Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 1201 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 1201 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 17/01/2025
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 19467/2022 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE nella persona del legale rappresentante pro tempore , e NOME COGNOME , rappresentati e difesi dall’avvocata NOME COGNOME già domiciliati presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME ed attualmente domiciliati per legge presso l’indirizzo di posta elettronica certificata di entrambi i suddetti legali; -ricorrenti-
contro
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME già domiciliato presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME ed attualmente domiciliato per legge presso l’indirizzo di posta elettronica certificata di entrambi i suddetti legali;
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di VENEZIA n. 1527/2022 depositata il 30/06/2022.
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15/01/2025 dal Consigliere COGNOME
poi opposto. Ricorso inammissibile.
Ud. cc. 15 gennaio 2025
FATTI DI CAUSA
1. A seguito di ricorso dell’avv. NOME COGNOME, il Tribunale di Vicenza pronunciava decreto n. 4190/2017 (provvisoriamente esecutivo) con il quale ingiungeva a NOME COGNOME ed alla società RAGIONE_SOCIALE, di cui il COGNOME era legale rappresentante e amministratore unico, il pagamento della somma di euro 42.683,20 oltre interessi e spese, per prestazioni professionali rese dall’avv. COGNOME. A fondamento del ricorso, il legale aveva depositato un documento, contenente un riconoscimento di debito per euro 40.000,00 effettuato dal COGNOME (sia in proprio che in qualità di legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE), su carta intestata dello studio di architettura, di cui il COGNOME era il titolare.
Gli ingiunti si opponevano al decreto ingiuntivo e proponevano contestualmente querela di falso incidentale avverso il documento, prodotto dal COGNOME.
Si costituiva in giudizio il COGNOME il quale contestava tutto quanto dedotto dai ricorrenti.
Il procedimento di opposizione al decreto ingiuntivo veniva sospeso dal giudice istruttore fino al passaggio in giudicato della pronuncia sulla querela di falso.
Il tribunale disponeva c.t.u. per accertare se il documento, oggetto di querela, provenisse da una stampante o da un toner a diretta disposizione del COGNOME, o del COGNOME, e per confrontarlo con un modello di carta intestata impiegata dal COGNOME all’epoca della redazione del documento, avendo riguardo in particolare alla tipologia e alla dimensione dei caratteri, all’impaginazione grafica, alla tipologia di carta utilizzata e ad altri segni distintivi.
Il giudice di primo grado accoglieva la querela di falso, ritenendo esclusa la riconducibilità del documento al Lovison. La pronuncia valorizzava l’elevato numero dei documenti comparativi presi in esame dal consulente tecnico, sottolineando l’unicità delle differenze
riscontrate nel documento oggetto di verifica. Inoltre, il giudice di primo grado rilevava come il COGNOME non avesse prodotto alcuna scrittura comparativa con caratteristiche grafiche analoghe a quelle del documento contestato. Secondo il giudice di primo grado, quindi, vi erano elementi indiziari che consentivano di escludere la riconducibilità del documento al COGNOME, mentre non vi erano indizi che consentissero di escludere che il COGNOME potesse avere utilizzato le risorse del proprio studio per redigere il documento.
Avverso la predetta pronuncia il COGNOME interponeva appello.
Si costituivano il RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE chiedendo la conferma della sentenza impugnata.
La Corte territoriale, dato avviso al Pubblico Ministero della proposizione dell’appello, con sentenza n. 1527/2022, in accoglimento dell’appello e in riforma della sentenza impugnata,
statuiva la veridicità e l’autenticità della scrittura privata del 28 giugno 2017, sottoscritta dal COGNOME;
-condannava i convenuti a rifondere al COGNOME le spese processuali relative ad entrambi i gradi di giudizio.
Avverso la sentenza della corte territoriale hanno proposto ricorso gli originari ingiunti.
Ha resistito con controricorso il COGNOME.
Parte ricorrente, ricevuta comunicazione ai sensi dell’art. 380bis cpc contenente sintetica proposta di definizione del giudizio, ha presentato istanza ai fini dell’ottenimento della decisione <>.
Per l’odierna adunanza il Procuratore Generale non ha rassegnato conclusioni scritte, mentre i Difensori delle parti hanno depositato memoria a sostegno dei rispettivi assunti.
La Corte si è riservata il deposito della motivazione entro il termine di giorni sessanta dalla decisione.
RAGIONI DELLA DECISIONE
NOME COGNOME e la società RAGIONE_SOCIALE, di cui il COGNOME è legale rappresentante e amministratore unico, articolano in ricorso due motivi.
1.1. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano <> nella parte in cui la corte territoriale, contrariamente al giudice di primo grado, ha ritenuto che essi querelanti non avevano assolto l’onere della prova, affermando precisamente che: <>.
Si dolgono che la corte territoriale – pur accertando la validità e legittimità dell’azione per querela di falso, da essi proposta – ha ritenuto che le risultanze della espletata c.t.u. – che, ad esito di analisi di copiosa documentazione comparativa avente data certa, aveva concluso per la non riconducibilità del documento in capo ad essi querelanti – non era di per sé prova della falsità del documento stesso, prodotto dalla controparte.
Sottolineano che nella sentenza impugnata la stessa corte di merito ha affermato che <>, così riconoscendo che parte querelante aveva fornito elementi tali da illustrare la falsità del documento disconosciuto.
In definitiva, secondo parte ricorrente, l’onere della prova era stato correttamente assolto attraverso i suddetti elementi e l’esito dell’espletata consulenza tecnica. E la corte territoriale, attribuendo erroneamente maggiore rilevanza ad una dichiarazione testimoniale piuttosto che ai fatti che erano risultati confermati ad esito della consulenza: da un lato, avrebbe erroneamente preteso che essi provassero l’effettiva apposizione di una firma su foglio in bianco; e, dall’altro, avrebbe erroneamente sollevato la controparte dall’onere di provare l’autenticità della scrittura da parte di chi detta scrittura aveva sottoscritto, senza peraltro prendere in considerazione tutte le ragioni che avevano condotto sia il c.t.u. che il giudice di primo grado a ritenere accertata la falsità del documento.
1.2. Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano: <> nella parte in cui la corte territoriale ha così argomentato: <>.
Si dolgono che la corte territoriale ha attribuito maggiore rilevanza probatoria ad una prova orale, che era stata ritenuta dal giudice di primo grado irrilevante e che, contrariamente a quanto
sostenuto in sentenza, non era mai stata da essi rinunciata, rispetto alle risultanze della c.t.u. grafologica, senza indicarne le ragioni.
Osservano peraltro che, se fosse stata ammessa la prova testimoniale sul contenuto del documento, si sarebbero violati i limiti oggettivi della prova testimoniale di cui all’art. 2721 c.c.
Premesso che l’avviso di fissazione dell’odierna adunanza è stato regolarmente comunicato al Procuratore Generale, il quale pertanto è stato messo nelle condizioni di poter interloquire sulla proposta querela di falso, il ricorso è inammissibile sotto più profili.
2.1. In primo luogo, il ricorso non rispetta la prescrizione prevista dall’art. 366 n. 6 c.p.c.
Le Sezioni Unite di questa Corte con ordinanza n. 8950/2022 hanno precisato che <>.
In coerenza con tale principio, è stato altresì precisato (Cass. n. 12481/2022) che il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, ex art. 366, comma 1, n. 6), c.p.c., è compatibile con il principio di cui all’art. 6, par. 1, della CEDU, qualora, in ossequio al criterio di proporzionalità, non trasmodi in un eccessivo formalismo, dovendosi, di conseguenza, ritenere rispettato ogni qualvolta l’indicazione dei documenti o degli atti processuali sui quali il ricorso si fondi, avvenga, alternativamente, o riassumendone il contenuto, o
trascrivendone i passaggi essenziali, bastando, ai fini dell’assolvimento dell’onere di deposito previsto dall’art. 369, comma 2, n. 4 c.p.c., che il documento o l’atto, specificamente indicati nel ricorso, siano accompagnati da un riferimento idoneo ad identificare la fase del processo di merito in cui siano stati prodotti o formati.
Detto principio – che è stato affermato in fattispecie nella quale non era stato trascritto neanche in estratto il contenuto del verbale di udienza, individuato con la sola indicazione della data, né erano stati indicati i dati necessari per il suo reperimento nel fascicolo, oltre a non essere stato indicato se e quando fosse stata depositata una lista testimoniale sui capitoli di prova trascritti in ricorso – va affermato anche nella presente fattispecie, nella quale parte ricorrente pure non ha trascritto, neanche per estratto (e, in ogni caso, in modo adeguato), il contenuto del documento, denunciato di falso, e non ha indicato i dati necessari per il suo reperimento nel fascicolo processuale.
2.2. Inoltre, parte ricorrente, attraverso le censure articolate con i motivi sopra illustrati, si è inammissibilmente spinta a prospettare la rinnovazione, in questa sede di legittimità, del riesame nel merito della vicenda oggetto di lite, riesame che, come è noto, è sottratto alle prerogative di questa Corte.
Invero, al di là del formale richiamo, contenuto nell’esposizione dei motivi, al vizio di cui all’art. 360 comma primo n. 3 e n. 5 c.p.c., le censure sollevate in ricorso sono tutte dirette a denunciare la congruità dell’interpretazione fornita dalla corte territoriale del contenuto rappresentativo degli elementi di prova complessivamente acquisiti.
Deve qui ribadirsi: da un lato, che il giudice di merito non è tenuto a valutare singolarmente tutte le risultanze processuali e a confutare tutte le argomentazioni prospettate dalle parti, ma è sufficiente che, dopo avere vagliato le une e le altre nel loro complesso, indichi gli elementi sui quali intende fondare il proprio convincimento, dovendosi ritenere disattesi, per implicito, tutti gli altri rilievi e circostanze che,
sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata; e, dall’altro, che non rientra nel sindacato di legittimità, demandato a questa Corte, la facoltà di riesaminare e valutare il merito della causa.
2.3. Inammissibile è infine il motivo primo con il quale parte ricorrente deduce la violazione dell’art. 2697 c.p.
Al riguardo, si segnala che, secondo consolidata giurisprudenza di questa Corte (cfr. SU n. 16598/2016 e Cass. n. 11892/ 2016), il motivo, che denunci siffatta violazione, è ammissibile solo se in esso risulti dedotto che il giudice di merito abbia applicato la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, cioè attribuendo l’ onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costitutivi ed eccezioni. Viceversa, allorquando la violazione del paradigma dell’art. 2697 c.c. non risulti argomentata in questi termini, ma solo con la postulazione (erronea) che la valutazione delle risultanze probatorie ha condotto ad un esito non corretto, il motivo stesso è inammissibile come motivo in iure ai sensi del n. 4 dell’art. 360 c.p.c. (se si considera l’art. 2697 c.c. norma processuale) e ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c. (se si considera l’art. 2697 c.c. norma sostanziale) e, nel regime dell’art. 360 n. 5 nella formulazione oggi vigente, si risolve in un surrettizio tentativo di postulare il controllo della valutazione delle prove, precluso ai sensi di quella norma, giusta Cass. sez. un. n. 8053 e 8054 del 2014.
Per le ragioni che precedono, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, conformemente all’originaria proposta di definizione accelerata.
Le spese di lite seguono la soccombenza della parte ricorrente e, essendo la presente pronuncia conforme all’originaria proposta di definizione anticipata, ai sensi dell’art. 380 bis , comma 3, cod. proc. civ., la stessa deve essere condannata ai sensi dell’art. 96, commi 3 e
4, codice di rito (sulla cui applicabilità v. Cass. Sez. U. n. 10955/2024; e reputata equa la parametrazione della condanna ai sensi dell’art. 96 comma 3 c.p.c. all’importo della condanna alle spese di lite), con liquidazione delle spese e delle ulteriori somme ai detti titoli come in dispositivo, in considerazione del valore della controversia e dell’attività processuale espletata.
Infine, all’inammissibilità del ricorso consegue la declaratoria della sussistenza dei presupposti processuali per il pagamento dell’importo, previsto per legge ed indicato in dispositivo, se dovuto (Cass. Sez. U. 20 febbraio 2020 n. 4315).
P. Q. M.
La Corte:
dichiara inammissibile il ricorso;
condanna parte ricorrente:
alla rifusione, in favore di parte resistente, delle spese del presente giudizio, spese che liquida in euro 5.500 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200 ed agli accessori di legge; nonché
al pagamento, in favore di parte resistente, della somma di euro 5.500 ai sensi dell’art. 96, comma 3, cod. proc. civ.
al pagamento, in favore della cassa delle ammende, della somma di euro 5.000 ai sensi dell’art. 96, comma 4, cod. proc. civ.;
-ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera di parte ricorrente al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificat o a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 15 gennaio 2025, nella camera di consiglio