Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 22318 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 22318 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 02/08/2025
Querela di falso ad. 11.6.2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12169/2022 R.G., proposto da
NOME NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME domiciliato ex lege come da indirizzo pec indicato,
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante p.t. NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME domiciliata ex lege come da indirizzo pec indicato,
-controricorrente
–
per la cassazione della sentenza n. 1215/2021 della CORTE d’APPELLO di Lecce pubblicata l’11.11.2021;
udita la relazione svolta nella Camera di consiglio dell’11.6.2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il Tribunale di Brindisi con sentenza n. 397/2019, pubblicata il 12.3.2019, accoglieva la domanda di querela di falso proposta in via
principale da RAGIONE_SOCIALE nei confronti di NOME COGNOME e dichiarava la falsità del contratto di comodato del 26.4.2006, registrato al n. 2037 l’1 .8.2006 presso l’Agenzia delle Entrate di Ostuni , e di quello depositato nel procedimento civile n. 462/2007, radicato dal secondo presso il Tribunale di Brindisi -sezione distaccata di Ostuni di opposizione al precetto per rilascio in base al decreto di trasferimento ex art. 586 cod. proc. civ., emesso dal G.E. del Tribunale di Brindisi nella procedura esecutiva n. 188/2003.
RAGIONE_SOCIALE aveva convenuto il Fedele esponendo che quest’ultimo con ricorso ex art.447bis cod. proc. civ. aveva proposto opposizione avverso il precetto per rilascio dell’immobile, con il quale era stato intimato il rilascio de ll’immobile sito in Ostuni, INDIRIZZO oggetto di aggiudicazione in favore di detta società in sede di esecuzione immobiliare. Il Fedele in quella sede aveva esposto che RAGIONE_SOCIALE avrebbe concesso, con comodato gratuito del 26.4.2006, a lui e a sua moglie NOME COGNOME l’ immobile oggetto del rilascio perché lo utilizzassero come abitazione, e che tale contratto era successivo al decreto di trasferimento del 6.4.2006.
RAGIONE_SOCIALE costituitasi aveva disconosciuto il contratto di comodato sia nel merito sia nella scadenza, e aveva concluso per la dichiarazione di inesistenza e nullità di detto contratto. All’esito dell’istruttoria, durante la quale erano espletate due consulenze d’ufficio circa la genuinità della firma del legale rappresentante di RAGIONE_SOCIALE, la prima, sul contenuto e sul confezionamento dell’atto, la seconda, il Tribunale con sentenza n. 151/2011, rigettava l’opposizione e dichiarava inesistente il contratto di comodato.
La sentenza veniva appellata in via principale dal Fedele ed in via incidentale dalla RAGIONE_SOCIALE e nelle more quest’ultima proponeva -introducendo il giudizio poi definito con la sentenza qui impugnata n. 397/2019 – querela di falso contro i due contratti di comodato d’uso gratuito (quello depositato presso l’Agenzia delle Entrate, ufficio di Ostuni, e registrato l’1/8/2006, e quello depositato nel fascicolo di parte Fedele nel
procedimento civile n. 462/2007), perché alterati dal COGNOME nei termini che ivi specificava, nonché in base alle due su indicate consulenze d’ufficio , e chiedeva che ne fosse dichiarata la falsità.
Il NOME contestava la domanda, chiedeva la dichiarazione di inammissibilità della querela di falso e la sospensione del giudizio in attesa della definizione del giudizio di appello avverso la sentenza n. 151/2011. Precisava che con detta sentenza il contratto di comodato era stato dichiarato inesistente e rigettata l’opposizione con pronunzia «anche sulla non proposta – querela di falso», sì che, per essere stato proposto appello avverso detta sentenza, tale giudizio in quanto pregiudiziale imponeva la sospensione di quello azionato da RAGIONE_SOCIALE Aggiungeva che RAGIONE_SOCIALE aveva anche proposto querela in sede penale per falsità in scrittura privata ex art. 485 cod. pen., e si era costituita parte civile, con la conseguenza che anche detta sentenza, una volta emessa, avrebbe fatto stato nel procedimento.
Il Tribunale di Brindisi -dopo aver disatteso sia l’eccezione di inammissibilità della querela di falso, escludendo che il legale rappresentante di RAGIONE_SOCIALE avesse mai riconosciuto la paternità dei documenti, sia quella di sospensione del giudizio, segnalando che con ordinanza del 17.11.2014 la Corte d’appello di Lecce aveva sospeso il giudizio di opposizione a precetto di rilascio – accertava la falsità dei documenti impugnati alla luce degli accertamenti fatti dai consulenti d’ufficio nel giudizio di opposizione a precetto di rilascio (quello iscritto al n. 462/2007), dai quali era emerso che in entrambi gli esemplari del contratto di comodato d’uso gratuito (quello registrato presso l’Agenzia delle Entrate di Ostuni e quello prodotto in giudizio dal COGNOME) era stato sostituito il primo foglio ed era stata manipolata la data di scadenza.
La Corte d’Appello di Lecce con sentenza pubblicata l’11.11.2021 rigettava l’appello proposto da NOME COGNOME contro la sentenza di prime cure, con l’aggravio delle spese del grado.
La Corte d’appello sosteneva, avendo eccepito l’appellante la carenza di interesse di RAGIONE_SOCIALE ad agire per la dichiarazione di falsità del contratto di comodato attesa la dichiarazione di inesistenza resa con la sentenza n. 151/2011, che detto giudizio era ancora sub iudice (e la Corte d’appello di Lecce aveva sospeso il relativo giudizio proprio in ragione della pendenza di quello sulla querela di falso), sì che era evidente l’interesse dell’appellata all’accertamento della falsità dei documenti ogge tto di querela. Quanto all’eccezione di continenza del giudizio rispetto a quello di opposizione al precetto di rilascio, la Corte d’appello evidenziava che la «sacralità» delle forme previste per privare di efficacia probatoria un documento fidefacente escludeva la possibilità di configurare una «querela di falso tacita» e, pertanto, non era affatto sostenibile che il Tribunale di Brindisi con la sentenza n. 151/2011, dichiarando l’inesistenza del contratto, avesse pronunciato implicitamente su una «non proposta querela di falso».
In relazione alla pretesa violazione dell’art. 2702 cod. civ., notava la Corte d’appello che il legale rappresentante di RAGIONE_SOCIALE non aveva mai riconosciuto di aver sottoscritto il contratto di comodato. NOME COGNOME aveva disconosciuto in radice il contratto di comodato, utilizzato dal COGNOME in sede di opposizione al precetto di rilascio, negando sia di averlo sottoscritto, sia di aver accordato al Fedele la possibilità di detenere l’immobile sino al 31.1.2037. A sostegno delle proprie difese, RAGIONE_SOCIALE aveva prodotto una proposta contrattuale di comodato d’uso, avente scadenza al 31.1.2007, sottoscritta e trasmessa al Fedele con lettera raccomandata a.r. del 27.4.2006, ricevuta in data 29.4.2006 dalla moglie del NOME, e da questi mai formalmente accettata.
Una volta accertata giudizialmente l’autografia delle firme del COGNOME apposte in calce al contratto di comodato (nella doppia copia esistente presso l’Agenzia delle Entrate di Ostuni e negli atti di causa), l’unico rimedio per dimostrare la falsità del documento (avente ormai natura di scrittura
privata verificata), in base all’art. 2702 cod. civ., era l’impugnazione c on la querela di falso.
Affermava ancora la Corte d’appello che: correttamente il Tribunale aveva evidenziato i profili di falsità dei documenti all’esito delle disposte consulenze tecniche, poiché essi, sebbene recanti la sottoscrizione del COGNOME, erano risultati alterati ‘nella loro materiale composizione e dunque anche nel loro contenuto’; la domanda proposta da RAGIONE_SOCIALE non era limitata all’accertamento della falsità della sola data di scaden za del contratto, ma era riferita all’intero documento rivelatosi contraffatto sia nella sua materialità, per la sostituzione della prima pagina e per la sua redazione con due diverse stampanti, sia nel contenuto.
Per la cassazione della sentenza della corte salentina ricorre NOME COGNOME sulla base di tre motivi. Risponde con controricorso RAGIONE_SOCIALE
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, ai sensi dell’art.380bis .1. cod. proc. civ..
Il Pubblico Ministero presso la Corte non ha presentato conclusioni scritte.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo è denunciata, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ. , violazione e/o falsa applicazione dell’art. 100 cod. proc. civ. ; inammissibilità dell’azione proposta ex art. 221 cod. proc. civ. per carenza di interesse ad agire da parte del querelante.
Il ricorrente lamenta l’omesso rilievo della carenza di interesse di RAGIONE_SOCIALE a proporre la querela di falso del contratto di comodato a fronte della già intervenuta dichiarazione di inesistenza riconosciuta dal Tribunale di Brindisi con la sentenza n. 151/2011, sì che nessuna utilità pratica sarebbe potuta derivare dalla dichiarazione di falsità del contratto tanto se riferita al documento nella sua integralità, quanto alla sola data di scadenza. Anzi, la stringata motivazione resa dalla Corte d’appello sarebbe confermativa del carattere pregiudiziale del giudizio di opposizione al
precetto di rilascio, nel quale RAGIONE_SOCIALE in sede di appello incidentale aveva chiesto anche la dichiarazione di falsità del contratto, rispetto al presente, semmai era erronea la sospensione disposta nel primo giudizio.
Il giudizio proposto ai sensi dell’art. 221 cod. proc. civ. presuppone l’esistenza di un atto giuridico valido ed efficace tra le parti, fino a prova contraria; di conseguenza essendo già stato dichiarato inesistente detto contratto, nessuna utilità aggiuntiva in senso pratico avrebbe potuto ricavare RAGIONE_SOCIALE dalla proposta querela di falso: mancando un contratto vincolante tra le parti, non sarebbe stato possibile pronunciare sulla sua falsità.
1.1. Il motivo si esporrebbe a stretto rigore ad un preliminare rilievo di inammissibilità.
Il ricorrente ha impugnato la sentenza della corte salentina limitatamente a quanto espresso a pagina 3 (da riga 24 a riga 27), omettendo di aggredire la motivazione resa a pagina 4 (da riga 4 a riga 28), là dove il giudice di secondo grado, nello scrutinio del terzo motivo di appello afferente alla valutazione della querela di falso, ha corroborato quanto esposto nella pagina precedente a proposito dell’interesse ad agire di RAGIONE_SOCIALE, là dove ha così concluso: ‘ al fine negare definitivamente la genuinità del documento, poiché in difetto di limitazioni di legge non può negarsi la facoltà di optare per uno strumento più gravoso ma rivolto al perseguimento di un risultato più ampio e definitivo, qual è quello della completa rimozione del valore dell’atto con effetti erga omnes ‘ (v. Cass., sez. 6-I, 23 luglio 2020, n. 15823, nonché Cass., sez. I, 10 marzo 2021, n. 6711).
Il ricorrente, quindi, ha prospettato la censura in termini non aderenti alla sentenza impugnata, di qui l’inammissibilità del motivo dovendosi senz’altro dare seguito ai consolidati principi di diritto, in base ai quali ‘La proposizione, con il ricorso per cassazione, di censure prive di specifiche attinenze al «decisum» della sentenza impugnata è assimilabile alla mancata enunciazione dei motivi richiesti dall’art. 366, comma primo, n.4,
cod. proc. civ., con conseguente inammissibilità del ricorso, rilevabile anche d’ufficio’ (v. Cass., sez. III, 7 novembre 2005, n. 21490; sez. 6 -I, 7 settembre 2017, n. 20910; in motivazione, Cass., sez. un., 20 marzo 2017, n. 7074, che ribadisce il principio di diritto similare affermato da Cass. n. 359 del 2005, nel senso che «Il motivo d’impugnazione è rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, della o delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, in quanto per denunciare un errore bisogna identificarlo e, quindi, fornirne la rappresentazione, l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo.»; sez. 6-III, 3 luglio 2020, n. 13735).
1.2. Il motivo, comunque, sarebbe manifestamente infondato.
L’art. 221, comma primo, cod. proc. civ. prevede che ‘La querela di falso può proporsi tanto in via principale quanto in corso di causa in qualunque stato e grado di giudizio, finché la verità del documento non sia stata accertata con sentenza passata in giudicato ‘ .
C ome peraltro indicato dalla Corte d’appello, che ha richiamato il dictum di Cass., 15823/2020 (sopra citata), alla parte cui sia riferita una scrittura privata è sempre consentito non solo di disconoscerla, così facendo carico alla controparte della verificazione, ma anche di proporre alternativamente la querela di falso, al fine di negare definitivamente la genuinità del documento, poiché in difetto di limitazioni di legge non può negarsi la facoltà di optare per uno strumento più gravoso ma rivolto al
perseguimento di un risultato più ampio e definitivo, qual è quello della completa rimozione del valore dell’atto con effetti erga omnes .
Deve essere notato che in tema di accertamento della verità di un documento, tra il giudizio di verificazione della scrittura privata e il giudizio di falso sussiste disomogeneità strutturale e funzionale, in quanto il primo ha per oggetto esclusivamente l’autenticità di una scrittura privata o della sottoscrizione ad essa apposta, mentre il secondo può investire anche l’atto pubblico o la scrittura privata riconosciuta o non riconosciuta o autenticata e può avere a oggetto anche la genuinità della dichiarazione in essi contenuta; pertanto, avuto riguardo al combinato disposto degli artt. 221 e 355 cod. proc. civ., la proposizione dell’istanza di verificazione di una scrittura privata, in seguito al suo disconoscimento, preclude la proponibilità della successiva querela di falso solo se il giudizio di verificazione sia culminato nell’accertamento dell’autenticità della sottoscrizione con sentenza passata in giudicato e solo se la querela di falso che si intende proporre (in via principale o incidentale) sia diretta a mettere nuovamente in discussione proprio e soltanto quella autenticità, mentre invece nessuna preclusione opera nella contraria ipotesi in cui sull’accertamento dell’autenticità della sottoscrizione non si sia ancora formato il giudicato (nel qual caso il giudizio di falso potrà riguardare anche la sola autenticità della sottoscrizione) ovvero, pur essendo passato in giudicato l’accertamento dell’autenticità della sottoscrizione operato nel giudizio di verificazione, la querela di falso sia tuttavia diretta (anche o esclusivamente) a far valere la falsità ideologica del documento (v. Cass., sez. III, 29 gennaio 2021, n. 2152; v., altresì, Cass., sez. III, 17 febbraio 2020, n. 3891, secondo cui nell’ambito di uno stesso processo, qualora sia già stato utilizzato il disconoscimento, cui sia seguita la verificazione, la querela di falso è inammissibile se proposta al solo scopo di neutralizzare il risultato della verificata autenticità della sottoscrizione e non, invece, per contestare la verità del contenuto del documento).
Nel caso di specie, d’altro canto , non è dirimente il fatto che del contratto di comodato è stata accertata, nel giudizio definito con la sentenza n. 151/2011 del Tribunale di Brindisi, la sua inesistenza: sussisteva, infatti, come correttamente evidenziato dalla Corte d’appello, l’interesse ad agire di RAGIONE_SOCIALE sul rilievo che l’accertamento sulla inesistenza del contratto di comodato era ancora sub iudice , tanto che la Corte d’appello investita dell’appello avverso la sentenza n. 151/2011 del Tribunale di Brindisi ne aveva disposto la sospensione, sì che ‘è evidente l’interesse dell’appellata all’accertamento della falsità dei documenti che formano oggetto di querela’.
In altri termini, l’interesse ad agire di RAGIONE_SOCIALE era diretto al fine specifico di impedire che il contratto potesse produrre un qualche effetto giuridico come preteso da parte del Fedele, il quale, come manifestato quest’oggi , aspira(va) alla sua caducazione limitatamente alla sola data di scadenza, mentre, come evidenziato dalla Corte d’appello esso risultava essere stato alterato nella sua composizione e, quindi, anche nel contenuto.
L’ interesse a proporre querela di falso in via principale, con l’effetto di rimuovere erga omnes l’efficacia probatoria del documento che ne forma oggetto, sussiste in capo a tutti coloro nei cui confronti il medesimo documento è o può essere fatto valere. Infatti, alla parte, nei cui confronti venga prodotta una scrittura privata, deve ritenersi consentita, oltre la facoltà di riconoscerla, anche quella, alternativa e a prescindere dal disconoscimento, di proporre querela di falso, al fine di contestare la genuinità del documento e provocare la completa e definitiva rimozione del suo valore probatorio con effetti erga omnes (v., Cass., sez. I, 27 luglio 1992, n. 9013; Cass., sez. II, 22 aprile 1994, n. 3833; Cass., sez. II, 23 dicembre 2003, n. 19727; Cass., sez. II, 29 gennaio 2007, n. 1789; Cass., sez. I, 23 luglio 2007, n. 1583; Cass., sez. I, 10 marzo 2021, n. 6711).
Ancora: chi intende contestare globalmente una scrittura privata attribuitagli, e non soltanto la firma da essa risultante, non può limitarsi a disconoscerla, perché, se dal procedimento di verifica risulta che la firma è
sua, deve impugnarla con querela di falso per impedire che il documento costituisca piena prova della provenienza delle dichiarazioni, in esso contenute, da colui che l’ha sottoscritto (v. Cass., sez. II, 3 ottobre 2000, n. 13104).
Con il secondo motivo viene denunciata , ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2702 cod. civ. in combinato disposto con l’art. 221 cod. proc. civ.
Il ricorrente rileva che con il terzo motivo d’appello aveva eccepito l’inammissibilità della querela di falso , poiché, a seguito del riconoscimento in sede giudiziaria della sottoscrizione apposta dal COGNOME in calce al contratto di comodato del 26.4.2006, l’intero contenuto della dichiarazione resa in esso faceva piena prova nei suoi confronti. L’esito della verificazione dell’autenticità della sottoscrizione non era mai stato contestato né nel presente giudizio, né nel diverso giudizio di opposizione al precetto di rilascio. Dal combinato disposto degli artt. 2702 cod. civ. e 221 cod. proc. civ. deriva la conseguenza che la positiva verificazione giudiziale dell’autenticità delle sottoscrizioni, essendo ciò risultato pacifico per non essere stata svolta impugnazione da nessuna delle parti, comporta che le dichiarazioni contenute nel contratto di comodato, fanno piena prova in giudizio, precludendo la possibilità di proporre separatamente la querela di falso per contrastare una parte di quel documento.
2.1. Il motivo è inammissibile.
Fermo quanto sopra riferito in ordine all’insussistenza di limiti alla possibilità di svolgere querela di falso rispetto a un documento, fino a quando la sua autenticità non sia accertata con sentenza passata in giudicato, il che renderebbe il motivo manifestamente infondato, esso si espone ad un preliminare rilievo di inammissibilità, giacché il ricorrente ha ignorato del tutto la motivazione della sentenza espressa dalla Corte d’appello a pagina 4 (da riga 4 a riga 28) sul merito della proposta querela di falso.
La Corte di appello salentina al riguardo si è così espressa:
«La norma in esame recita: ‘ La scrittura privata fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza delle dichiarazioni da chi l’ha sottoscritta, se colui contro il quale la scrittura è prodotta ne riconosce la sottoscrizione, ovvero se questa è legalmente considerata come riconosciuta ‘ .
La querela di falso è uno strumento processuale che consente di contestare l’autenticità di un documento provvisto di fede privilegiata in relazione ad una pretesa che su esso si fondi; oggetto della querela è dunque un atto pubblico o una scrittura privata riconosciuta, autenticata o verificata.
Nella vicenda oggetto di causa, si può agevolmente evincere, dalla lettura degli altri atti del processo, che mai il legale rappresentante di RAGIONE_SOCIALE ha riconosciuto di aver sottoscritto un contratto di comodato d’uso gratuito in favore di RAGIONE_SOCIALE avente scadenza finale al 31.1.2037.
Ed anzi, COGNOME NOME ha disconosciuto in radice il contratto di comodato (utilizzato da NOME NOME per opporsi al precetto di rilascio), negando sia di averlo sottoscritto, sia di aver accordato al COGNOME la possibilità di tenere la disponibilità dell’immobile sino al 31.1.2037; a sostegno delle proprie difese, ha prodotto una proposta contrattuale di comodato d’uso, avente scadenza 31.1.2007, sottoscritta e trasmessa al NOME con lettera raccomandata a.r. del 27.4.2006, ricevuta in data 29.4.2006 dalla moglie del COGNOME e da questi mai formalmente accettata.
Una volta accertata giudizialmente l’autografia delle firme del COGNOME apposte in calce al contratto di comodato (nella doppia copia esistente presso l’Agenzia delle Entrate di Ostuni e negli atti di causa), unico rimedio per dimostrare la falsità del documento (avente ormai natura di scrittura privata verificata), non già in violazione ma proprio in ossequio al disposto dell’art. 2702 c.c., era quello di impugnarlo con la querela di falso.
In proposito, di recente la suprema corte ha statuito che ‘ Alla parte cui sia riferita una scrittura privata è sempre consentito non solo di disconoscerla, così facendo carico alla controparte della verificazione, ma anche di proporre alternativamente la querela di falso, al fine di negare definitivamente la genuinità del documento, poiché in difetto di limitazioni
di legge non può negarsi la facoltà di optare per uno strumento più gravoso ma rivolto al perseguimento di un risultato più ampio e definitivo, qual è quello della completa rimozione del valore dell’atto con effetti erga omnes’. (Cass. civ. sez. VI, ord. 23.7.2020 n. 15823)».
Il ricorrente, pertanto, si è nuovamente discostato dal principio di diritto enunciato da Cass. 359/2005, 21940/2005, 20910/2017, Cass., Sez. Un., 7074/2017, 13735/2020 (sopra citate) e, quindi, avendo svolto censure prive di specifiche attinenze al decisum della sentenza impugnata, è incorso nella violazione dell’art. 366, comma primo, n.4, cod. proc. civ., con conseguente inammissibilità del motivo.
Come s’è già detto, peraltro, la prospettazione del motivo, se fosse esaminabile, sarebbe manifestamente infondata al lume delle precisazioni che sopra si sono fatte circa i rapporti fra riconoscimento della sottoscrizione e querela.
Con il terzo motivo è denunciata, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., violazione e/o falsa applicazione degli artt. 226 cod. proc. civ., 480 cod. proc. pen. e 112 cod. proc. civ.
Il ricorrente si duole che la Corte d’appello, in violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, abbia dichiarato quella che a pag. 16, all’inizio dell’esposizione, chiama la falsità, ed in chiusura a pag. 18 qualifica come nullità dell’intero contratto, e non della sola data di scadenza, come chiesto da RAGIONE_SOCIALE ritenendo abusiva la variazione dal 31.1.2007 al 31.1.2037.
La conclusione contenuta nell’atto di citazione di RAGIONE_SOCIALE per la generica declaratoria di falsità del contratto di comodato la si sarebbe dovuta raccordare all’oggetto della domanda, circoscritta alla sola sostituzione del foglio intermedio del contratto, dove sarebbe stata inserita la data del 31.1.2037. In breve, si sosteneva la veridicità del contratto di comodato ma per una durata inferiore a quella testuale inserita. Tale differenza era dirimente, poiché l’opposizione al precetto di rilascio (definita con la sentenza n. 151/2011) era stata proposta proprio per contestare
«l’esecutività del decreto di trasferimento» in quanto superata dalla convenzione tra le parti: se dichiarata la falsità della sola data, il contratto di comodato sarebbe rimasto valido tra le parti per la minor durata al 31.1.2007.
3.1. Il motivo è inammissibile.
Fermo restando che il ricorrente non ha illustrato alcunché a proposito della violazione dell’art. 480 cod. proc. pen., la censura di violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. , sotto il profilo dell’ultrapetizione è dedotta ignorando la motivazione resa dalla corte nel paragrafo 3.5 scrutinando il motivo di appello con cui ci si lamentava già di una ultrapetizione del primo giudice, dove si legge: ‘La domanda proposta da RAGIONE_SOCIALE non è mai stata limitata all’accertamento di falsità della data di scadenza, ma ha investito l’intero documento che, in effetti, si è rivelato contraffatto sia nella sua materialità (a causa della avvenuta sostituzione della prima pagina nonché della sua redazione con due diverse stampanti), sia nel suo contenuto’.
Con tale motivazione la corte leccese ha rigettato il motivo di appello ed è tale motivazione che parte ricorrente avrebbe dovuto criticare, mentre, come rilevato, la ignora. Se poi, al di là dell’assenza totale di una esplicita critica, si volesse intendere quanto il motivo illustra riproducendo una parte del contenuto della citazione e poi alludendo ad una «generica declaratoria di falsità» espressa nella conclusione 1, si dovrebbe rilevare l’assoluta assertorietà di quanto si sostiene ed anche la sua genericità, omettendosi ogni specificazione nel rispetto dell’art. 366 n. 6 e comunque non assumendo l’asserto idoneo valore critico della ricordata motivazione. Peraltro, basta leggere l ‘atto di citazione -prodotto sul desk dallo stesso ricorrente -per convincersi della bontà della decisione dei due giudici di merito.
4. Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13 (Cass., sez. un., 20 febbraio 2020, n. 4315).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, in favore della controricorrente, che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 8.000,00 per competenze professionali, oltre rimborso forfettario del 15%, Iva e cpa come dovuti per legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, al competente ufficio di merito, del l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza sezione civile della