Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 31674 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 31674 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 09/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 31357/2020 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona della legale rapp.te p.t. COGNOME nonché quest’ultima in proprio, rappresentate e difese dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE per procura speciale in calce al ricorso
-ricorrente-
contro
FALLIMENTO NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE, in persona del curatore p.t. rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE per procura speciale in calce al controricorso -controricorrente-
nonché contro
PROCURA GENERALE DELLA REPUBBLICA DI VENEZIA -intimata- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di VENEZIA n. 765/2020 depositata il 28/02/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26/06/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
La Corte d’Appello di Venezia, con sentenza depositata il 28.2.2020, ha rigettato l’appello avanzato da NOME COGNOME in proprio e nella qualità di legale rappresentante di RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza del Tribunale di Vicenza che aveva dichiarato inammissibile la querela di falso ex art. 221 c.p.c. con cui (per ciò che nella presente sede ancora interessa) la signora e la società avevano impugnato lo stato passivo esecutivo delle domande tempestive e lo stato passivo esecutivo di quelle tardive del Fallimento NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE in liquidazione.
La corte del merito ha evidenziato che l ‘asserita falsità denunciata con la querela consisteva nell’ammissione, ritenuta errata, di crediti delle banche e che dunque in realtà le appellanti si dolevano delle valutazioni compiute dal curatore e dal giudice delegato nello svolgimento delle loro funzioni – suscettibili di essere sbagliate o corrette, ma non vere o false – contenute in decisioni impugnabili solo ai sensi del l’art. 98 l. fall.
NOME COGNOME e RAGIONE_SOCIALE hanno proposto ricorso per la cassazione della sentenza, affidandolo a sei motivi.
Il Fallimento RAGIONE_SOCIALE in liquidazione ha resistito in giudizio con controricorso illustrato da memoria ex art. 380 bis. 1 c.p.c..
CONSIDERATO CHE
1. Il ricorso denuncia:
1.1. con il primo motivo la violazione e falsa applicazione degli artt. 2699 e 2700 c.c., 221 e ss. c.p.c., 50 TUB, 476 e 479 c.p.; 1.2. con il secondo la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697
c.c., 115 c.p.c., 112 Cost., 50 e 405 c.p.p.;
1.3. con il terzo l’ omesso esame di più fatti decisivi oggetto di discussione tra le parti;
1.4. con il quarto l’ illogica e contraddittoria motivazione su più punti della controversia;
1.5. con il quinto la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 Cost, 50 e 405 c.p.p., 71 e 295 c.p.c.;
1.6. con il sesto la falsa applicazione degli artt. 221 c.p.c., 2699 e 2700 c.c., e 98 l. fall..
Le ricorrenti: i) sostengono che la corte d’appello ha errato nel ritenere, sostanzialmente, ammissibile la querela contro lo stato passivo solo per falso materiale e non anche per falso ideologico, posto che tale distinzione, come evincibile da una complessa interpretazione sistematica delle norme civilistiche e delle norme penali in materia di falso (in particolare, l’art. 476 c.p.c.) , non opererebbe in presenza di un atto pubblico; ii) lamentano che la statuizione di inammissibilità della querela non abbia consentito lo svolgimento del processo nella sua fase di merito; iii) richiamano i profili di impugnazione non esaminati dalla corte d’appello; iv) deducono che nella specie, in cui si deduceva la falsità di un atto pubblico, il giudice civile avrebbe dovuto rimettere gli atti alla competente Procura della Repubblica e disporre la sospensione, per pregiudizialità ex art. 295 c.p.c., del processo; v) assumono, infine, che la corte del merito avrebbe errato anche nel ritenere che l’unico strumento di impugnazione dello stato passivo fosse il ricorso ex art. 98 l. fall.
Tutti i motivi sopra illustrati, da esaminare unitariamente per la stretta connessione delle questioni trattate, sono inammissibili, ex art. 360 bis c.p.c.., e comunque manifestamente infondati.
Premesso che non è in contestazione la legittimazione delle ricorrenti a presentare la querela (benché non risulti la loro qualità di creditrici del Fallimento o, comunque, il loro interesse all’impugnazione di falso per altro aspetto), va ricordato che
costituisce orientamento consolidato di questa Corte che l’atto pubblico fa piena prova fino a querela di falso, a norma dell’art. 2700 cod. proc. civ., della sola provenienza dell’atto da chi ne appare sottoscrittore, nonché delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti, ma non anche della veridicità del suo contenuto. Ne consegue che la querela di falso è esperibile solo nel caso di falsità materiale dell’atto, e non quando sia soltanto invocata la sua falsità ideologica, potendo il contenuto dell’atto essere contestato con ogni mezzo di prova, entro i rispettivi limiti di ammissibilità (vedi Cass. n. 24461/2018; Cass. n. 24841/2020).
Nel ricorso per cassazione, con un’illustrazione non pienamente intellegibile, le ricorrenti, richiamando l’art. 476 del codice penale, affermano invece che l’atto pubblico fa fede fino a querela di falso senza distinzione alcuna tra falso materiale e falso ideologico, essendo tutelato il bene supremo della fede pubblica e rilevano che non si deve confondere la genuinità del documento con la sua veridicità, il quanto il documento può essere genuino, ma avere fin dalla nascita un contenuto falso.
Persistendo in tal modo nel confondere la falsità materiale con la falsità ideologica, esse non considerano che la querela di falso è proponibile solo in caso di falsità materiale, tanto è vero che anche la norma penale (art. 476 comma 2° c.p.) che fa riferimento alla querela di falso (contemplando un’aggravante in caso di falso che riguarda un atto dotato di fede privilegiata) è solo quella che punisce il falso materiale, mentre l’art. 479 c.p., che si occupa del falso ideologico, non contiene alcun richi amo all’istituto d i cui agli artt. 221 e segg. c.p.c..
Le ricorrenti, infine, non hanno inteso confrontarsi, se non genericamente, con le precise argomentazioni della c orte d’ appello, che ha correttamente osservato che le loro doglianze riguardavano asserite, erronee valutazioni, dapprima del curatore e, poi, del
Giudice delegato, nello svolgimento delle loro funzioni -e non atti dotati di fede privilegiata -contenute in provvedimenti che avrebbero potuto essere censurati solo mediante l’ impugnazione dello stato passivo, ex art. 98 l. fall.
In ogni caso, come pure sottolineato dalla corte territoriale, i motivi di querela rivelano la propria manifesta inconsistenza giuridica, in quanto volti non già a far valere una falsità ideologica, ma l’erroneità della decisione di ammissione al passivo dei crediti bancari, e dunque ad aggirare surrettiziamente, attraverso l’ improprio utilizzo dello strumento processuale di cui agli artt. 221 e segg, c.p.c., la preclusione derivante dalla mancata impugnazione dello stato passivo entro il termine di decad enza previsto dall’art. 98 l. fall.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
Ricorr e inoltre la colpa grave delle ricorrenti, posto che l’uso anche di un minimo grado di diligenza avrebbe loro consentito di avvertire con immediatezza l’inammissibilità e/o la manifesta infondatezza del ricorso (cfr. Cass. S.U. n. 9912/2018): esse vanno pertanto condannate in solido a paga re al Fallimento l’ulteriore somma di € 2.000,00, equitativamente determinata, a norma dell’art. 96 , comma 3, c.p.c.
P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna le ricorrenti, in via fra loro solidale, al pagamento in favore del Fallimento delle spese processuali, che liquida in € 10.200,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge, nonché della somma di € 2.000,00 ex art. 96, 3° comma, c.p.c..
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma in data 26.6.2024