Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 2608 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 2608 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 29/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 21154/2018 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, domiciliata n INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)che la rappresenta e difende;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO , presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME (CODICE_FISCALE);
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di ROMA n. 2996/2018, depositata l’ 8/05/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 5/10/2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
PREMESSO CHE
Nel 2006 il Comune di Fossano impugnava la sentenza n. 607/2005 con cui il Tribunale di Cuneo l’aveva condannato a pagare alla RAGIONE_SOCIALE la somma di euro 331.178,69 in base a un contratto di appalto pubblico. Si costituiva l’appaltatrice RAGIONE_SOCIALE, proponendo appello incidentale volto a ottenere la condanna del Comune a pagare l’ulteriore somma di euro 15.938,50 per opere in cemento armato. All’udienza del 3 luglio 2007 il difensore del Comune, munito di procura speciale, dichiarava a verbale di volere proporre querela di falso avverso ‘l’estratto del registro di contabilità relativo al 13° stato di avanzamento lavori prodotto dalla RAGIONE_SOCIALE come documento n. 8 del fascicolo di primo grado’, concernendo la falsità l’apposizione della riserva n. 1 da parte dell’appaltatore, riserva sulla base della quale il Tribunale di Cuneo aveva emesso la condanna del Comune. La Corte d’appello di Torino, ritenuta la ritualità e la rilevanza della querela, sospendeva il processo, assegnando alle parti il termine di tre mesi per la riassunzione dalla causa di falso davanti al Tribunale territorialmente competente.
Il Comune di Fossano riassumeva il giudizio davanti al Tribunale di Velletri, proponendo querela di falso avverso ‘l’estratto del registro di contabilità n. 13 e del 13° stato di avanzamento dei predetti lavori prodotto nella causa di primo grado dalla RAGIONE_SOCIALE come documento n. 8′. Si costituiva RAGIONE_SOCIALE, proponendo domanda riconvenzionale di querela di falso ‘avverso il documento NUMERO_DOCUMENTO prodotto in questo giudizio dal Comune, indicato come copia del registro di contabilità n. 13′.
Con sentenza n. 1684 del 24 -30 ottobre 2012 il Tribunale di Velletri dichiarava inammissibile la querela di falso proposta nei confronti dell’estratto del registro di contabilità n. 13 (pag. 106 più allegati), prodotto da RAGIONE_SOCIALE quale documento n. 8, ‘ in quanto si tratta di documento non proveniente dal direttore dei lavori ‘ non opponibile come tale al Comune; rigettava la querela di falso
proposta nei confronti del registro di contabilità n. 3 (pag. 106) prodotto in copia da parte attrice;
dichiarava la falsità del 13° SAL prodotto in copia da parte convenuta al doc. 8 (pag. 110 e 11)’nella parte in cui contiene la dicitura a pag. 1 e a pag. 2 e nella parte in cui manca la dicitura a pag. 2′.
La sentenza è stata impugnata da RAGIONE_SOCIALE e la Corte d’appello di Roma, con sentenza 8 maggio 2018, n. 2996, ha rigettato l’appello dell’appaltatrice ritenendo, in base ad un ragionamento presuntivo, che quel documento (che non conteneva ‘ le riserve ‘) non fosse falso, mentre lo era l’altra copia, quella formata dopo, contenente ‘ le riserve ‘.
Avverso la sentenza ricorre per cassazione RAGIONE_SOCIALE
Resiste con controricorso il Comune di Fossano. La ricorrente ha depositato memoria.
CONSIDERATO CHE
Il ricorso è articolato in cinque motivi.
Il primo motivo contesta ‘nullità della sentenza per violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4 c.p.c. per motivazione irriducibilmente contraddittoria e meramente apparente e comunque per violazione dell’art. 342 c.p.c. in ordine al contenuto dell’atto di appello’: ‘in via tuzioristica perché trattasi più di un obiter che di un’effettiva ratio decidendi , essendo poi scesa la Corte nel merito della vicenda’, si contesta alla Corte d’appello di avere prima ritenuto non specifico l’atto di appello, a fronte invece della sua specificità, e poi di averlo ritenuto infondato.
Il motivo è inammissibile per mancanza di interesse. Come riconosce la ricorrente, il giudice d’appello ha, sì, in premessa ritenuto che le doglianze dell’appellante fossero inammissibili ai sensi dell’art. 342 c.p.c., ma tali doglianze ha poi esaminato nel merito, ritenendole infondate, e ha poi rigettato il gravame, così che il riferimento alla genericità del gravame costituisce un mero
obiter dictum , che non ha influito sul dispositivo della decisione, la cui ratio decidendi è rappresentata, non a caso, dal rigetto dell’appello (cfr. al riguardo, ex multis , Cass. n. 7995/2022; cass. 30354/2017).
2. Il secondo motivo denuncia ‘nullità della sentenza, ex art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., per omessa decisione su motivo d’appello relativo alla eccezione di vincolatività dei fatti non contestati (art. 115 c.p.c.) in primo grado’: la Corte d’appello è incorsa in una ‘evidente omissione di pronuncia’ in ordine al motivo d’appello con il quale la ricorrente contestava la decisione di prime cure, dimostrando come la copia senza riserva dei documenti contabili dell’appalto era una delle plurime stampe ed era essa stessa falsa, doglianza mossa nell’appello alle pagg. 6 e ss.
Il motivo è infondato.
La ricorrente con l’atto di appello si doleva del rigetto della querela di falso da essa proposta in via riconvenzionale davanti al Tribunale di Velletri e faceva valere ‘ l’erronea valutazione degli elementi probatori acquisiti ‘ (v. atto di appello alle pagg. 2 e ss.). Ebbene, tale censura è stata esaminata dalla Corte d’appello e la critica oggi proposta investe, piuttosto, la valutazione delle prove posta essere dal giudice di merito, contestando ‘l’esclusione di ogni valenza probatoria alle determinazioni adottate dal Tribunale di Cuneo in sede penale’, ma ciò non integra il vizio di omessa pronuncia (si veda, ad esempio, Cass. 5730/2020, secondo cui ‘poiché il vizio di omessa pronuncia si concreta nel difetto del momento decisorio, per integrare detto vizio occorre che sia stato completamente omesso il provvedimento indispensabile per la soluzione del caso concreto, ciò che si verifica quando il giudice non decide su alcuni capi della domanda, che siano autonomamente apprezzabili, o sulle eccezioni proposte, ovvero quando pronuncia solo nei confronti di alcune parti; per contro, il mancato o insufficiente esame delle argomentazioni delle parti integra un vizio
di natura diversa, relativo all’attività svolta dal giudice per supportare l’adozione del provvedimento, senza che possa ritenersi mancante il momento decisorio’).
Il terzo motivo lamenta ‘ingiustizia della sentenza per violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360, n. 3 c.p.c., della disciplina delle presunzioni (artt. 2727 e 2729 c.c.)’: in ogni caso la sentenza impugnata sarebbe ‘del pari nulla per una vera voragine giustificativa’ in relazione alle argomentazioni relative alla pretesa falsità ‘dei due documenti in cui figura la riserva’; si sarebbe infatti ‘in presenza di un tentativo di giustificazione che si risolve, invece, in una mera tautologia’, in quanto non esisterebbe ‘alcun argomento, meno che mai prova, che ad essere stato stampato dopo sia l’atto che reca la dizione , sicché è semplicemente illogico concludere che il documento senza riserva sia vero e l’altro falso’.
Anche tale motivo è infondato.
La censura, che richiama il parametro della violazione o falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 c.c., da un lato si risolve invece in una contestazione della motivazione addotta dal giudice di merito – motivazione che peraltro esiste, è adeguata (cfr. le pagg. 3 e 4 della sentenza impugnata) e non si risolve in una mera tautologia – e dall’altro si sostanzia in una inammissibile critica del giudizio – riservato al giudice di merito e non censurabile di fronte a questa Corte di legittimità – di gravità, precisione e concordanza degli elementi presuntivi della falsità del documento formulato dalla Corte d’appello (sui limiti del controllo del ragionamento presuntivo da parte della Corte di cassazione si veda, per tutte, Cass. n. 9054/2022).
Il quarto motivo contesta ‘nullità della sentenza, ex art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., per violazione dell’art. 116 c.p.c. in ordine all’efficacia legale della prova documentale costituita dalle copie dei documenti contabili oggetto della querela di falso proposta dal
Comune’: la Corte d’appello non ha considerato, nell’accogliere la domanda di querela di falso proposta dal Comune e nel rigettare quella invece fatta valere in via riconvenzionale dalla ricorrente, che sulla copia prodotta da quest’ultima vi era il timbro del direttore dei lavori che vale come assunzione di paternità dello scritto su cui è apposto, così pretermettendo la legale efficacia probatoria ex art. 2699 c.c. di tale documento, così violando la primaria regola di cui all’art. 116 c.p.c. che limita la libertà di convincimento del giudice nel caso di prove legali.
Il motivo è infondato.
La ricorrente contesta infatti al giudice di merito di non avere considerato l’efficacia di prova legale del documento da essa prodotto, ma non considera che il processo in esame è di querela di falso, appunto volto ad accertare la falsità del documento indipendentemente dalla sua efficacia di prova legale, così che si finisce per contestare l’errato esercizio della valutazione della prova secondo il prudente apprezzamento del giudice di merito. In tal caso, come hanno precisato le sezioni unite di questa Corte, ove si deduca che il giudice ha male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura della violazione dell’art. 116 c.p.c. ‘è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione’ (Cass., sez. un., n. 20867/2020).
Il quinto motivo denuncia ‘nullità della sentenza per violazione dell’art. 654 c.p.p. in ordine alla pretesa inefficacia del giudicato penale nel presente giudizio civile, unitamente a violazione dell’art. 530, comma 1 c.p.p.’: è certo che la sentenza del Tribunale penale di Cuneo, recante ‘l’assoluzione piena del legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE e della non falsità delle copie del registro di contabilità e del SAL n. 13′, è passata in giudicato.
Il motivo segue la sorte dei precedenti e dunque è anch’esso infondato.
Il Tribunale penale di Cuneo, con la sentenza n. 645 del 2009, ha assolto NOME COGNOME, amministratore unico della società RAGIONE_SOCIALE, del reato a lui contestato – di contraffazione delle copie in suo possesso del registro di contabilità n. 13 e del tredicesimo stato di avanzamento dei lavori, appaltati dal Comune di Fossano, di costruzione di una piscina coperta mediante l’apposizione alla pag. 106 della copia in suo possesso -con la formula ‘ il fatto non costituisce reato ‘ , non essendo risultato provato (v. la sentenza del Tribunale di Velletri n. 2996/2018) l’elemento soggettivo del reato , osservando che, in ogni caso, i fatti non sarebbero a lui attribuibili, avendo i testimoni fatto riferimento ad altro soggetto quale uomo dall’età apparente di 50 -55 anni ed avendo invece l’imputato più di 80 anni (cfr. la sentenza del Tribunale di Cuneo).
L’assoluzione dell’imputato dai reati contestati non vincolava pertanto il Tribunale di Velletri a ritenere genuino il documento prodotto dalla ricorrente.
Va ricordato che il giudizio civile di falso e il procedimento penale di falso, pur conducendo entrambi all’eliminazione dell’efficacia rappresentativa del documento risultato falso, si differenziano per la funzione e l’oggetto, in quanto il giudizio civile tende a dimostrare la totale o parziale non rispondenza al vero di un determinato documento nel suo contenuto obiettivo o nella sua sottoscrizione e non, come quello penale, a identificare l’autore della falsificazione, ai fini della applicazione della sanzione penale (v. Cass. n. 2524/2006 e Cass. n. 2516/1995).
II. Il ricorso va pertanto rigettato.
Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater del d.P.R. n. 115/ 2002, si d à atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a
titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio in favore del controricorrente che liquida in euro 3.700,00 di cui euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali (15%) e accessori di legge.
Sussistono, ex art. 13, comma 1quater del d.P.R. n. 115/2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella adunanza camerale della sezione