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Querela di falso: come si prova con le presunzioni?

La Corte di Cassazione conferma la decisione di merito che ha accolto una querela di falso contro una dichiarazione di remissione del debito. La sentenza stabilisce che la falsità di un documento, in questo caso un foglio firmato in bianco e riempito abusivamente, può essere provata attraverso presunzioni gravi, precise e concordanti, senza la necessità di una perizia tecnica. Gli elementi considerati includevano l’incompatibilità tra le competenze informatiche della firmataria e la formattazione del documento, e la mancata restituzione dei titoli di credito originali.

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Pubblicato il 4 dicembre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Querela di falso: come si prova con le presunzioni?

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 18958/2024, ha affrontato un interessante caso di querela di falso, chiarendo come la prova della falsità di un documento possa essere raggiunta anche attraverso un solido quadro di presunzioni. La vicenda riguarda una presunta remissione di debito, contestata dalla creditrice come frutto di un riempimento abusivo di un foglio firmato in bianco. Analizziamo insieme i fatti e i principi di diritto affermati dalla Suprema Corte.

I Fatti di Causa

La controversia ha origine da due decreti ingiuntivi emessi dal Tribunale di Milano, con cui si ordinava a due coniugi la restituzione di somme di denaro ricevute a titolo di prestito, per un totale di oltre 130.000 euro. I debitori si opponevano ai decreti, sostenendo che il debito fosse stato interamente estinto grazie a una “dichiarazione spontanea” di remissione firmata dalla creditrice.

La creditrice, tuttavia, reagiva presentando una querela di falso contro tale documento. La sua tesi era netta: aveva sì firmato un foglio in bianco, ma lo aveva fatto per affidarne la gestione di alcuni immobili a uno dei debitori. Quest’ultimo, secondo l’accusa, ne avrebbe approfittato per riempire abusivamente il foglio, trasformandolo in una remissione del debito mai voluta.

Il Tribunale di primo grado rigettava la querela e revocava i decreti ingiuntivi. La Corte d’Appello di Milano, però, ribaltava completamente la decisione: accoglieva la querela di falso, dichiarava la falsità del documento e confermava l’obbligo dei debitori di restituire le somme prestate.

La Decisione della Cassazione sulla querela di falso

I debitori ricorrevano quindi in Cassazione, contestando la valutazione delle prove operata dalla Corte d’Appello. La Suprema Corte ha rigettato integralmente il ricorso, confermando la sentenza di secondo grado. Il punto centrale della decisione risiede nella validità della prova per presunzioni nel giudizio di querela di falso.

La Cassazione ha ribadito che l’onere di provare la falsità di un documento può essere assolto con qualsiasi mezzo, incluse le presunzioni, purché queste siano “gravi, precise e concordanti”, come richiesto dall’art. 2729 del Codice Civile. Non è quindi indispensabile ricorrere a una consulenza tecnica d’ufficio (CTU) per accertare, ad esempio, la datazione dell’inchiostro, se il quadro indiziario è sufficientemente robusto.

Le Motivazioni

La Corte ha ritenuto impeccabile il ragionamento logico-deduttivo seguito dai giudici d’appello, basato su una pluralità di elementi convergenti. Vediamo i principali:

1. Caratteristiche del documento: Il testo della remissione era redatto al computer, con un’impaginazione professionale (margini giustificati, grassetti) e un linguaggio tecnico-giuridico. Queste caratteristiche apparivano incompatibili con le dichiarate scarse competenze informatiche della creditrice, una persona anziana, come confermato anche dalla testimonianza del figlio.
2. Comportamento anomalo: Nonostante la presunta remissione, la creditrice non aveva restituito ai debitori gli assegni bancari che le erano stati consegnati a garanzia del prestito. Questo comportamento è stato giudicato anomalo e in contrasto con la prassi comune, secondo cui la remissione del debito è accompagnata dalla restituzione dei titoli.
3. Mancato incasso degli assegni: La Corte ha ritenuto provato che la creditrice non avesse incassato gli assegni su richiesta degli stessi debitori, consapevoli che sarebbero risultati scoperti. Questo elemento, unito al fatto che alcuni assegni erano già scaduti prima della data della presunta remissione, indeboliva ulteriormente la tesi dei debitori.
4. Inclusione del mutuo ipotecario: La remissione includeva anche un ulteriore debito garantito da ipoteca, che non era nemmeno oggetto dei decreti ingiuntivi. Era apparso illogico che, a fronte di una remissione così ampia, non fosse seguita alcuna richiesta di cancellazione dell’ipoteca da parte del debitore.
5. Sproporzione: La Corte ha considerato sproporzionato l’importo del debito rimesso rispetto alle attività di gestione immobiliare che, secondo i debitori, ne costituivano la causa. Era più verosimile che tali attività fossero state prestate a titolo gratuito, come segno di gratitudine per i prestiti ricevuti.

Le Conclusioni

La sentenza consolida un importante principio in materia di prova processuale. La querela di falso non richiede necessariamente prove dirette o tecniche. Un insieme coerente di prove logiche e indiziarie può essere sufficiente a fondare la convinzione del giudice sulla falsità di un documento. La decisione sottolinea l’importanza di una valutazione complessiva e non atomistica degli indizi, che, se convergenti, possono costituire una prova piena e convincente. Questo principio garantisce flessibilità al sistema probatorio e consente al giudice di accertare la verità sostanziale dei fatti anche in assenza di prove scientifiche.

È possibile provare la falsità di un documento solo con presunzioni, senza una perizia tecnica?
Sì, la Corte di Cassazione ha confermato che l’onere della prova nel giudizio di querela di falso può essere assolto attraverso qualsiasi mezzo, incluse le presunzioni, a condizione che siano gravi, precise e concordanti. Non è quindi sempre necessaria una consulenza tecnica.

Cosa rende una serie di indizi una prova valida per presunzioni?
Per costituire una prova valida, gli indizi devono essere gravi (cioè resistenti alle obiezioni), precisi (non generici) e concordanti (convergenti verso la stessa conclusione). Il giudice non li valuta singolarmente, ma nel loro complesso, per verificare se la combinazione di essi consenta di raggiungere una conclusione logicamente coerente e con un alto grado di probabilità.

In caso di condanna solidale alle spese di lite, è rilevante che i debiti originari fossero di importo diverso?
No. La Corte ha stabilito che la condanna solidale alle spese è legittima quando le parti soccombenti hanno un “interesse comune”. Tale interesse può derivare dalla semplice identità delle questioni giuridiche sollevate e dalla convergenza delle strategie difensive, a prescindere dalla differente entità delle pretese economiche originarie.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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