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Querela di falso: discordanze apparenti e onere prova

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un contribuente che aveva proposto una querela di falso contro l’Agenzia delle Entrate. La presunta falsificazione riguardava l’aggiunta dell’indirizzo di residenza nelle copie delle dichiarazioni fiscali estratte dal sistema informatico dell’Agenzia. La Corte ha stabilito che la valutazione del giudice di merito, che aveva ritenuto la discrasia meramente apparente e frutto di un’integrazione automatica dei dati da parte del sistema, non è sindacabile in sede di legittimità, trattandosi di un apprezzamento di fatto. Di conseguenza, la querela di falso è stata rigettata.

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Pubblicato il 17 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Querela di Falso: Quando una Differenza Documentale non è Falsità

Nel complesso mondo del contenzioso tributario, la validità dei documenti è cruciale. Ma cosa succede se la copia di una dichiarazione dei redditi prodotta dall’Amministrazione Finanziaria presenta dati diversi rispetto all’originale inviato dal contribuente? Si tratta automaticamente di un documento falso? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i confini della querela di falso, spiegando perché una discrasia generata da un sistema informatico non integra necessariamente una contraffazione.

I Fatti di Causa

Un contribuente avviava una causa civile proponendo una querela di falso nei confronti dell’Agenzia delle Entrate. L’oggetto della contestazione erano le dichiarazioni fiscali relative agli anni dal 2007 al 2010. Secondo il ricorrente, le copie prodotte in giudizio dall’Agenzia erano state contraffatte: in particolare, nel quadro relativo alla residenza anagrafica, compariva un indirizzo che egli sosteneva di non aver mai inserito nei modelli originali, presentati telematicamente tramite un intermediario abilitato.

Il Tribunale di primo grado dichiarava la domanda inammissibile. Successivamente, la Corte d’Appello, pur ritenendo la querela ammissibile in astratto, la respingeva nel merito. Il giudice di secondo grado concludeva che la differenza tra i documenti fosse solo una “apparente discrasia”. La motivazione risiedeva nel funzionamento del sistema informatico dell’Agenzia: quando un documento viene estratto dal “cassetto fiscale” del contribuente, il software completa automaticamente alcuni campi, come quello della residenza anagrafica, attingendo ai dati già in possesso dell’anagrafe tributaria. Lo stesso accadeva per l’inserimento del numero di protocollo e della data di presentazione.

Insoddisfatto della decisione, il contribuente proponeva ricorso per Cassazione.

L’Analisi della Corte di Cassazione sulla querela di falso

La Suprema Corte ha esaminato congiuntamente i primi tre motivi di ricorso, ritenendoli inammissibili. Il ricorrente lamentava la violazione delle norme sulla valutazione delle prove (artt. 115 e 116 c.p.c.) e sull’onere della prova (art. 2697 c.c.), oltre all’omesso esame di un fatto decisivo. Sostanzialmente, criticava la Corte d’Appello per aver qualificato la differenza documentale come “apparente” anziché come una vera e propria falsificazione.

La Cassazione ha chiarito un punto fondamentale del processo civile: il giudizio di legittimità non serve a riesaminare i fatti o a valutare nuovamente le prove. Questo compito spetta esclusivamente ai giudici di merito (Tribunale e Corte d’Appello). La scelta e la valutazione delle prove, così come l’accertamento dei fatti, sono attività riservate al loro apprezzamento. Il ricorso per Cassazione, invece, deve limitarsi a denunciare errori nell’applicazione della legge.

Nel caso specifico, le censure del contribuente, sebbene formalmente presentate come violazioni di legge, miravano in realtà a ottenere una nuova valutazione delle risultanze probatorie, contrapponendo la propria interpretazione a quella data dalla Corte d’Appello. Un’operazione, questa, non consentita in sede di legittimità.

Le motivazioni della decisione

La decisione della Corte di Cassazione si fonda sulla distinzione tra l’accertamento del fatto e la violazione della legge. La Corte d’Appello aveva fondato la sua decisione su un accertamento di fatto: la discrasia era il risultato del normale funzionamento del sistema informatico dell’Agenzia delle Entrate, che arricchisce automaticamente i documenti con dati già noti. Stabilire se questa ricostruzione fosse corretta è un giudizio di merito, insindacabile in Cassazione.

Di conseguenza, i motivi di ricorso che contestavano tale ricostruzione sono stati giudicati inammissibili perché, di fatto, chiedevano alla Suprema Corte di sostituirsi al giudice di merito nell’analisi delle prove. La Cassazione ha ribadito che il suo ruolo non è quello di stabilire se le prove sono state valutate bene o male, ma solo se il giudice abbia applicato correttamente le norme giuridiche.

Anche il motivo relativo alla condanna alle spese legali è stato dichiarato inammissibile. La Corte ha ricordato che, in base al principio della soccombenza, la parte che perde la causa deve pagare le spese. La quantificazione di tali spese rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, purché rispetti i limiti tariffari previsti dalla legge.

Conclusioni

L’ordinanza offre importanti spunti pratici. In primo luogo, non ogni differenza tra la copia di un documento e il suo originale costituisce prova di un falso materiale. Nell’era della digitalizzazione, è fondamentale considerare il funzionamento dei sistemi informatici che possono integrare o modificare automaticamente la formattazione o il contenuto dei documenti estratti dagli archivi. Una querela di falso basata su tali discrepanze, se spiegabili tecnicamente, ha scarse probabilità di successo.

In secondo luogo, la pronuncia riafferma i rigidi limiti del giudizio di Cassazione. Le parti non possono utilizzare il ricorso per legittimità come un terzo grado di giudizio per tentare di ribaltare l’esito della valutazione delle prove. Le critiche devono vertere su errori di diritto e non sull’apprezzamento dei fatti operato dai giudici dei gradi precedenti.

Una differenza tra la copia di una dichiarazione fiscale presentata dal contribuente e quella estratta dal cassetto fiscale dell’Agenzia delle Entrate costituisce un falso?
No, non necessariamente. Secondo la decisione in esame, se la differenza è dovuta a un’integrazione automatica di dati da parte del sistema informatico (come l’inserimento dell’indirizzo di residenza), si tratta di una “discrasia apparente” e non di una contraffazione idonea a fondare una querela di falso.

È possibile contestare in Cassazione la valutazione delle prove fatta dal giudice di merito in una causa di querela di falso?
No, la Corte di Cassazione svolge un giudizio di legittimità, non di merito. Pertanto, non può riesaminare le prove o sostituire la propria valutazione a quella del giudice dei gradi precedenti. Le censure relative all’erronea ricognizione dei fatti sono inammissibili.

Chi paga le spese legali se la querela di falso viene respinta?
In base al principio della soccombenza, la parte che ha proposto la querela di falso e ha perso la causa è tenuta a pagare le spese legali sostenute dalla controparte. La quantificazione di tali spese è decisa dal giudice.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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