebbene «non vi è stato errore addebitabile all’attore».
4.1. Anche il secondo motivo è infondato.
L’ attribuzione alla causa del valore ‘indeterminabile’ , ai fini delle spese, è corretta, avendo questa Corte affermato, sia pure con riferimento al giudizio di falso in via incidentale, che, ai predetti fini, il valore della causa di falso deve ritenersi ‘ indeterminabile ‘ , giacché connaturato sia allo scopo del giudizio (che è quello di eliminare la verità del documento, anche al di là dell’utilizzo nella controversia in cui la querela è incidentalmente insorta), sia alle possibili implicazioni, al di fuori del processo, dell ‘ accertamento della falsità (Cass. 23/06/2017, n. 15642).
Del pari incensurabile è la statuizione diretta a condannare il ricorrente anche alle spese del primo grado, stante il principio secondo il quale la soccombenza non si fraziona a seconda dell ‘ esito delle varie fasi del giudizio, ma va valutata in base alla decisione finale della lite,
senza che rilevi che in qualche grado o fase del giudizio la parte poi definitivamente soccombente abbia conseguito un risultato ad essa favorevole (Cass. 13/03/2013, n. 6369; Cass. 18/05/2021, n.13556; Cass. 25/03/2022, n. 9785).
In definitiva, il ricorso proposto da NOME COGNOME va rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente , al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art.13, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente a rimborsare al Ministero controricorrente le spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.200,00 per compensi, oltre le spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente , al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art.13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Terza Sezione