Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 18958 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 2 Num. 18958 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 10/07/2024
SENTENZA
sul ricorso (iscritto al N.R.NUMERO_DOCUMENTO. NUMERO_DOCUMENTO) proposto da:
COGNOME NOME (C.F.: CODICE_FISCALE) e RAGIONE_SOCIALE (C.F.: CODICE_FISCALE), rappresentati e difesi, giusta procura in calce al ricorso, dall’AVV_NOTAIO, nel cui studio in Roma, INDIRIZZO, hanno eletto domicilio;
-ricorrenti –
contro
COGNOME NOME (C.F.: CODICE_FISCALE), rappresentata e difesa, giusta procura in calce al controricorso, dall’AVV_NOTAIO, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO;
-controricorrente –
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
U.P. 25/6/2024
Mutuo -Restituzione -Remissione del debito -Querela di falso
COGNOME NOME (C.F.: CODICE_FISCALE), quale erede universale di COGNOME NOME, rappresentato e difeso, giusta procura in calce alla memoria di ‘costituzione volontaria’, dall’AVV_NOTAIO, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO;
-interveniente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano n. 3951/2018, pubblicata il 23 agosto 2018, notificata a mezzo PEC il 3 settembre 2018;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 25 giugno 2024 dal AVV_NOTAIO relatore NOME COGNOME;
viste le conclusioni rassegnate nella memoria depositata dal AVV_NOTAIO.M. ex art. 378, primo comma, c.p.c., in persona del AVV_NOTAIO, che ha chiesto l’accoglimento del sesto motivo e il rigetto dei rimanenti motivi; conclusioni ribadite nel corso dell’udienza pubblica;
letta la memoria illustrativa depositata nell’interesse dei ricorrenti, ai sensi dell’art. 378, secondo comma, c.p.c.;
sentiti , in sede di discussione orale all’udienza pubblica, l’AVV_NOTAIO per i ricorrenti e l’AVV_NOTAIO -per delega dell’AVV_NOTAIO -per l’interveniente.
FATTI DI CAUSA
1. -Con decreti ingiuntivi provvisoriamente esecutivi n. 7126/2013 e n. 7538/2013, depositati il 24 febbraio 2013, il Tribunale di Milano ingiungeva il pagamento, rispettivamente verso COGNOME NOME e RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, delle somme di euro 102.000,00 e di euro 31.500,00, oltre interessi ex artt. 4 e 5 del d.lgs. n. 231/2002, in favore di COGNOME NOME, a titolo di restituzione degli importi dati in prestito nell’aprile e nel maggio 2011, cui aveva fatto seguito il rilascio di assegni bancari per importi corrispondenti con scadenze differite da gennaio a maggio 2012, ad integrazione dell’ulteriore prestito erogato in favore di COGNOME RAGIONE_SOCIALE per l’importo di euro 64.540,00, garantito mediante iscrizione di ipoteca volontaria, non oggetto dell’azione monitoria.
Proponevano separate opposizioni COGNOME NOME e RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, i quali chiedevano la revoca dei provvedimenti monitori opposti, poiché l’ingiungente aveva rimesso i debiti con ‘dichiarazione spontanea’ sottoscritta il 15 maggio 2012, sicché nulla era dovuto per i titoli dedotti in causa, accertando che, in ogni caso, non sussistevano i presupposti per l’applicabilità della disciplina di cui al d.lgs. n. 231/2002 con riferimento agli interessi moratori. In via riconvenzionale condizionata, COGNOME NOME chiedeva che COGNOME NOME fosse condannata al pagamento, in suo favore, di un congruo compenso per le attività oggetto dei mandati ricevuti o a titolo di gestione di affari altrui o per arricchimento senza causa per l’importo complessivo di euro 194.540,00 o del diverso, maggiore o minore, importo ritenuto di giustizia, con la relativa compensazione dei crediti.
Si costituiva nei giudizi di opposizione COGNOME NOME, la quale contestava la fondatezza delle pretese avversarie e spiegava querela incidentale di falso avverso la dichiarazione del 15 maggio 2012, sostenendo che, a fronte della propria sottoscrizione su foglio rilasciato in bianco, affinché il COGNOME provvedesse alla gestione degli immobili di cui era proprietaria, questi aveva provveduto al suo abusivo riempimento senza la volontà della sottoscrivente, che non aveva affatto rimesso i debiti. Negava altresì che alcunché fosse dovuto per le prestazioni eseguite dal COGNOME, debitamente saldate e per il resto prestate a titolo di gratitudine per i prestiti concessi.
Riuniti i giudizi di opposizione, era istruita la querela di falso con l’assunzione dell’ammessa prova per interpello e testimoniale.
Quindi, il Tribunale adito, con sentenza collegiale n. 3241/2016, depositata il 14 marzo 2016, rigettava la proposta querela di falso nei confronti della dichiarazione di remissione del debito del 15 maggio 2012, di cui al documento sub 4 prodotto dagli opponenti, e -per l’effetto accoglieva le opposizioni e revocava i decreti ingiuntivi opposti n. 7126/2013 e n. 7538/2013, ordinava la restituzione del documento oggetto di querela in favore di COGNOME RAGIONE_SOCIALE e mandava alla cancelleria per l’annotazione della sentenza sull’originale del documento.
2. -Avverso tale pronuncia proponeva appello COGNOME NOME, la quale lamentava: 1) la nullità e illegittimità della sentenza per l’ammissione irrituale dei documenti depositati all’udienza dell’11 febbraio 2014; 2) l’erronea valutazione delle prove relative alla falsità del documento oggetto di querela; 3)
l’erronea valutazione della prova sull’asserito contratto di finanziamento nei confronti di RAGIONE_SOCIALE.
Si costituivano nel giudizio di impugnazione RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, i quali instavano per la declaratoria di inammissibilità dell’appello ovvero per il suo rigetto.
Esprimeva parere il Pubblico Ministero.
Decidendo sul gravame interposto, la Corte d’appello di Milano, con la sentenza di cui in epigrafe, accoglieva l’appello e, per l’effetto, in integrale riforma della pronuncia impugnata, accoglieva la spiegata querela di falso nei confronti della dichiarazione di remissione del debito del 15 maggio 2012, di cui al documento sub 4, ordinava la cancellazione totale di tale dichiarazione di cui era accertata la falsità, ordinava a COGNOME NOME la restituzione, in favore di COGNOME NOME, di eventuali altri biancosegni dallo stesso ancora detenuti, confermava i decreti ingiuntivi n. 7126/2013 e n. 7538/2013 e, per l’effetto, condannava COGNOME NOME al pagamento della somma di euro 102.000,00, oltre interessi dal ricorso monitorio al saldo, e RAGIONE_SOCIALE al pagamento della somma di euro 31.500,00, oltre interessi dal ricorso monitorio al saldo, in favore di COGNOME NOME, provvedendo a regolamentare le spese di entrambi i gradi di giudizio, con condanna solidale di COGNOME NOME e RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE alla refusione di tali spese.
A sostegno dell’adottata pronuncia la Corte di merito rilevava per quanto di interesse in questa sede: a ) che, in tema di querela di falso, l’onere probatorio in capo al proponente poteva essere assolto attraverso l’indicazione di qualsiasi tipo di prova idoneo all’accertamento del falso e, quindi, anche a mezzo di
presunzioni univoche e concordanti, come emergeva dal quadro probatorio fornito nel caso di specie; b ) che gli opponenti avevano dichiarato di aver ricevuto il documento direttamente dalle mani della COGNOME, sicché nessuno dei due appellati aveva mai affermato di averlo redatto personalmente, previo consenso dell’interessata; c ) che tuttavia l’appellante come confermato dalla testimonianza del figlio COGNOME NOME -, anche in considerazione della sua avanzata età (essendo ultraottantenne), non era a vvezza all’utilizzo del computer, il che era incompatibile con le caratteristiche del documento, redatto appunto a mezzo computer, e avente un’impaginazione con margini giustificati e grassetti che difficilmente si addiceva ad un utilizzatore inesperto, apparendo provenire, invece, da soggetto con buona dimestichezza per i programmi di scrittura, anche in considerazione del linguaggio tecnico-giuridico adoperato, che non deponeva per l’attribuibilità del documento all’appellante; d ) che, contrariamente all’ assunto del Tribunale, la remissione del debito non era suffragata dalla circostanza incontestata del mancato incasso degli assegni di cui la RAGIONE_SOCIALE era in possesso, non avendo gli appellati, nel corso del giudizio, mai contestato che la RAGIONE_SOCIALE stessa non avesse portato all’incasso i titoli poiché pregata da loro in tal senso, consapevoli che sarebbero tornati protestati (come poi era avvenuto) e, in secondo luogo, perché alcuni assegni erano già scaduti prima della data della remissione del debito; e ) che la tesi degli appellati era altresì smentita dalla mancata riconsegna ai due debitori, da parte dell’appellante, a seguito dell’asserita remissione del debito, degli assegni in suo possesso, stante che, sebbene l’efficacia della remissione non
fosse subordinata alla restituzione dei titoli, non poteva non evidenziarsi l’anomalia di tale comportamento in contrasto con la prassi diffusa -che, ove letto alla luce del completo quadro indiziario, deponeva anch’esso a favore della falsità del documento oggetto di querela; f ) che ulteriore elemento indiziario non valutato dal Tribunale era costituito dal fatto che, tra i crediti oggetto della remissione, era compreso anche quello relativo al contratto di finanziamento per la somma di euro 64.540,00, stipulato con il COGNOME, credito assistito da ipoteca, che non era stato oggetto della pretesa monitoria, risultando, per l’effetto, alquanto anomalo, secondo l’ id quod plerumque accidit , che la creditrice non avesse, in seguito alla remissione, proceduto alla cancellazione dell’ipoteca e che il COGNOME non avesse richiesto che ciò avvenisse; g ) che la remissione di un debito di importo così considerevole non poteva trovare spiegazione unicamente nella serie di attività che COGNOME NOME aveva svolto in favore dell’appellante per un anno, mosso da sentimento di riconoscimento maturato a seguito del prestito ricevuto, poiché, sebbene tali attività avessero rappresentato verosimilmente un ausilio in favore della RAGIONE_SOCIALE, appariva quantomeno anomala la decisione di rimettere, per ciò solo, un debito di tale rilievo, comprensivo anche del mutuo garantito da ipoteca, a maggior ragione prima della scadenza degli (di alcuni degli) assegni; h ) che, al contrario, era più verosimile e logica la ricostruzione dei fatti resa dall’appellante, confermata dalla testimonianza del figlio, ossia che il COGNOME fosse solito ricevere alcuni fogli bianchi dalla COGNOME, proprio al fine di agevolare le citate attività di gestione degli immobili, e che avesse proceduto all’abusiva compilazione di
uno di essi; i ) che doveva ritenersi, del pari, contrariamente alla tesi del Tribunale, che anche la COGNOME avesse ricevuto a mutuo la somma di euro 31.500,00, poiché i sette assegni bancari emessi a sua firma integravano una promessa di pagamento, che comportava una presunzione iuris tantum dell’esistenza del rapporto sottostante, senza che la COGNOME avesse fornito la prova dell’estinzione di tale rapporto, attesa la falsità della dichiarazione di remissione del debito avente ad oggetto anche la somma di euro 31.500,00, di cui era debitrice; l ) che, quanto alla domanda riconvenzionale condizionata, assorbita in primo grado e riproposta in appello, volta ad accertare il diritto del COGNOME a percepire un compenso per le attività svolte in favore della RAGIONE_SOCIALE, tali attività, come dallo stesso COGNOME affermato, erano giustificate unicamente in virtù di un sentimento di gratitudine sorto a seguito del prestito erogato dalla RAGIONE_SOCIALE in suo favore, sicché era evidente che l’appellato avesse intrapreso tali attività a titolo del tutto gratuito e non in ossequio ad un rapporto oneroso instauratosi con l’appellante; m ) che le istanze istruttorie proposte dagli appellati nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo, come riproposte in appello, erano inammissibili, in quanto irrilevanti e superate dalle argomentazioni esposte.
-Avverso la sentenza d’appello hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a otto motivi, COGNOME NOME e RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE.
Ha resistito, con controricorso, l’intimata COGNOME NOME.
È intervenuto in giudizio COGNOME NOME, quale erede di COGNOME NOME, a seguito del suo decesso avvenuto nel corso del giudizio di legittimità.
Il Pubblico Ministero ha depositato memoria ex art. 378, primo comma, c.p.c., in cui ha rassegnato le conclusioni trascritte in epigrafe.
All’esito, i ricorrenti hanno depositato memoria illustrativa, ai sensi dell’art. 378, secondo comma, c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. -Preliminarmente deve essere dichiarata l’ammissibilità dell’intervento spiegato da COGNOME NOME, in qualità di erede universale di COGNOME NOME, deceduta nel corso del giudizio di legittimità e segnatamente in data 4 febbraio 2023, a fronte dell’instaurazione del giudizio di cassazione il 2 novembre 2018, data di notifica a mezzo PEC del ricorso introduttivo.
Ora, in tema di giudizio di cassazione, poiché l’applicazione della disciplina di cui all’art. 110 c.p.c. non è espressamente esclusa per il processo di legittimità, né appare incompatibile con le forme proprie dello stesso, il soggetto che ivi intenda proseguire il procedimento, quale successore a titolo universale di una delle parti già costituite, deve allegare e documentare, tramite le produzioni consentite dall’art. 372 c.p.c., tale sua qualità, attraverso un atto che, assumendo la natura sostanziale di un intervento, sia partecipato alla controparte -per assicurarle il contraddittorio sulla sopravvenuta innovazione soggettiva consistente nella sostituzione della legittimazione della parte originaria -mediante notificazione, non essendone, invece,
sufficiente il semplice deposito nella cancelleria della Corte, come per le memorie ex artt. 378 e 380bis c.p.c., poiché l’attività illustrativa che si compie con queste ultime è priva di carattere innovativo (Cass. Sez. 6-3, Ordinanza n. 8973 del 15/05/2020; Sez. U, Sentenza n. 9692 del 22/04/2013).
Nella fattispecie, l’interveniente ha depositato in via telematica la memoria di costituzione -meramente adesiva alle deduzioni e conclusioni rassegnate nel controricorso -, corredata dai seguenti documenti: estratto per riassunto dell’atto di morte di COGNOME NOME, copia della denuncia di successione di COGNOME NOME e dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà.
Attraverso il deposito in via telematica di tali atti, con la relativa memoria di costituzione, essi sono stati resi conoscibili ai ricorrenti, che non hanno sollevato osservazioni in proposito.
2. -Tanto premesso, con il primo motivo i ricorrenti denunciano, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2727 e ss. c.c., 2697 c.c. e 221 e ss. c.p.c., per avere la Corte di merito ritenuto l’esistenza di presunzioni gravi, precise e concordanti ai fini della prova della falsità del documento controverso, denominato ‘dichiarazione spontanea’ e contenente remissione del debito a firma di COGNOME NOME, sottoscrizione non disconosciuta da ll’intimata, sulla scorta dell’asserito abusivo riempimento di biancosegno absque pactis o sine pactis , alla stregua dell’originaria destinazione del documento ipoteticamente sottoscritto in bianco ad un uso diverso da quello concretamente verificatosi, senza ammettere la richiesta consulenza tecnica
d’ufficio atta ad accertare l’eventuale coincidenza temporale tra il momento della sottoscrizione e il momento della redazione del testo sovraesposto, circostanza, questa, che sarebbe stata dirimente, e avvalendosi invece di circostanze meramente indiziarie.
Senonché, ad avviso degli istanti, i fatti valorizzati sarebbero stati del tutto privi dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, a fronte di un documento dal contenuto chiaro e inequivocabile di remissione del debito, rispetto al quale la controparte sarebbe stata gravata da un onus probandi rigoroso.
Osservano i ricorrenti che la testimonianza di COGNOME NOMENOME quale figlio unico della COGNOME -vedova -, e non più coabitante con la stessa dal 1995, era stata resa de relato actoris mentre, con riferimento all’omesso incasso dei titoli, alla mancata restituzione degli stessi, all’omessa cancellazione dell’ipoteca sul primo finanziamento concesso, all’irrilevanza dello svolgimento delle attività da parte del RAGIONE_SOCIALE in favore della RAGIONE_SOCIALE e all’incapacità di utilizzo del computer da parte della stessa COGNOME, tali circostanze non sarebbero state univocamente significative della falsità del riempimento.
2.1. -Il motivo è infondato.
E tanto perché la ricostruzione della sentenza impugnata sulla falsità della ‘dichiarazione spontanea’ di remissione del debito del 15 maggio 2012, in ragione del riempimento di foglio sottoscritto in bianco absque o sine pactis , è stata basata su una serie di indizi convergenti e complessivamente ponderati, come puntualmente descritti: -la dichiarazione di ricezione del documento direttamente dalle mani della COGNOME, senza che i
beneficiari della remissione avessero mai affermato di aver redatto il documento personalmente, previo consenso dell’interessata; – la mancata predisposizione della COGNOME all’uso del computer, anche in considerazione della sua avanzata età (essendo ultraottantenne), come confermato dalla testimonianza del figlio COGNOME NOME, condizione incompatibile con le caratteristiche del documento, redatto appunto a mezzo computer e avente un’impaginazione con margini giustificati e grassetti che difficilmente si addiceva ad un utilizzatore inesperto; – la riconduzione della provenienza del documento a soggetto con buona dimestichezza per i programmi di scrittura; -la considerazione del linguaggio tecnico-giuridico adoperato, che non deponeva per l’attribuibilità del documento alla COGNOME; – il difetto di contestazione sulla circostanza che la COGNOME non avesse portato all’incasso i titoli poiché pregata dai mutuatari in tal senso, allo scopo di evitare che essi tornassero protestati (come poi era avvenuto) e alla stregua della già avvenuta scadenza di alcuni di essi prima della data della apparente remissione del debito; – la mancata riconsegna degli assegni dalla mutuante ai mutuatari, a seguito dell’asserita remissione del debito, contegno alquanto anomalo, in contrasto con la prassi diffusa; l’inclusione, tra i crediti oggetto della remissione, anche del credito derivante dal contratto di finanziamento per la somma di euro 64.540,00, credito assistito da ipoteca, che non era stato oggetto della pretesa monitoria; – la carenza, in ordine a tale ultimo credito in tesi rimesso, della cancellazione dell’ipoteca; – la mancata giustificazione della remissione di un debito di importo così considerevole con la serie di attività che COGNOME RAGIONE_SOCIALE
aveva svolto in favore della RAGIONE_SOCIALE per un anno; -la riconduzione dello svolgimento di tali attività al sentimento di riconoscimento maturato dal beneficiario del prestito; -la sproporzione tra il tenore e il valore di tali attività e l’ammontare di un debito di siffatto rilievo, comprensivo anche del mutuo garantito da ipoteca, a maggior ragione prima della scadenza degli (di alcuni degli) assegni consegnati; – il ricevimento, da parte del COGNOME, di alcuni fogli bianchi sottoscritti dalla COGNOME, proprio al fine di agevolare le attività di gestione degli immobili, come testimoniato dal COGNOME; – il ricevimento del mutuo anche in favore della COGNOME, in ragione dell’emissione, a sua firma, di sette assegni bancari; – il difetto di prova, a cura della COGNOME, dell’estinzione di tale rapporto.
Elementi, questi, da cui è stato tratto il convincimento in merito alla probabile compilazione abusiva, a cura del COGNOME, di uno dei fogli con firma in bianco.
A fronte di siffatto quadro descrittivo, nessuna contestazione può essere mossa in questa sede avverso il ragionamento inferenziale articolato in sede di merito.
In primis , si rileva che, in tema di prova presuntiva, il giudice è tenuto, ai sensi dell’art. 2729 c.c., ad ammettere solo presunzioni ‘gravi, precise e concordanti’, laddove il requisito della ‘precisione’ è riferito al fatto noto, che deve essere determinato nella realtà storica, quello della ‘gravità’ al grado di probabilità della sussistenza del fatto ignoto desumibile da quello noto, mentre quello della ‘concordanza’, richiamato solo in caso di pluralità di elementi presuntivi (sulla mera eventualità, ma non necessità, del concorso di più elementi presuntivi: Cass. Sez. 5,
Ordinanza n. 11162 del 28/04/2021; Sez. 6-2, Ordinanza n. 2482 del 29/01/2019; Sez. 1, Ordinanza n. 23153 del 26/09/2018; Sez. 5, Sentenza n. 656 del 15/01/2014; Sez. 5, Sentenza n. 17574 del 29/07/2009; Sez. 1, Sentenza n. 19088 del 11/09/2007), richiede che il fatto ignoto sia -di regola -desunto da una pluralità di indizi gravi, precisi e univocamente convergenti nella dimostrazione della sua sussistenza, e ad articolare il procedimento logico nei due momenti della previa analisi di tutti gli elementi indiziari, onde scartare quelli irrilevanti, e nella successiva valutazione complessiva di quelli così isolati, onde verificare se siano concordanti e se la loro combinazione consenta una valida prova presuntiva (c.d. convergenza del molteplice), non raggiungibile, invece, attraverso un’analisi atomistica degli stessi.
Ne consegue che la denuncia, in cassazione, di violazione o falsa applicazione del citato art. 2729 c.c., ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., può prospettarsi solo quando il giudice di merito affermi che il ragionamento presuntivo può basarsi su presunzioni non gravi, precise e concordanti ovvero fondi la presunzione su un fatto storico privo di gravità o precisione o concordanza ai fini dell’inferenza dal fatto noto della conseguenza ignota e non anche quando la critica si concreti nella diversa ricostruzione delle circostanze fattuali o nella mera prospettazione di una inferenza probabilistica diversa da quella ritenuta e applicata dal giudice di merito o senza spiegare i motivi della violazione dei paradigmi della norma (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 28261 del 09/10/2023; Sez. 1, Ordinanza n. 27266 del 25/09/2023; Sez. 2, Ordinanza n. 22903 del 27/07/2023; Sez. 2,
Ordinanza n. 20898 del 18/07/2023; Sez. 2, Ordinanza n. 8829 del 29/03/2023; Sez. 2, Ordinanza n. 9054 del 21/03/2022; Sez. 6-5, Ordinanza n. 34248 del 15/11/2021; Sez. L, Ordinanza n. 22366 del 05/08/2021; Sez. 2, Ordinanza n. 20553 del 19/07/2021; Sez. L, Sentenza n. 18611 del 30/06/2021; Sez. 1, Ordinanza n. 10253 del 19/04/2021; Sez. 6-1, Ordinanza n. 5279 del 26/02/2020; Sez. 6-3, Ordinanza n. 3541 del 13/02/2020; Sez. 5, Sentenza n. 15454 del 07/06/2019; Sez. 6-2, Ordinanza n. 2482 del 29/01/2019; Sez. L, Sentenza n. 29635 del 16/11/2018; Sez. 3, Ordinanza n. 17720 del 06/07/2018; Sez. 3, Ordinanza n. 9059 del 12/04/2018; Sez. 3, Sentenza n. 19485 del 04/08/2017; Sez. L, Sentenza n. 27671 del 15/12/2005; Sez. 2, Sentenza n. 3646 del 24/02/2004; Sez. L, Sentenza n. 11906 del 06/08/2003).
Ebbene, la sentenza impugnata ha offerto molteplici elementi indiziari convergenti, ampiamente giustificativi del ragionamento inferenziale svolto.
Sicché, rispetto ai dati indiziari utilizzati, la doglianza prospettata dai ricorrenti mira, in realtà, ad un’alternativa ricostruzione probabilistica della prova critica, che non può essere rimessa alla sede di legittimità, bastando che l’inferenza motivata dalla sentenza impugnata abbia una sua dignità e coerenza logica e non certamente che essa sia l’unica ipotesi possibile (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 15356 del 31/05/2024; Sez. 2, Ordinanza n. 15288 del 31/05/2024).
Per la configurazione di una presunzione giuridicamente valida non occorre, infatti, che l’esistenza del fatto ignoto rappresenti l’unica conseguenza possibile di quello noto, secondo
un legame di necessarietà assoluta ed esclusiva, sulla scorta della regola della inferenza necessaria, ma è sufficiente che dal fatto noto sia desumibile univocamente quello ignoto, alla stregua di un giudizio di probabilità basato sull’ id quod plerumque accidit , in virtù della regola dell’inferenza probabilistica (Cass. Sez. 6 -3, Ordinanza n. 21403 del 26/07/2021; Sez. 6-3, Ordinanza n. 20342 del 28/09/2020; Sez. 3, Sentenza n. 1163 del 21/01/2020; Sez. 2, Sentenza n. 3513 del 06/02/2019; Sez. L, Sentenza n. 2632 del 05/02/2014; Sez. 2, Sentenza n. 22656 del 31/10/2011; Sez. 3, Sentenza n. 24211 del 14/11/2006; Sez. 3, Sentenza n. 26081 del 30/11/2005; Sez. 3, Sentenza n. 23079 del 16/11/2005).
3. -Con il secondo motivo i ricorrenti prospettano, ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., con errata percezione delle risultanze processuali e nullità della sentenza impugnata in ordine al difetto di prova della falsità del documento controverso, per avere la Corte territoriale ritenuto che, nel corso del giudizio, gli opponenti e appellati non avessero mai contestato che la COGNOME non avesse portato all’incasso i titoli, in quanto pregata dai mutuatari in tal senso, nella consapevolezza che essi sarebbero tornati protestati ed anche in ragione del fatto che alcuni di tali assegni erano già scaduti prima della remissione del debito.
Mentre dalla lettura degli atti processuali sarebbe risultato l’esatto contrario, ossia la precisa negazione delle circostanze affermate dalla Corte, come sarebbe emerso dal tenore della comparsa conclusionale nel giudizio di primo grado (pag. 10) e
della memoria di replica sempre nel giudizio di primo grado (pag. 13 e 14).
3.1. -Il motivo è infondato.
Ed infatti, la ‘non contestazione’ espunge il fatto da quelli bisognosi di essere provati, soggiacendo inevitabilmente ad un termine decadenziale immediatamente precedente a quello in cui maturano le preclusioni istruttorie. In quest’ottica, mentre i fatti dedotti con gli atti introduttivi del giudizio possono essere contestati fino alla prima udienza, quelli allegati per la prima volta all’udienza di trattazione possono essere contestati solo con la prima memoria di cui all’art. 183, sesto comma, c.p.c. Ciò in quanto la controparte deve essere posta nelle condizioni di valutare se il fatto sia o meno, alla luce del comportamento processuale avverso, necessitante di essere provato e, quindi, se occorra o meno articolare mezzi istruttori sul punto, nel rispetto delle preclusioni sancite dall’art. 183, sesto comma, c.p.c. vigente ratione temporis (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 2223 del 25/01/2022).
Nella fattispecie, secondo lo stesso assunto dei ricorrenti, la contestazione dei fatti indicati sarebbe avvenuta solo con la memoria di replica nel giudizio di primo grado (non emergendo dal tenore riportato della comparsa conclusionale alcuna specifica contestazione dei menzionati accadimenti), con la conseguenza che tale asserita contestazione è, ad ogni modo, tardiva.
Peraltro, l’accertamento della sussistenza di una contestazione ovvero d’una non contestazione, rientrando nel quadro dell’interpretazione del contenuto e dell’ampiezza dell’atto della parte, è funzione del giudice di merito, sindacabile in
cassazione solo per vizio di motivazione nei ristretti limiti previsti dal nuovo art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 11584 del 30/04/2024; Sez. 2, Ordinanza n. 8967 del 04/04/2024).
Inoltre, il fatto asseritamente contestato non è decisivo ai fini della ricostruzione del ragionamento inferenziale, fondato su altre plurime e ben più significative e pregnanti circostanze, come innanzi riepilogate.
4. -Con il terzo motivo i ricorrenti contestano, ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 4 e 5, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 2730 e ss. c.c., 229, 115 e 116 c.p.c. nonché l’omesso esame del riconoscimento, negli atti processuali avversari, della natura onerosa delle attività professionali svolte da RAGIONE_SOCIALE in favore di COGNOME NOME, con l’erronea percezione delle risultanze processuali e con la conseguente nullità della sentenza, quanto al rigetto della proposta domanda riconvenzionale condizionata e alla correlata applicabilità della compensazione, per avere la Corte d’appello prospettato la gratuità dell’attività professionale svolta dal COGNOME in ordine alla gestione e cura del patrimonio immobiliare della RAGIONE_SOCIALE, in virtù del sentimento di gratitudine riposto dal primo nei confronti della seconda a seguito del prestito erogato.
Obiettano gli istanti che -per un verso -la pronuncia impugnata sarebbe incorsa nel vizio di omesso esame di un fatto decisivo, oggetto di discussione tra le parti, in quanto dagli atti avversari sarebbe emersa la confessione giudiziale in merito al riconoscimento operato dalla RAGIONE_SOCIALE circa la natura onerosa delle attività del COGNOME e circa il versamento di importi a
quest’ultimo da parte dell’intimata (avendo questa sostenuto, nella comparsa di costituzione e risposta nei giudizi di opposizione, che il COGNOME aveva percepito, per le mansioni svolte, la somma complessiva di euro 57.298,00 di pura quota capitale, al netto dell’IVA per l’omessa fatturazione verso la preponente), e -per altro verso -essa sarebbe affetta dal vizio di errata percezione delle affermazioni del COGNOME nei propri atti, in ordine nella natura dell’attività svolta.
4.1. -Il motivo è inammissibile.
Ed invero, sotto l’apparente veste di vizio di violazione di legge o di omesso esame di fatto decisivo, la censura mira in realtà ad ottenere una nuova valutazione sulle circostanze di fatto attinenti alla ritenuta gratuità delle attività svolte dal COGNOME, rivalutazione preclusa in questa sede (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 8773 del 03/04/2024; Sez. 5, Ordinanza n. 32505 del 22/11/2023; Sez. 1, Ordinanza n. 5987 del 04/03/2021; Sez. U, Sentenza n. 34476 del 27/12/2019; Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).
Il giudice del merito ha infatti valutato che le attività genericamente indicate, relative alla gestione degli immobili della proprietaria, come prestate dal COGNOME in favore della RAGIONE_SOCIALE, fossero riconducibili ad un intento liberale di gratitudine per i prestiti erogati.
A fronte di questa ponderazione, le circostanze addotte dai ricorrenti non sono affatto confutative della reputata gratuità. Infatti, non risulta che la somma versata dalla COGNOME in favore del COGNOME (per euro 57.298,00) si riferisse proprio alle attività
oggetto della proposta domanda riconvenzionale e fosse ascrivibile a titolo di compenso e non già di mero rimborso spese.
Peraltro, nella difesa della parte opposta è stato precisato che alcune delle attività svolte dall’opponente erano state remunerate ed altre erano state prestate a titolo gratuito.
E d’altronde, quand’anche così fosse, in ordine a tale attività il pagamento sarebbe già avvenuto, il che priverebbe comunque la domanda riconvenzionale di alcun fondamento.
Né sono stati riportati nel ricorso -nel rispetto del principio di autosufficienza -specifici riferimenti ai criteri di determinazione utilizzati per la quantificazione delle somme pretese, in relazione alle puntuali attività svolte.
5. -Con il quarto motivo i ricorrenti lamentano, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1703 e ss., 1709, 2028, 2041 e 1241 e ss. c.c., anche in relazione agli artt. 2697 c.c. e 115 e 116 c.p.c., in ordine alla natura necessariamente onerosa delle attività del COGNOME, con il conseguente accoglimento della domanda riconvenzionale condizionata e l’applicabilità della compensazione, per avere la Corte distrettuale disapplicato il principio inerente alla presunzione di onerosità del mandato, che avrebbe richiesto una prova contraria della sua gratuità, desumibile dalle circostanze del rapporto.
In difetto di tali elementi contrari, il mandato avrebbe dovuto ritenersi ex necesse a titolo oneroso, come risultante dai plurimi e pacifici riscontri idonei sul piano logico, prima che circostanziale, atti ad impedire il superamento della presunzione legale, circa la natura personale e continuativa delle incombenze
svolte, il carattere variegato e professionale delle stesse, il prolungato svolgimento per circa un anno e mezzo, la responsabilità assunta dal COGNOME per l’incasso e il maneggio di denaro di spettanza della COGNOME.
5.1. -Il motivo è infondato.
Anzitutto, non è dato in proposito comprendere a quale mandato i ricorrenti intendano riferirsi, figura negoziale, questa, la quale postula l’assunzione dell’obbligo di compiere uno o più atti giuridici per conto del mandante ex art. 1703 c.c. Tale contratto si distingue dal contratto di prestazione d’opera professionale ex art. 2230 c.c., il cui compenso è regolato dall’art. 2233 c.c. Dunque, in mancanza di elementi di dettaglio, l’articolazione della doglianza si esaurisce in una deduzione apodittica e aspecifica, che viola il principio di autosufficienza del ricorso di legittimità.
Inoltre, quand’anche si possa ipotizzare il conferimento di un non meglio definito ‘mandato’, la pronuncia impugnata si è attenuta al principio secondo cui la presunzione di onerosità del mandato, stabilita dall’art. 1709 c.c., ha carattere relativo e può essere superata dalla prova della sua gratuità, desumibile dalle circostanze del rapporto, come la qualità del mandatario, le relazioni che intercedono fra questi e il mandante, il contegno delle parti, anteriore e successivo allo svolgimento delle prestazioni (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 18211 del 02/09/2020; Sez. 2, Ordinanza n. 27478 del 28/10/2019; Sez. 2, Ordinanza n. 17384 del 03/07/2018; Sez. 2, Sentenza n. 14682 del 27/06/2014; Sez. 3, Sentenza n. 605 del 24/01/1980).
Segnatamente la Corte di merito ha ritenuto che le attività svolte (oggetto della spiegata riconvenzionale), come dallo stesso COGNOME affermato, erano giustificate unicamente in virtù di un sentimento di gratitudine sorto a seguito del prestito erogato dalla RAGIONE_SOCIALE in suo favore.
Da ciò è stato desunto, con evidenza, che l’appellato avesse intrapreso tali attività a titolo del tutto gratuito e non in ossequio ad un rapporto oneroso instauratosi con l’appellante.
Il sindacato su tale valutazione in fatto, idonea a superare la presunzione di onerosità del mandato, non può essere compiuto in sede di legittimità.
6. -Con il quinto motivo i ricorrenti adducono, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1988 e 2697 c.c., con riferimento alla posizione di RAGIONE_SOCIALE, per avere la Corte del gravame dedotto la sussistenza del rapporto di mutuo tra la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE dalla mera emissione degli assegni bancari emessi dalla seconda in favore della prima, i quali, ancorché scaduti e non fatti valere in via cartolare, avrebbero comunque implicato l’inversione dell’onere probatorio in capo alla ricorrente, che non lo avrebbe assolto in ragione della dichiarata falsità della remissione del debito.
Senonché espongono gli istanti che, fin dal proprio atto di opposizione a decreto ingiuntivo, la COGNOME aveva eccepito l’inesistenza del credito vantato dalla RAGIONE_SOCIALE nei suoi confronti, avendo la mutuante erogato le somme unicamente in favore del marito COGNOME NOME.
Con la precisazione che gli assegni postdatati a garanzia sarebbero stati emessi anche dalla COGNOME su specifica richiesta della mutuante, con la conseguenza che la COGNOME non avrebbe potuto agire verso la COGNOME, né in base all’azione di regresso, né sulla base di altro titolo, attesa l’inesistenza di qualsiasi obbligazione o rapporto causale sottostante, tale da legittimare la richiesta di restituzione delle somme indicate negli assegni stessi.
6.1. -Il motivo è infondato.
Infatti, gli assegni bancari emessi nel rapporto tra traente e prenditore esoneravano quest’ultimo dall’onere di fornire la prova del rapporto fondamentale, quale destinatario della promessa recettizia avvenuta attraverso tali titoli cartolari (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 731 del 15/01/2020; Sez. 2, Sentenza n. 7262 del 29/03/2006; Sez. 1, Sentenza n. 948 del 18/01/2005; Sez. 1, Sentenza n. 12582 del 16/10/2001).
Per l’effetto, il rapporto di mutuo si presumeva sino a prova contraria, sicché sarebbe stato onere della COGNOME, non solo contestare l’esistenza del mutuo in suo favore, ma anche fornire la prova della riconducibilità di tale mutuo al solo coniuge COGNOME NOME, prova carente nella fattispecie.
7. -Con il sesto motivo i ricorrenti rilevano, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1284 c.c. e dell’art. 2 del d.lgs. n. 231/2002, con riguardo all’inapplicabilità degli interessi nelle transazioni commerciali, per avere la Corte meneghina, nel proprio dispositivo, confermato i decreti ingiuntivi e, per l’effetto, disposto la condanna dei ricorrenti al pagamento degli importi indicati nei provvedimenti monitori anche quanto agli interessi di cui al d.lgs.
n. 231/2002, senza che ne ricorressero i presupposti, posto che, ai fini della ricorrenza di una transazione commerciale, sarebbe stato necessario che il rapporto fosse intercorso tra imprese ovvero tra imprese e pubbliche amministrazioni e avesse comportato, in via esclusiva o prevalente, la consegna di merci o la prestazione di servizi contro il pagamento di un prezzo; ipotesi che non ricadevano nel caso in esame, trattandosi di un mutuo concesso tra privati non imprenditori.
Né avrebbe potuto applicarsi il dettato dell’attuale art. 1284, quarto comma, c.c. -in ordine all’applicazione del saggio degli interessi legali pari a quello previsto dalla legislazione speciale relativa ai ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali con riferimento agli interessi maturati a decorrere dalla proposizione della domanda giudiziale, salvo che le parti non ne abbiano determinato una diversa misura, comma aggiunto dall’art. 17, primo comma, del d.l. 12 settembre 2014, n. 132, convertito, con modificazione, nella legge 10 novembre 2014, n. 162, con efficacia a decorrere dal trentesimo giorno successivo all’entrata in vigore della legge di conversione , posto che le domande in via monitoria erano state introdotte in data 14 gennaio 2013, ossia prima dell’efficacia di tale innovazione.
Sicché avrebbero dovuto applicarsi gli interessi legali di cui all’art. 1284, primo comma, c.c.
7.1. -Il motivo è infondato.
Infatti, nel dispositivo della sentenza impugnata, dopo il capo n. 4 (che ha confermato i decreti ingiuntivi opposti n. 7126/2013 e n. 7538/2013 emessi il 21 febbraio 2013), i capi nn. 5 e 6 hanno, in via specificativa e assorbente, rispettivamente
condannato COGNOME NOME e RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE al pagamento, in favore di COGNOME NOME, delle somme di euro 102.000,00 e di euro 31.500,00 (somme capitali oggetto dei provvedimenti monitori), oltre ‘interessi dal ricorso monitorio al saldo’, senza che nel corpo della motivazione sia stato fatto alcun riferimento alla spettanza degli interessi secondo i criteri stabiliti per le transazioni commerciali.
Deve ritenersi, pertanto, che la condanna sia stata attualizzata secondo le puntuali previsioni contenute nel dispositivo, che superano quelle di cui ai provvedimenti monitori opposti.
Ne discende, secondo la stessa prospettazione della controricorrente, a pag. 24 del controricorso (che ha dichiarato di essersi attivata in via esecutiva per il solo recupero delle somme capitali, integrate dagli interessi legali ex art. 1284, primo comma, c.c.), che la condanna deve ritenersi limitata agli accessori secondo il dettato dell’art. 1284, primo comma, c.c.
Ora, se il titolo esecutivo giudiziale -nella sua portata precettiva individuata sulla base del dispositivo e della motivazione -dispone il pagamento di ‘interessi legali’, senza altra indicazione e in mancanza di uno specifico accertamento del giudice della cognizione sulla spettanza di interessi per il periodo successivo alla proposizione della domanda giudiziale, secondo il saggio previsto dalla legislazione speciale relativa ai ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali (ex art. 1284, quarto comma, c.c.), la misura degli interessi maturati dopo la domanda corrisponde al saggio previsto dall’art. 1284, primo comma, c.c.,
stante il divieto per il giudice dell’esecuzione di integrare il titolo (Cass. Sez. U, Sentenza n. 12449 del 07/05/2024).
8. -Con il settimo motivo i ricorrenti si dolgono, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., della violazione e/o falsa applicazione dell’art. 97 c.p.c. in materia di condanna solidale alle spese di lite, per avere la Corte dell’impugnazione disposto la condanna solidale degli opponenti appellati per le spese processuali dei due gradi di giudizio, senza tenere conto della considerevole differenza di valore tra le domande proposte in sede monitoria, per euro 102.000,00 a carico del COGNOME e per euro 31.500,00 a carico della COGNOME, avverso cui erano stati spiegati separati atti di opposizione a decreto ingiuntivo.
Adducono gli istanti che, a fronte di un interesse comune nella declaratoria di inefficacia delle ingiunzioni e al conseguente rigetto delle correlative pretese di merito, i provvedimenti monitori erano fondati su titoli autonomi e l’entità quantitativa era notevolmente diversa.
Con la conseguenza che non vi sarebbero stati i presupposti per la condanna solidale.
8.1. -Il motivo è infondato.
Premesso che non è dato ravvisare -in quanto non specificamente dedotto -quale sia l’interesse delle parti ricorrenti ad ottenere due condanne separate alla refusione delle spese di lite, anziché un’unitaria condanna solidale, in ogni caso, ai sensi dell’art. 97, primo comma, c.p.c., se le parti soccombenti sono più, il giudice condanna ciascuna di esse alle spese e ai danni in proporzione del rispettivo interesse nella causa. Aggiunge il secondo periodo di tale primo comma che può anche essere
pronunciata condanna solidale di tutte o di alcune tra esse, quando hanno interesse comune.
In proposito, in materia di spese processuali, la condanna di più parti soccombenti al pagamento in solido può essere pronunciata, non solo quando vi sia indivisibilità o solidarietà del rapporto sostanziale, ma pure nel caso in cui sussista una mera comunanza di interessi, che può desumersi anche dalla semplice identità delle questioni sollevate e dibattute, ovvero dalla convergenza di atteggiamenti difensivi diretti a contrastare la pretesa avversaria.
Ne consegue che la condanna in solido è consentita anche quando i vari soccombenti abbiano proposto domande (o siano destinatarie di domande) di valore notevolmente diverso, purché accomunate dall’interesse al riconoscimento di un fatto costitutivo comune, rispetto al quale vi sia stata convergenza di questioni di fatto e di diritto (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 23594 del 02/08/2023; Sez. 1, Ordinanza n. 1650 del 19/01/2022; Sez. 6-3, Ordinanza n. 9063 del 02/04/2019; Sez. 3, Sentenza n. 27476 del 30/10/2018; Sez. 3, Sentenza n. 20916 del 17/10/2016; Sez. 3, Sentenza n. 16056 del 29/07/2015; Sez. 3, Sentenza n. 27562 del 20/12/2011; Sez. 2, Sentenza n. 6761 del 31/03/2005; Sez. 2, Sentenza n. 5825 del 24/06/1996; Sez. 3, Sentenza n. 4155 del 17/10/1989).
Inoltre, la possibilità di porre le spese di lite solidalmente a carico di più parti soccombenti ex art. 97, primo comma, c.p.c., ove le stesse abbiano ‘interesse comune’, costituisce esercizio di una facoltà discrezionale del giudice di merito, insindacabile ove ne siano congruamente esposti i presupposti.
Nella fattispecie, gli stessi istanti riconoscono che l’interesse che avvinceva gli atti di opposizione ai decreti ingiuntivi emessi era comune, atteso che prendeva le mosse da una vicenda fattuale unitaria (ossia il conferimento del mutuo in favore dei coniugi, a cura della stessa mutuante, per importi diversi), rispetto alla quale il tenore delle difese articolate seguiva la stessa linea strategica (essendo esse sostanzialmente fondate sull’asserita remissione del debito a cura della mutuante, avverso cui l’opposta ha spiegato in via incidentale querela di falso).
Ne deriva che la mera eterogeneità degli importi pretesi, rispettivamente di euro 102.000,00 e di euro 31.500,00, non era condizione sufficiente a giustificare una condanna separata dei soccombenti.
9. -L’ottavo motivo investe, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la nullità del procedimento, la violazione e lesione del diritto di difesa e, in particolare, del diritto dei ricorrenti all’ammissione delle prove dedotte nella memoria autorizzata di prime cure nei termini ex art. 183, sesto comma, c.p.c. vigente ratione temporis , per avere la Corte di secondo grado reputato irrilevanti e superate le ulteriori richieste istruttorie formulate, a fronte dell’istruzione della querela di falso proposta in via incidentale, secondo i capitoli e i testi debitamente riportati nel ricorso di legittimità, senza che tali richieste potessero essere formulate all’esito della proposizione della querela di falso, poiché sarebbe difettata l’espressa ammissione della querela stessa e non sarebbe stato concesso un termine processuale per provvedervi.
Ad avviso dei ricorrenti, dette istanze istruttorie erano funzionali ad illustrare le attività gestorie svolte dal RAGIONE_SOCIALE in favore della RAGIONE_SOCIALE e le relative modalità, non necessitanti di fogli sottoscritti in bianco, nonché i genuini rapporti personali intercorsi tra i ricorrenti e la RAGIONE_SOCIALE nonché la natura onerosa dell’attività prestata dal RAGIONE_SOCIALE e la volontà della RAGIONE_SOCIALE di attribuire il relativo compenso, poi concretizzatosi nella remissione del debito.
9.1. -Il motivo è infondato.
Si premette che dette richieste, come riconosciuto dagli stessi istanti, sono state formulate dopo l’avvio del sub -procedimento incidentale di querela di falso e l’apertura della relativa istruttoria.
Ad ogni modo, la mancata ammissione di un mezzo istruttorio (nella specie, prova testimoniale) si traduce in un vizio di motivazione della sentenza se il giudice pone a fondamento della propria decisione l’inosservanza dell’onere probatorio ex art. 2697 c.c., benché la parte abbia offerto di adempierlo (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 18285 del 25/06/2021; Sez. 3, Sentenza n. 8357 del 21/04/2005; Sez. L, Sentenza n. 7596 del 23/05/2002; Sez. L, Sentenza n. 6105 del 18/06/1998; Sez. 3, Sentenza n. 9208 del 30/08/1995; Sez. L, Sentenza n. 11491 del 21/10/1992).
Offerta che nella fattispecie è stata carente, non solo perché le richieste sono state articolate successivamente alla proposizione della querela di falso, ma anche perché i 52 capitoli di prova circostanziati non sono idonei a scalfire la valutazione (basata sui plurimi riscontri indiziari indicati) sulla falsità della remissione del debito e non sono affatto atti a dimostrare la
natura onerosa dell’attività prestata dal COGNOME in favore della RAGIONE_SOCIALE.
Si tratta, per contro, di circostanze attinenti ai rapporti personali intrattenuti tra le parti, non decisive ai fini dell’esito del giudizio.
Solo a fronte della strumentalità delle prove rispetto all’incidenza sull’esito decisorio può essere proposto ricorso di legittimità volto a contestarne la mancata ammissione, e ciò nel senso che il vizio deve investire un punto decisivo della controversia e, quindi, solo allorché la prova non ammessa o non esaminata in concreto sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi risulti priva di fondamento (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 17148 del 21/06/2024; Sez. 2, Ordinanza n. 11677 del 30/04/2024; Sez. 2, Ordinanza n. 3215 del 05/02/2024; Sez. 2, Ordinanza n. 3210 del 05/02/2024; Sez. 2, Ordinanza n. 1444 del 15/01/2024; Sez. 3, Ordinanza n. 30810 del 06/11/2023; Sez. 61, Ordinanza n. 16214 del 17/06/2019; Sez. 6-1, Ordinanza n. 5654 del 07/03/2017; Sez. L, Sentenza n. 4980 del 04/03/2014; Sez. 3, Sentenza n. 11457 del 17/05/2007).
Sempreché tali richieste istruttorie siano state reiterate in sede di precisazione nelle conclusioni nel giudizio di primo grado e d’appello (Cass. Sez. 6 -3, Ordinanza n. 36134 del 23/11/2021; Sez. 3, Ordinanza n. 22883 del 13/09/2019; Sez. 2, Sentenza n. 5741 del 27/02/2019).
10. -In conseguenza delle considerazioni esposte, il ricorso deve essere respinto.
Le spese e compensi di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione
rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido, alla refusione, in favore dell’interveniente, delle spese di lite, che liquida in complessivi euro 8.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda