LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Querela di falso: onere della prova sul ricorrente

Un professore universitario ha intentato una querela di falso contro due decreti rettorali che modificavano il suo regime lavorativo da tempo definito a tempo pieno, sostenendo di non aver mai richiesto tale modifica. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando le sentenze precedenti. Il principio chiave è che l’onere della prova in un procedimento di querela di falso grava interamente su chi contesta l’atto, il quale non è riuscito a dimostrare la falsità dei documenti. La Corte ha inoltre specificato che una precedente sentenza favorevole della Corte dei Conti non costituisce giudicato nel processo civile.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 18 dicembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Querela di Falso: Chi Contesta un Atto Pubblico Deve Provarne la Falsità

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, ha ribadito un principio fondamentale del nostro ordinamento processuale: chi avvia una querela di falso ha il preciso dovere di dimostrare, senza ombra di dubbio, la non veridicità dell’atto che contesta. In questo caso, un professore universitario che sosteneva la falsità di due decreti rettorali riguardanti il suo status lavorativo ha visto il suo ricorso respinto proprio per non aver soddisfatto tale onere probatorio.

I fatti del caso

La vicenda giudiziaria trae origine dalla contestazione di un docente universitario nei confronti del proprio Ateneo. Al momento del suo trasferimento presso la nuova sede, un primo decreto rettorale attestava la sua opzione per un regime di impegno a tempo definito, con un vincolo biennale. Pochi mesi dopo, tuttavia, un secondo decreto, relativo alla sua nomina a Professore Straordinario, affermava che il docente aveva comunicato di voler optare per il regime a tempo pieno. Successivamente, un terzo decreto, che lo nominava Professore Ordinario, confermava tale regime.

Il professore, sostenendo di non aver mai effettuato tale comunicazione né di aver mai optato per il tempo pieno, ha avviato un’azione legale specifica, la querela di falso, per far dichiarare la falsità dei due decreti che lo inquadravano nel regime a tempo pieno. La sua difesa si basava sull’inesistenza di una sua comunicazione in tal senso e sulla vigenza del vincolo biennale al regime a tempo definito che gli avrebbe impedito, in ogni caso, di modificare la sua opzione.

La decisione della Corte d’Appello e il ricorso in Cassazione

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano rigettato la domanda del professore, ritenendo non raggiunta la prova della falsità dei decreti impugnati. In particolare, i giudici di merito avevano concluso che dall’esame degli atti e dalle stesse dichiarazioni del ricorrente non emergeva una prova sufficiente della non conformità al vero del contenuto dei documenti.

Il docente ha quindi presentato ricorso in Cassazione, basandolo su diversi motivi, tra cui:
1. La contraddittorietà della sentenza d’appello.
2. La violazione della norma che impone un vincolo biennale all’opzione lavorativa (art. 11 D.P.R. 382/1980).
3. La violazione del giudicato formatosi in un diverso processo davanti alla Corte dei Conti, che lo aveva assolto da un’accusa di danno erariale proprio riconoscendo la sua opzione per il tempo definito.

Le motivazioni della Cassazione sulla querela di falso

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso infondato, respingendolo in ogni suo punto e fornendo importanti chiarimenti.

Il fulcro della decisione risiede nell’onere della prova. I giudici hanno sottolineato che in un procedimento di querela di falso, non è sufficiente insinuare un dubbio sulla veridicità di un atto pubblico; è necessario fornire una prova rigorosa e inequivocabile della sua falsità. Nel caso specifico, il professore non è riuscito a fornire tale prova. Le argomentazioni presentate sono state ritenute dalla Corte un tentativo di riesaminare il merito della vicenda, attività preclusa nel giudizio di legittimità.

Inoltre, la Corte ha smontato l’argomento basato sulla precedente sentenza della Corte dei Conti. È stato chiarito che il giudizio contabile e quello civile sono autonomi e hanno oggetti diversi. Il primo verteva sulla responsabilità per danno erariale, il secondo sulla falsità documentale. Pertanto, la decisione della Corte dei Conti non poteva avere efficacia di giudicato nel processo civile, non essendoci alcuna pregiudizialità logica tra i due giudizi.

Conclusioni

L’ordinanza della Cassazione rafforza un caposaldo del diritto processuale: la fede privilegiata di cui godono gli atti pubblici può essere scalfita solo attraverso una prova certa e incontrovertibile della loro falsità. La querela di falso è uno strumento potente ma esigente, che pone a carico di chi la promuove un onere probatorio particolarmente gravoso. La decisione evidenzia anche l’autonomia tra diverse giurisdizioni, ribadendo che una vittoria in sede contabile non si traduce automaticamente in un successo in sede civile, quando l’oggetto del contendere è differente.

Chi deve provare la falsità di un atto pubblico in un giudizio?
La parte che avvia il procedimento di querela di falso ha l’onere di fornire la prova rigorosa e completa della falsità dell’atto contestato. Non è sufficiente sollevare dubbi, ma è necessario dimostrare la non conformità al vero del suo contenuto.

Una decisione della Corte dei Conti può influenzare un processo civile sullo stesso argomento?
No, secondo questa ordinanza, una sentenza della Corte dei Conti non ha efficacia di giudicato in un processo civile. I due giudizi sono autonomi e hanno oggetti diversi: il giudizio contabile riguarda la responsabilità per danno erariale, mentre quello civile nel caso di specie riguardava la falsità di documenti. Non vi è un rapporto di pregiudizialità logica tra i due.

Cosa succede se non si fornisce la prova in una querela di falso?
Se la parte che ha proposto la querela di falso non riesce a fornire una prova sufficiente e convincente della non veridicità dell’atto pubblico, la sua domanda viene rigettata. L’atto, di conseguenza, continua a essere considerato valido ed efficace.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati