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Querela di falso: onere della prova e firma in bianco

La Corte di Cassazione si pronuncia su un caso di querela di falso per abusivo riempimento di documenti bancari firmati in bianco. L’ordinanza chiarisce che la prova del riempimento contrario agli accordi (absque pactis) può essere fornita anche tramite presunzioni gravi, precise e concordanti. La Corte ha rigettato il ricorso di un istituto di credito, confermando la decisione dei giudici di merito che avevano dichiarato la falsità di alcune dichiarazioni sulla base di un solido quadro indiziario, ritenendo legittimo il diniego di una consulenza tecnica richiesta tardivamente e in modo non specifico dalla banca.

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Pubblicato il 31 ottobre 2025 in Diritto Bancario, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Querela di falso: la Cassazione sull’onere della prova e il foglio firmato in bianco

L’ordinanza della Corte di Cassazione, n. 4013/2024, offre importanti chiarimenti sulla querela di falso e, in particolare, sulla ripartizione dell’onere della prova in caso di abusivo riempimento di un foglio firmato in bianco. La vicenda, che vede contrapposti un istituto bancario e alcuni suoi clienti, mette in luce come la prova del riempimento contrario agli accordi possa essere raggiunta anche attraverso un solido quadro di presunzioni, senza la necessità di prove dirette.

I Fatti di Causa

La controversia ha origine da un giudizio in cui alcuni clienti chiedevano a una banca la restituzione di ingenti somme, relative a diverse operazioni di prelievo. Nel corso della causa, i clienti hanno proposto una querela di falso contro alcune dichiarazioni, su moduli bancari, che sembravano confermare la loro volontà di effettuare tali operazioni. La tesi dei querelanti era chiara: essi avevano firmato dei fogli in bianco, fidandosi di un dipendente della banca, il quale li avrebbe poi riempiti abusivamente per coprire le proprie malversazioni, collegandoli a prelievi di denaro mai autorizzati ed eseguiti con firme apocrife.
Sia il Tribunale che la Corte d’Appello hanno accolto la tesi dei clienti, dichiarando la falsità dei documenti in questione, ritenendo provato l’abusivo riempimento sulla base di una serie di elementi indiziari.

Il Ricorso della Banca e i Motivi di Doglianza

L’istituto di credito ha impugnato la decisione davanti alla Corte di Cassazione, articolando il proprio ricorso su tre motivi principali:
1. Violazione delle regole sull’onere della prova: Secondo la banca, la Corte d’Appello non avrebbe valutato adeguatamente la censura secondo cui i clienti non avevano fornito la prova che il riempimento dei moduli fosse avvenuto absque pactis, cioè in violazione degli accordi.
2. Motivazione apparente: In subordine, la ricorrente lamentava che la motivazione della sentenza d’appello fosse solo apparente sul punto cruciale del riempimento contrario ai patti.
3. Omesso esame di un fatto decisivo: La banca criticava la Corte d’Appello per non aver disposto una consulenza tecnica d’ufficio (CTU) volta ad accertare se la firma fosse stata apposta prima o dopo la compilazione del testo, un accertamento ritenuto cruciale per la decisione.

La Prova nella Querela di Falso per Riempimento Abusivo

La Corte di Cassazione ha rigettato i primi due motivi, giudicandoli infondati. I giudici hanno chiarito che, sebbene spetti a chi propone la querela di falso provare sia l’apposizione della firma su un foglio in bianco sia il successivo riempimento absque pactis, tale prova può essere fornita con ogni mezzo, incluse le presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti.
Nel caso di specie, la Corte d’Appello aveva correttamente basato la propria decisione su un complesso di elementi probatori che, letti congiuntamente, portavano logicamente a concludere per il riempimento abusivo. Tra questi elementi figuravano:
– Le testimonianze che confermavano il modus operandi del dipendente, solito a farsi rilasciare fogli in bianco dai clienti.
– Le anomalie contabili, che mostravano come le somme prelevate venissero usate per coprire ammanchi su altri conti.
– La circostanza che le dichiarazioni contestate risultavano apparentemente rilasciate contestualmente a operazioni effettuate con firme false.
Questo quadro indiziario, secondo la Cassazione, presupponeva logicamente l’insussistenza di qualsiasi patto di riempimento, costituendo un rigetto implicito, ma completo e sufficiente, della tesi della banca.

Il Diniego della Consulenza Tecnica

Anche il terzo motivo, relativo alla mancata ammissione della CTU, è stato respinto. La Corte ha osservato che la richiesta della banca era stata formulata in modo ambiguo e tardivo nel corso dei giudizi di merito. Inizialmente, era stata richiesta una perizia calligrafica sull’autenticità della firma (inutile, dato che era ammesso che la firma fosse autentica), per poi essere trasformata solo in appello in una richiesta di accertamento tecnico sulla sequenza temporale tra firma e testo.
La Cassazione ha ribadito che disporre una CTU rientra nel potere discrezionale del giudice di merito. Il rifiuto di ammetterla è legittimo se motivato, e in questo caso la Corte d’Appello aveva correttamente ritenuto la richiesta superflua, tardiva e inammissibile, data la solidità degli altri elementi probatori.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Corte Suprema si fondano su principi consolidati in materia di prova e di poteri del giudice. In primo luogo, si ribadisce che il vizio di omessa pronuncia non sussiste quando la decisione adottata è incompatibile con la pretesa della parte, comportandone un rigetto implicito. Il giudice non è tenuto a confutare singolarmente ogni argomento, ma deve esporre in modo conciso e logico gli elementi a fondamento della sua decisione. In secondo luogo, la Corte sottolinea che, dopo la riforma dell’art. 360, n. 5, c.p.c., il controllo sulla motivazione è limitato al “minimo costituzionale”, escludendo censure sulla sufficienza o contraddittorietà, a meno che non si traduca in una motivazione inesistente, apparente o perplessa. Nel caso specifico, il ragionamento della corte territoriale era completo e comprensibile. Infine, viene confermata la natura discrezionale della consulenza tecnica, il cui mancato espletamento non è sindacabile in sede di legittimità se la decisione del giudice di merito è sorretta da una motivazione logica e coerente, come avvenuto nella fattispecie.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame rappresenta un’importante conferma dei principi che regolano la querela di falso e la valutazione delle prove nel processo civile. La decisione stabilisce che la prova di un riempimento abusivo di un foglio firmato in bianco può essere validamente raggiunta attraverso un ragionamento presuntivo, basato su un insieme di indizi coerenti e significativi. Inoltre, viene riaffermata l’importanza della diligenza processuale delle parti, le quali devono formulare le proprie istanze istruttorie in modo tempestivo, chiaro e specifico, poiché il giudice non è tenuto a sopperire a tali mancanze disponendo d’ufficio mezzi di prova richiesti in modo inammissibile.

Chi deve provare il riempimento “absque pactis” in una querela di falso per firma in bianco?
La parte che propone la querela di falso ha l’onere di provare sia che la firma è stata apposta su un foglio non ancora riempito, sia che il riempimento è avvenuto in violazione degli accordi presi (absque pactis).

È possibile provare un riempimento abusivo solo con prove dirette?
No. La Corte di Cassazione ha confermato che la prova del riempimento absque pactis può essere fornita con ogni mezzo ordinario di prova, comprese le presunzioni, a condizione che siano gravi, precise e concordanti.

Il giudice è sempre obbligato ad ammettere una consulenza tecnica (CTU) richiesta da una delle parti?
No, disporre una CTU rientra nel potere discrezionale del giudice del merito. Il suo rifiuto è legittimo e non censurabile in Cassazione se, come nel caso esaminato, è sorretto da una motivazione logica, ad esempio perché la richiesta è tardiva, inammissibile o superflua alla luce degli altri elementi probatori acquisiti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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