Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 7234 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 7234 Anno 2025
Presidente: VINCENTI NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 18/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5875/2022 proposto da:
NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME (EMAIL;
– ricorrente –
contro
NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME (EMAIL;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2114/2021 della CORTE D’APPELLO DI BARI, depositata in data 15/12/2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24/2/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
ritenuto che,
con sentenza resa in data 15/12/2021, la Corte d’appello di Bari, in accoglimento dell’appello proposto da NOME COGNOME e in riforma della decisione di primo grado, ha dichiarato inammissibile la duplice querela di falso proposta da NOME COGNOME in relazione all’autenticità delle sottoscrizioni apparentemente opposte dal NOME in calce alla procura conferita all’avvocato NOME COGNOME a margine del ricorso per decreto ingiuntivo proposto nei confronti della stessa COGNOME, e in calce alla procura conferita all’avvocato NOME COGNOME a margine della comparsa di costituzione nel giudizio di opposizione al medesimo decreto ingiuntivo;
a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha rilevato come la COGNOME difettasse di alcun interesse alla proposizione delle querele di falso in esame, tenuto conto che, ai sensi dell’art. 182 c.p.c., il giudice di primo grado, lungi dal sospendere il giudizio ai fini della definizione delle querele, avrebbe dovuto invitare il Sebastiano a regolarizzare la propria costituzione in giudizio mediante il deposito delle due procure regolarmente sottoscritte: attività che ben potrebbe ancora svolgersi nel giudizio attualmente sospeso, una volta riattivata la causa all’esito della definizione del presente giudizio;
sotto altro profilo, la corte territoriale ha comunque rilevato come il giudice di primo grado avesse aderito in modo acritico alle conclusioni tratte dalla consulenza grafologica d’ufficio, senza valorizzare il carattere meramente probabilistico delle conclusioni fatte proprie dall’ausiliario e senza giustificare adeguatamente il proprio convincimento a fronte degli obiettivi e decisivi elementi di incertezza comunque emersi nel corso dell’istruttoria, così come espressamente rilevati in sentenza;
avverso la sentenza d’appello, NOME COGNOME propone ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi d’impugnazione;
NOME COGNOME resiste con controricorso;
considerato che,
con il primo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dagli artt. 100 e 182, comma 2, c.p.c. (in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.), per avere la corte territoriale erroneamente ritenuto applicabile al caso di specie l’art. 182 c.p.c., trattandosi di una norma di per sé tale da non contemplare la possibilità di sanare una procura (non già meramente nulla, bensì) ‘inesistente’, come quelle nella specie prodotte in giudizio nell’interesse del SebastianoCOGNOME
con il secondo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per omesso esame di un fatto decisivo controverso (in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c.), per avere la corte territoriale erroneamente affermato come il giudice di primo grado avrebbe dovuto assegnare un termine perentorio al Sebastiano per la sanatoria della procura, senza tener conto del principio che esclude la concessione d’ufficio di un termine per la sanatoria in presenza di una specifica eccezione della controparte volta a rilevare il difetto di rappresentanza dell’istante;
nella specie, il difensore del NOME, lungi dal provvedere alla ridetta regolarizzazione, si era opposto alla proposizione della querela di falso avanzata dalla COGNOME (con ciò insistendo per il riconoscimento della regolarità della propria posizione), con la conseguenza che il primo giudice non avrebbe potuto rilevare d’ufficio il ridetto difetto di rappresentanza;
con il terzo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione di legge (in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.), per avere la corte territoriale erroneamente riscontrato la carenza di interesse della COGNOME alla proposizione della querela di falso sul presupposto secondo cui l’eventuale regolarizzazione della costituzione in giudizio
del Sebastiano, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, avrebbe comunque consentito al medesimo di insistere per la condanna della COGNOME al pagamento delle somme oggetto di ingiunzione; e tanto, pur in presenza di un’eventuale riconoscimento della nullità del decreto ingiuntivo (derivata dalla nullità del ricorso corrispondente);
in contrasto con tale premessa, l’odierna istante sottolinea come l’eventuale revoca del decreto ingiuntivo avrebbe comunque escluso la condanna della COGNOME al rimborso delle spese del procedimento monitorio, rendendosi in tal modo evidente l’interesse della stessa a una declaratoria di invalidità del decreto ingiuntivo per l’incidenza di tale riconoscimento ai fini della complessiva regolazione delle spese di lite, a nulla rilevando la mancanza di uno specifico motivo di opposizione della COGNOME in ordine alla falsità della sottoscrizione della procura, trattandosi di questione che avrebbe potuto rilevarsi d’ufficio e che non fu mai tempestivamente eccepita dalla controparte;
con il quarto motivo, la ricorrente si duole della nullità della sentenza impugnata (in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.), per avere la corte territoriale erroneamente negato l’attendibilità della consulenza grafologica svolta d’ufficio nel corso del giudizio di falso, senza procedere all’elaborazione di un’adeguata motivazione in ordine alla decisione di discostarsi da detta consulenza, con la conseguente adozione di una motivazione sostanzialmente apparente, in violazione dell’art. 132 n. 4 c.p.c.;
il quarto motivo è infondato e il relativo rigetto vale ad assorbire la rilevanza delle prime tre censure;
con specifico riguardo al quarto motivo, la corte territoriale ha rilevato, rispetto alla sottoscrizione apposta dal Sebastiano a margine del ricorso per decreto ingiuntivo, che il primo giudice « aderendo acriticamente alle conclusioni tratte dal C.T.U., ha dato per certo
(falsità della sottoscrizione) ciò che lo stesso NOME aveva affermato soltanto in termini probabilistici, ammettendo quest’ultimo di non potersi esprimere in termini di certezza in assenza del documento in originale, circostanza che gli aveva impedito di completare l’indagine peritale con la valutazione del ‘dato pressorio’ »;
quanto alla procura apposta a margine della comparsa di costituzione nel giudizio di opposizione, il giudice d’appello ha evidenziato che « nonostante le perentorie conclusioni tratte dal C.T.U., in ordine alla ritenuta falsità della firma del Sebastiano, apposta alla procura in calce alla comparsa di costituzione, militano, in senso contrario, due dati oggettivi che l’Ausiliare ha trascurato nella propria indagine peritale: in primo luogo, la dichiarazione di paternità della firma da parte dello stesso NOME e, in secondo luogo, una evidente analogia tra la firma ‘X2’, oggetto di analisi, e le firme di comparazione. Trattasi di elementi di contrasto, rispetto alle conclusioni peritali, ad avviso della Corte, quanto meno idonee a far sorgere perplessità in ordine all’esito dell’indagine peritale e a ritenere non sufficientemente provata la falsità della sottoscrizione in oggetto » (cfr. pagg. 13-14 della sentenza impugnata);
ferme tali premesse, verrà considerare come, ai sensi dell’art. 132, n. 4, c.p.c., il difetto del requisito della motivazione si configuri, alternativamente, nel caso in cui la stessa manchi integralmente come parte del documento/sentenza (nel senso che alla premessa dell’oggetto del decidere, siccome risultante dallo svolgimento processuale, segua l’enunciazione della decisione senza alcuna argomentazione), ovvero nei casi in cui la motivazione, pur formalmente comparendo come parte del documento, risulti articolata in termini talmente contraddittori o incongrui da non consentire in
nessun modo di individuarla, ossia di riconoscerla alla stregua della corrispondente giustificazione del decisum ;
infatti, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, la mancanza di motivazione, quale causa di nullità della sentenza, va apprezzata, tanto nei casi di sua radicale carenza, quanto nelle evenienze in cui la stessa si dipani in forme del tutto inidonee a rivelare la ratio decidendi posta a fondamento dell’atto, poiché intessuta di argomentazioni fra loro logicamente inconciliabili, perplesse od obiettivamente incomprensibili;
in ogni caso, si richiede che tali vizi emergano dal testo del provvedimento, restando esclusa la rilevanza di un’eventuale verifica condotta sulla sufficienza della motivazione medesima rispetto ai contenuti delle risultanze probatorie ( ex plurimis , Sez. 3, Sentenza n. 20112 del 18/09/2009, Rv. 609353 – 01);
ciò posto, nel caso di specie, è appena il caso di rilevare come la motivazione dettata dalla corte territoriale a fondamento della decisione impugnata sia, non solo esistente, bensì anche articolata in modo tale da permettere di ricostruirne e comprenderne agevolmente il percorso logico, avendo il giudice d’appello, da un lato, valorizzato l’impostazione meramente probabilistica del giudizio espresso dal c.t.u. in relazione alla sottoscrizione apposta a margine del ricorso per decreto ingiuntivo, e avendo, dall’altro, con riguardo alla seconda sottoscrizione, sottolineato il duplice dato oggettivo trascurato dall’ausiliario nella propria indagine; duplice dato consistente nella dichiarazione di paternità della firma da parte dello stesso NOME e nell’evidente analogia tra la firma X2 oggetto di analisi e le firme di comparazione;
l’ iter argomentativo compendiato dal giudice a quo sulla base di tali premesse è pertanto valso a integrare gli estremi di un discorso
giustificativo logicamente lineare e comprensibile, elaborato nel pieno rispetto dei canoni di correttezza giuridica e di congruità logica, come tale del tutto idoneo a sottrarsi alle censure in questa sede illustrate dal ricorrente;
ogni altra considerazione criticamente orientata a censurare la correttezza della valutazione espressa dal giudice d’appello in ordine all’attendibilità della consulenza grafologica d’ufficio si risolve in una prospettata rilettura nel merito dei mezzi di prova, ossia nella contestazione del modo attraverso il quale il giudice di merito ha inteso interpretare i mezzi di prova acquisiti al giudizio, sulla base di un’impostazione critica non consentita in sede di legittimità;
il rigetto della censura in esame, nella misura in cui attesta in modo non più controvertibile la mancata dimostrazione della falsità delle sottoscrizioni apposte dal Sebastiano (impugnate con le odierne querele di falso) vale ad assorbire i primi tre motivi di natura rituale che, pur quando fondati, non consentirebbero in ogni caso l’eventuale accoglimento delle querele di falso;
sulla base di tali premesse, dev’essere pronunciato il rigetto del ricorso;
le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo;
si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-quater, dell’art. 13 del d.p.r. n. 115/2002;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi euro 6.500,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del
15%, agli esborsi liquidati in euro 200,00, e agli accessori come per legge.
Dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-quater, dell’art. 13 del d.p.r. n. 115/2002.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione