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Querela di falso: limiti e uso nello stato passivo

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di una società che aveva proposto una querela di falso per contestare le valutazioni contenute nello stato passivo di un fallimento. La Corte ha ribadito che la querela di falso è esperibile solo per contestare la falsità materiale di un atto pubblico (es. alterazioni fisiche), e non la sua falsità ideologica (es. errori di valutazione), per la quale esistono specifici rimedi previsti dalla legge fallimentare.

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Querela di Falso nello Stato Passivo: un Uso Improprio Sanzionato dalla Cassazione

L’ordinanza in esame della Corte di Cassazione offre un importante chiarimento sui limiti di applicazione della querela di falso, uno strumento processuale tanto potente quanto specifico. In particolare, la Corte si è pronunciata sull’inammissibilità di tale strumento quando viene utilizzato per contestare il contenuto valutativo dello stato passivo fallimentare, ribadendo la netta distinzione tra falso materiale e falso ideologico. Questa decisione sottolinea l’importanza di utilizzare i corretti canali di impugnazione previsti dalla legge.

I Fatti del Caso

Una società a responsabilità limitata e la sua legale rappresentante avevano avviato un’azione legale, proponendo una querela di falso contro lo stato passivo, sia tempestivo che tardivo, del fallimento di una S.p.A. Le ricorrenti lamentavano che lo stato passivo fosse ‘falso’ perché ammetteva, a loro dire erroneamente, i crediti di alcuni istituti bancari. Sostanzialmente, la contestazione non riguardava l’autenticità del documento (cioè la sua provenienza o integrità fisica), ma il merito delle decisioni del curatore e del giudice delegato.

La Corte d’Appello aveva già rigettato la domanda, qualificandola come un tentativo di contestare le valutazioni di merito del curatore e del giudice, decisioni che, seppur potenzialmente errate, non costituiscono un falso e devono essere impugnate con gli strumenti specifici previsti dalla legge fallimentare, ovvero l’opposizione allo stato passivo ai sensi dell’art. 98 della Legge Fallimentare.

La Decisione della Cassazione sulla Querela di Falso

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile e manifestamente infondato, confermando la decisione della Corte d’Appello. I giudici hanno colto l’occasione per ribadire un principio consolidato del nostro ordinamento: la netta separazione tra il concetto di falso materiale e quello di falso ideologico e le relative tutele processuali.

Le motivazioni: la distinzione tra falso materiale e ideologico

La motivazione centrale della decisione si basa sulla corretta interpretazione dell’art. 2700 del codice civile. Un atto pubblico fa piena prova, fino a querela di falso, solo della sua provenienza dal pubblico ufficiale che lo ha formato, delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta essere avvenuti in sua presenza. Non fa piena prova, invece, della veridicità del contenuto delle dichiarazioni.

Di conseguenza, la querela di falso è lo strumento designato per attaccare la genuinità estrinseca del documento, ovvero il cosiddetto ‘falso materiale’ (ad esempio, un documento contraffatto o alterato). Non è, invece, utilizzabile per contestare il ‘falso ideologico’, cioè la non veridicità delle valutazioni o delle attestazioni contenute nell’atto. Nel caso di specie, le ricorrenti non contestavano che lo stato passivo fosse stato effettivamente redatto dal curatore e reso esecutivo dal giudice, ma si dolevano del fatto che le valutazioni in esso contenute fossero, a loro avviso, sbagliate.

La Corte ha evidenziato come le doglianze delle ricorrenti riguardassero ‘asserite, erronee valutazioni’ del curatore e del giudice, ovvero decisioni che avrebbero potuto essere censurate solo attraverso l’apposito rimedio dell’impugnazione dello stato passivo. Utilizzare la querela di falso in questo contesto rappresenta un tentativo di aggirare i termini perentori di decadenza previsti dalla legge fallimentare, un uso improprio dello strumento processuale.

Le conclusioni: l’unico rimedio è l’impugnazione ex art. 98 L. Fall.

In conclusione, la Suprema Corte ha stabilito che l’unico strumento per contestare le decisioni di ammissione o esclusione dei crediti dallo stato passivo è l’impugnazione prevista dall’articolo 98 della Legge Fallimentare. Tentare di utilizzare la querela di falso per contestare la correttezza delle valutazioni di merito è un’azione giuridicamente inconsistente. La Corte ha inoltre condannato le ricorrenti per colpa grave, rilevando che un minimo di diligenza avrebbe dovuto far comprendere l’inammissibilità del ricorso, applicando una sanzione pecuniaria ai sensi dell’art. 96, comma 3, c.p.c.

A cosa serve la querela di falso secondo la Cassazione?
Serve a contestare esclusivamente la falsità materiale di un atto pubblico, ovvero la sua genuinità esterna (es. firma falsa, documento alterato), e non la veridicità del suo contenuto (falsità ideologica).

È possibile usare la querela di falso per contestare l’ammissione di un credito nello stato passivo di un fallimento?
No. La Cassazione ha chiarito che le decisioni di ammissione o esclusione di crediti sono valutazioni di merito del curatore e del giudice delegato. Tali decisioni, se ritenute errate, devono essere contestate solo con gli specifici strumenti previsti dalla legge fallimentare (art. 98 l. fall.), non con la querela di falso.

Cosa rischia chi utilizza la querela di falso in modo improprio per aggirare altri rimedi legali?
Come avvenuto in questo caso, la parte rischia non solo la dichiarazione di inammissibilità e la condanna alle spese legali, but anche una condanna per colpa grave (lite temeraria) ai sensi dell’art. 96, comma 3, c.p.c., con il pagamento di un’ulteriore somma a titolo di risarcimento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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