Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 12122 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 12122 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 08/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1886/2024 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE COGNOME, rappresentata e difesa da ll’ Avvocato NOME COGNOMECODICE_FISCALE giusta procura speciale in calce al ricorso
– ricorrente
–
contro
NOME COGNOME e NOME COGNOME rappresentati e difesi da ll’ Avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE giusta procura speciale allegata al controricorso
– controricorrenti – avverso la sentenza della Corte d’appello di Messina n. 939/2023 depositata il 6/11/2023;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del l’ 8/4/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Corte distrettuale di Messina, con provvedimento del 13 febbraio 2015, autorizzava, nel corso del giudizio di appello avente ad oggetto le domande di accertamento del recesso dalla qualità di socio e risarcimento danni promosso da RAGIONE_SOCIALE nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME, la
presentazione della querela di falso con riferimento a tutti i documenti impugnati di rilievo e, a seguito della formale presentazione della stessa, disponeva la sospensione del procedimento assegnando termine per la riassunzione innanzi al tribunale compe tente ai sensi dell’art. 355 cod. proc. civ..
Il Tribunale di Messina, con sentenza n. 1774/2018, dichiarava la falsità delle firme apposte sulla lettera di dimissioni da socio e consigliere apparentemente sottoscritta il 1° settembre 2009 da NOME COGNOME e sulla lettera di dimissioni da socio e vicepresidente dell’associazione apparentemente sottoscritta in pari data da NOME COGNOME.
La Corte d’appello di Messina rigettava l’impugnazione presentata da RAGIONE_SOCIALE avverso tale statuizione.
In particolare, riteneva -fra l’altro e per quanto qui di interesse che l’omessa produzione, ad opera della RAGIONE_SOCIALE, dell’originale della lettera di dimissioni apparentemente sottoscritta da NOME COGNOME acquisisse valenza dirimente ai fini della decisi one sulla querela di falso, stante l’avvenuto disconoscimento della conformità della copia fotostatica della missiva.
Condivideva il giudizio già espresso dal tribunale in ordine alla falsità della firma apposta sulla lettera di dimissioni apparentemente sottoscritta da NOME COGNOME sulla base delle conclusioni rassegnate dal C.T.U., costituenti il risultato dell’ analisi complessiva di tutti i campioni forniti dalle parti e del raffronto dei medesimi con la scrittura privata oggetto della querela di falso e collimanti nel risultato finale con l’accertamento tecnico eseguito in sede penale dai RIS.
Giudicava, infine, che il tribunale avesse correttamente disposto la compensazione integrale delle spese di lite tra le parti, in ragione della soccombenza reciproca, dato che le domande proposte dai COGNOME avevano trovato accoglimento, pur se in misura inferiore rispetto a quanto richiesto.
RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per la cassazione di questa sentenza, pubblicata in data 6 novembre 2023, prospettando quattro motivi di doglianza, ai quali hanno resistito con controricorso NOME COGNOME e NOME COGNOME
Il Procuratore Generale ha depositato conclusioni scritte, ex art. 380 bis .1 cod. proc. civ., sollecitando il rigetto del ricorso.
Parte controricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ..
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 215, comma 1, 293, comma 3, e 294 cod. proc. civ.: i COGNOME, ritualmente citati e rimasti contumaci nel giudizio di primo grado svoltosi davanti al Tribunale di Messina e conclusosi con la sentenza n. 381/2014, avevano impugnato tale sentenza disconoscendo le scritture private di dimissioni loro attribuite; questo disconoscimento, però, doveva ritenersi precluso, perché i convenuti erano rimasti contumaci in primo grado senza alcuna giustificazione, mentre la querela di falso doveva essere considerata inammissibile in quanto tardivamente proposta.
Il motivo non merita accoglimento.
Alla parte cui sia riferita una scrittura privata è sempre consentito non solo di disconoscerla, così facendo carico alla controparte della verificazione, ma anche di proporre alternativamente la querela di falso, al fine di negare definitivamente la genuinità del documento, poiché in difetto di limitazioni di legge non può negarsi la facoltà di optare per uno strumento più gravoso ma rivolto al perseguimento di un risultato più ampio e definitivo, qual è quello della completa rimozione del valore dell’atto con effetti erga omnes (cfr. Cass. 15823/2020, Cass. 6711/2021).
Ciò ricordato, il mezzo in esame invoca l’applicazione della disciplina propria del disconoscimento della scrittura privata senza considerare
che nel caso di specie NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno presentato querela di falso, la quale, a mente dell’art. 221, comma 1, cod. proc. civ., può essere presentata ‘in qualunque stato del processo’.
La querela di falso, giusta la previsione dell’art. 221 cod. proc. civ., può dunque essere sempre proposta, in qualsiasi stato e grado del giudizio, a nulla rilevando né che il querelante abbia tacitamente od espressamente riconosciuto la sottoscrizione del documento di cui allega la falsità, né che venga proposta dopo lo spirare delle preclusioni istruttorie, né, infine, che la relativa istanza venga formulata per la prima volta solo in grado di appello (Cass. 25556/2008).
Il secondo motivo di ricorso lamenta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. e con riferimento alla lettera di dimissioni di NOME COGNOME l’omesso esame di un fatto decisivo: la Corte distrettuale, attribuendo valenza dirimente ai fini della decisione della querela di falso alla mancata produzione dell’originale della lettera di dimissioni, non ha tenuto in alcun conto le prove e i fatti non controversi addotti dall’associazione appellante (costituiti dal contratto del 9 gennaio 2010 stipulato tra NOME COGNOME e la ASD Waterpolo per il conferimento dell’incarico di dirigente non consigliere, dal fatto che le dimissioni furono consegnate direttamente da NOME COGNOME e dalle risultanze del giudizio penale relativo al l’appropriazione indebita ascritta al COGNOME in danno della ASD Waterpolo Messina), tutti incompatibili con la falsità della sottoscrizione, anche al fine di conferire mandato al C.T.U. di esaminare la fotocopia del documento.
8. Il motivo è inammissibile.
La Corte di merito ha richiamato il principio secondo cui, a seguito del disconoscimento della fotocopia della scrittura privata, la parte che intende avvalersene è tenuta a produrre l’originale (e, in caso di ulteriore disconoscimento, a chiederne la verificazione), atteso che
solo con l’originale si realizzano la diretta correlazione e l’immanenza della personalità dell’autore della sottoscrizione che giustificano la fede privilegiata che la legge assegna al documento medesimo, così da fondare una presunzione legale superabile dall’apparente sottoscrittore solo con l’esito favorevole della querela di falso (Cass. 16551/2015).
Una volta constatato come questo principio sia rimasto incontestato, al pari del fatto che ‘ il COGNOME, oltre a disconoscere la firma apposta sulla lettera, ha sempre negato, in radice, l’esistenza di un originale del documento prodotto da controparte esclusivamente in fotocopia ‘ (pag. 7 della decisione impugnata) ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 2719 cod. civ. , non si può che constatare come le ulteriori deduzioni dell’appellante fossero prive di decisività a fini dell’estensione delle indag ini peritali, non essendo idonee a superare la mancanza in atti dell’originale della scrittura avverso la quale era stata presentata querela di falso.
È ben vero, poi, che, in caso di disconoscimento dell’autenticità della sottoscrizione di scrittura privata prodotta in copia fotostatica, la parte che la abbia esibita in giudizio e intenda avvalersi della prova documentale rappresentata da tale scrittura, ove non sia in grado di produrre l’originale al fine di ottenerne la verificazione, può fornire altrimenti la prova del contenuto del documento con i mezzi ordinari, nei limiti della loro ammissibilità (Cass. 11739/1999).
Ciò nondimeno, il vizio di motivazione denunciabile con ricorso per cassazione non conferisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, ma si sostanzia solamente nell’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, dovendo riguardare un fatto inteso nella sua accezione storicofenomenica, e non anche l’omesso esame di determinati elementi probatori, essendo sufficiente che il fatto sia stato esaminato, senza che sia necessario dare conto di tutte le risultanze probatorie emerse
all’esito dell’istruttoria come astrattamente rilevanti (si veda in questo senso Cass., Sez. U., 8053/2014, a cui hanno fatto seguito, fra le tante, Cass. 19312/2016 e Cass. 1274/2017).
Nel caso di specie la sentenza impugnata dà conto che il fatto storico, relativo all’autografia della sottoscrizione apposta sulla fotocopia della lettera di dimissioni, è stato preso in considerazione da parte del collegio d’appello, non solo tramite l’ac certamento della mancanza dell’originale agli atti del giudizio, ma anche attraverso l’esame dell’accertamento tecnico sulla fotocopia dell a lettera di dimissioni eseguito dai RIS (v. pag. 9 della decisione impugnata). Ciò accertato, non è sindacabile in questa sede sotto il profilo dedotto la valutazione compiuta dalla Corte di merito in ordine alla rilevanza attribuita alle ulteriori risultanze istruttorie disponibili.
Il terzo motivo di ricorso si duole, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. e con riferimento alla lettera di dimissioni di NOME COGNOME, dell’omesso esame di una pluralità di fatti decisivi, costituiti dall’attestazione della Fed erazione Italiana Nuoto sul tesseramento di NOME COGNOME, per la stagione 2010/2011, unicamente per la ASD Cus Palermo, dal fatto che la produzione della lettera del 29 settembre 2010 (campione di confronto A26) era avvenuta non perché autografa, ma in quanto comunque riconducibile al COGNOME, al pari delle lettere di dimissioni incriminate, dal fatto che nel corso del giudizio penale celebrato a carico di NOME COGNOME per il reato di calunnia NOME COGNOME aveva disconosciuto la propria firma apparente apposta in calce alla lettera del 29 settembre 2010 e dal fatto che in altro procedimento penale la Corte d’appello aveva sostenuto che non vi erano elementi per affermare che le ritenute false firme delle dimissioni fossero state apposte dal COGNOME e non piuttosto dallo stesso COGNOME, per ragioni non emerse.
10. Il motivo è inammissibile.
Invero, oggetto del vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. è l’omesso esame circa un « fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti ».
Come ricordato da Cass. 4226/2021 (cfr. in motivazione) costituisce un “fatto”, agli effetti della citata norma, non una “questione” o un “punto”, ma: i) un vero e proprio “fatto”, in senso storico e normativo, ossia un fatto principale, ex art. 2697 cod. civ., cioè un “fatto” costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo, o anche un fatto secondario, vale a dire un fatto dedotto ed affermato dalle parti in funzione di prova di un fatto principale (cfr. Cass. 29883/2017, Cass. 17761/2016, Cass. 7983/2014, Cass. 16655/2011); ii) un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza da intendersi in senso storico-naturalistico (cfr. Cass., Sez. U., 5745/2015, Cass. 21152/2014); iii) un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante e le relative ricadute di esso in termini di diritto (cfr. Cass. 5133/2014); iv) una vicenda la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali (cfr. Cass., Sez. U., 8053/2014).
Non costituiscono, viceversa, “fatti”, il cui omesso esame possa cagionare il vizio ex art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ.: i) le argomentazioni o deduzioni difensive (cfr. Cass., Sez. U., 16303/2018, in motivazione, Cass. 14802/2017, Cass. 21152/2015); ii) gli elementi istruttori in quanto tali, quando il fatto storico da essi rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (cfr. Cass., Sez. U., 8053/2014); iii) una moltitudine di fatti e circostanze, o il “vario insieme dei materiali di causa” (cfr. Cass. 21439/2015).
Il motivo in esame individua come fatti decisivi gli elementi istruttori già addotti in sede di merito dall’appellante a sostegno delle sue tesi ricostruttive di quello che era, in realtà, l’unico fatto decisivo di rilievo ai fini del decidere, costituito dalla riconducibilità della lettera di dimissioni a NOME COGNOME.
La censura non è dunque riconducibile al canone di critica previsto dall’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., in ragione del suo improprio tenore.
Questi elementi istruttori, peraltro, sono stati in larga parte espressamente esaminati dalla Corte di merito in termini difformi da quelli proposti dall’odierna ricorrente.
Rispetto a queste valutazioni la doglianza in esame lamenta, quindi, non tanto un omesso esame, ma un esame non conforme alla lettura che l’associazione ricorrente vorrebbe dare delle emergenze processuali; interpretazione, questa, che tuttavia non è coerente con la censura sollevabile ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 , cod. proc. civ., che consente di lamentare l’omissione dell’ esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio e non la valorizzazione di tale fatto in un senso differente da quello voluto dalla parte (Cass. 14929/2012, Cass. 23328/2012).
11. Il quarto motivo di ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., l’errata applicazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ.: il fatto che la querela di falso fosse stata accolta rispetto a due soli documenti rispetto ai nove a cui era rivolta doveva indurre -in tesi – il tribunale a condannare i querelanti al rimborso delle spese di lite in favore della convenuta RAGIONE_SOCIALE in misura prossima a 7/9 delle spese processuali, ponendo a carico della RAGIONE_SOCIALE Messina solo i 2/9 delle spese processuali da liquidare.
12. Il motivo non è fondato.
Le Sezioni Unite di questa Corte, infatti, hanno già avuto modo di chiarire in tema di spese processuali che l’accoglimento in misura ridotta, anche sensibile, di una domanda articolata in un unico capo non dà luogo a reciproca soccombenza, configurabile esclusivamente in presenza di una pluralità di domande contrapposte formulate nel medesimo processo tra le stesse parti o in caso di parziale accoglimento di un’unica domanda articolata in più capi, e non
consente quindi la condanna della parte vittoriosa al pagamento delle spese processuali in favore della parte soccombente, ma può giustificarne soltanto la compensazione totale o parziale, in presenza degli altri presupposti previsti dall’art. 92, comma 2, cod. proc. civ. (Cass., Sez. U., 32061/2022).
Dunque, i COGNOME, la cui querela di falso era stata in parte accolta, non potevano essere condannati al pagamento delle spese processuali in favore della associazione rimasta soccombente.
La decisione impugnata deve essere corretta, ai sensi dell’art. 384, comma 4, cod. proc. civ., nella parte in cui ha ritenuto, in difformità con il principio espresso dalle Sezioni Unite, che l’accoglimento parziale della domanda comporti una reciproca soccombenza.
13. Per tutto quanto sopra esposto, il ricorso deve essere respinto.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in € 4.200, di cui € 200 per esborsi, oltre accessori come per legge e contributo spese generali nella misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di c ontributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, ove dovuto. Così deciso in Roma in data 8 aprile 2025.