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Querela di falso: prova e oneri per il correntista

Una banca ricorre in Cassazione dopo che i tribunali di merito hanno dichiarato false le firme su un contratto di conto corrente. La banca sosteneva che il cliente non avesse provato la rilevanza del documento e che la perizia fosse viziata. La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, specificando che nella querela di falso proposta in via principale, chi agisce non è tenuto a dimostrare che il documento sia stato effettivamente utilizzato. La decisione chiarisce gli oneri probatori e le modalità di acquisizione delle prove in questi procedimenti.

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Pubblicato il 9 ottobre 2025 in Diritto Bancario, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Querela di falso: non serve provare l’uso del documento

Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha fornito importanti chiarimenti sulla querela di falso in ambito bancario. La decisione stabilisce un principio fondamentale: quando un correntista contesta la veridicità delle firme apposte su un contratto, non è tenuto a dimostrare che quelle condizioni contrattuali siano state effettivamente applicate dalla banca. Analizziamo insieme questa pronuncia per capire le sue implicazioni pratiche.

I fatti del caso: firme contestate su un contratto bancario

La vicenda ha origine dall’azione legale di un correntista contro un istituto di credito. Il cliente sosteneva che le firme apposte su un documento contenente le “condizioni economiche” del suo conto corrente fossero false. Per questo motivo, aveva avviato un giudizio chiedendo al Tribunale di accertare la falsità delle sottoscrizioni e, di conseguenza, di condannare la banca alla restituzione di tutte le somme indebitamente addebitate a titolo di interessi, commissioni e altre voci.

Il percorso giudiziario: dal Tribunale alla Corte d’Appello

Il Tribunale di primo grado, dopo aver disposto una Consulenza Tecnica d’Ufficio (CTU) grafologica, ha dato ragione al correntista, dichiarando la falsità delle firme sul documento contestato. La banca ha impugnato la decisione dinanzi alla Corte d’Appello, ma anche in secondo grado il suo appello è stato respinto. I giudici d’appello hanno confermato la valutazione del Tribunale, ritenendo provata la falsità delle sottoscrizioni. A questo punto, l’istituto di credito ha deciso di presentare ricorso per Cassazione.

I motivi del ricorso e la querela di falso

L’istituto di credito ha basato il suo ricorso su tre motivi principali, tutti incentrati sulla procedura e sugli oneri probatori legati alla querela di falso.

Irrilevanza del documento e onere della prova

Secondo la banca, il correntista non aveva adempiuto al proprio onere probatorio. In particolare, non avrebbe dimostrato la “rilevanza” del documento falso, ossia non avrebbe provato che le condizioni economiche in esso contenute fossero state effettivamente applicate al suo conto corrente. A suo dire, in assenza di tale prova, il giudizio di falso non avrebbe dovuto nemmeno iniziare.

Utilizzo di fotocopie per la perizia

Un altro punto contestato riguardava le modalità di svolgimento della perizia grafologica. La banca lamentava che l’analisi fosse stata condotta su copie fotostatiche e non sul documento originale, sostenendo che solo quest’ultimo potesse fornire elementi certi per un’analisi calligrafica affidabile.

Violazione del contraddittorio

Infine, la ricorrente denunciava presunte irregolarità nell’acquisizione dei documenti utilizzati per la comparazione delle firme, sostenendo che fossero stati acquisiti senza il consenso delle parti, violando così il principio del contraddittorio.

La decisione della Cassazione sulla querela di falso

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso della banca inammissibile, respingendo tutte le argomentazioni e confermando la correttezza delle decisioni dei giudici di merito.

La querela di falso in via principale non richiede la prova della rilevanza

Il punto centrale della decisione riguarda il primo motivo. La Cassazione ha chiarito che, quando la querela di falso è proposta in via principale (cioè come domanda autonoma e non come eccezione in un altro giudizio), il querelante non ha l’onere di dimostrare la rilevanza del documento. La questione se il documento sia stato o meno utilizzato attiene alla fondatezza della domanda di merito (la restituzione delle somme), giudizio che era stato correttamente sospeso in attesa della decisione sulla falsità. Il giudizio di falso ha come unico scopo quello di accertare l’autenticità o meno del documento.

Acquisizione dell’originale e validità della perizia

Anche la censura sulla perizia è stata ritenuta infondata. I giudici hanno sottolineato che la querela era stata inizialmente proposta sulla base di una copia autentica fornita dalla stessa banca. Successivamente, l’originale era stato acquisito nel corso del processo tramite un ordine di esibizione del giudice, proprio per consentire al perito di svolgere un’analisi completa e accurata. Pertanto, nessuna irregolarità era stata commessa.

Le motivazioni

La Corte ha motivato la sua decisione sottolineando la distinzione tra il giudizio di falso e il giudizio di merito. L’obiettivo della querela di falso è rimuovere la pubblica fede da un documento, accertandone l’autenticità. La questione del suo effettivo utilizzo è successiva e distinta. Inoltre, la Corte ha ribadito che l’onere del querelante di indicare le prove della falsità può essere assolto con qualsiasi mezzo, comprese perizie di parte e presunzioni, e che le modalità di acquisizione delle prove nel caso di specie erano state pienamente conformi alle regole processuali. La banca, secondo la Corte, non ha mosso critiche specifiche e scientificamente fondate all’operato del perito, limitandosi a riproporre doglianze generiche già esaminate e respinte in appello.

Le conclusioni

Questa ordinanza consolida un importante principio processuale: chi agisce con una querela di falso per contestare un documento non deve farsi carico di provare anche che quel documento abbia prodotto effetti concreti. Tale onere probatorio sorgerà solo nella successiva fase di merito, dove si discuterà delle conseguenze derivanti dalla dichiarata falsità. La decisione offre quindi una tutela più efficace ai correntisti e ai cittadini che si trovano a dover contestare l’autenticità di documenti, semplificando il percorso per l’accertamento della verità.

Quando si propone una querela di falso, è necessario dimostrare che il documento contestato è stato effettivamente utilizzato?
No. La Corte ha stabilito che quando la querela di falso è proposta in via principale, il querelante non è tenuto a dimostrare la rilevanza del documento, ovvero se sia stato concretamente utilizzato. Questo aspetto riguarda l’eventuale domanda di merito (es. restituzione di somme), non il giudizio sulla falsità.

Una perizia grafologica può basarsi inizialmente su una copia del documento?
Sì. La Corte ha ritenuto legittimo il procedimento in cui la querela è stata proposta sulla base di una copia autentica e l’originale è stato acquisito successivamente, su ordine del giudice. L’acquisizione dell’originale in corso di causa è funzionale proprio a consentire lo svolgimento di una completa perizia tecnica (CTU).

Chi ha l’onere di provare la falsità delle firme in una querela di falso?
L’onere di indicare gli elementi e le prove della falsità spetta a chi propone la querela (il querelante). La sentenza chiarisce, tuttavia, che tale onere può essere assolto con qualsiasi tipo di prova idonea, incluse consulenze tecniche di parte, scritture di comparazione e anche presunzioni.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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