Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 16908 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 16908 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 24/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 29965/2021 r.g. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione ed in confisca, con sede in Palermo, alla INDIRIZZO in persona del liquidatore e legale rappresentante pro tempore dott. NOME COGNOME rappresentata e difesa, giusta procura speciale in calce al ricorso, da ll’ Avvocato NOME COGNOME con cui elettivamente domicilia in Roma, al INDIRIZZO presso lo studio dell’Avvocato NOME COGNOME c/o Studio RAGIONE_SOCIALE e Commercialisti .
–
ricorrente –
contro
COMUNE DI PANTELLERIA, in persona del Sindaco pro tempore dott. NOME COGNOME rappresentato e difeso, giusta procura speciale allegata al controricorso, dall’Avvocat o NOME COGNOME presso il cui studio elettivamente domicilia in Palermo, alla INDIRIZZO
-controricorrente –
avverso la sentenza, n. cron. 636/2021, della CORTE DI APPELLO DI PALERMO, pubblicata in data 07/04/2021; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del giorno 18/06/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso.
FATTI DI CAUSA
Con atto ritualmente notificato il 12 febbraio 2009, RAGIONE_SOCIALE citò il Comune di Pantelleria innanzi al Tribunale di Marsala onde ottenerne la condanna al pagamento del saldo finale dei lavori dell’appalto per la ‘ costruzione del serbatoio idrico di mc. 3.500 nella C.da Scauri e condotta di collegamento con la banchina portuale con costruendo dissalatore ‘, nonché degli interessi derivanti dal ritardo dei pagamenti degli stessi, ed al risarcimento dei danni derivanti dalle n. 20 riserve iscritte negli atti procedimentali dell’appalto e relative ad ingiustificati ritardi, a sospensioni illegittime e ad oneri aggiuntivi.
Costituitosi quel Comune, che contestò le avverse pretese chiedendone il rigetto e, in via riconvenzionale, la condanna della controparte al pagamento della penale di € 172.806,00 per il suo ritardo nella ultimazione dei lavori, l’adito tribunale, espletata l’istruttoria, nel corso della quale fu disposta una consulenza tecnica di ufficio, con sentenza del 23 marzo 2012 condannò il menzionato Comune al pagamento, in favore dell’attrice, delle somme di cui all’ottavo certificato di revisione prezzi, degli in teressi su detto certificato, oltre agli interessi legali e moratori secondo legge, per tutti i ritardi nei pagamenti in corso d’opera e, stante la richiesta di tempestività delle riserve nn. 12 e 16, del risarcimento dei danni in riferimento a queste ultime, oltre interessi e spese, rigettando le ulteriori sue domande anche in ragione della intempestività delle altre riserve formulate.
Il Comune di Pantelleria interpose gravame avverso tale decisione, promuovendo, in quella sede, querela di falso in relazione alla formulazione
delle riserve, da parte della impresa esecutrice dei lavori, nel registro di contabilità dei lavori.
RAGIONE_SOCIALE resistette a detta impugnazione ed alla querela di falso, altresì proponendo anche gravame incidentale.
L’adita Corte di appello di Palermo, con ordinanza del 3 luglio 2013, sospese il giudizio innanzi ad essa ed assegnò alle parti il termine per la riassunzione del giudizio di querela di falso innanzi al Tribunale di Palermo.
Quest’ultimo, con sentenza del 19 aprile/13 giugno 2016, n. 3133, rigettò « la querela di falso proposta avverso la datazione del 22 giugno 2000 apposta a pagina 31 del registro di contabilità di cui ai lavori » concernenti l’appalto suddetto.
Avverso questa sentenza il Comune di Pantelleria propose gravame, che l’adita Corte di appello di Palermo accolse con sentenza del 7 aprile 2021, n. 636, pronunciata nel contraddittorio con la RAGIONE_SOCIALE dichiarando « la falsità della data del 22.06.2000, apposta in calce all’esplicitazione delle riserve iscritte in occasione dell’8° SAL alla pagina 31 del registro di contabilità dell’appalto dei ‘lavori di costruzione del serbatoio idrico di mc. 3.500 nella C.da Scauri e condotta di collegamento con la banchina portuale con costruendo dissalatore’ » e, per l’effetto, ordinando « la cancellazione, alla pagina 31 del predetto registro di contabilità, della data del 22.06.2000 e la sua sostituzione con la data del 30.06.2000 ».
4.1. Per quanto qui di interesse, quella corte, premettendo che la falsità dell’atto oggetto d ella corrispondente querela poteva essere dimostrata con qualsiasi tipo di prova e, quindi, anche a mezzo di presunzioni, e che non esisteva, nel vigente ordinamento, un principio di gerarchia che ponesse la prova per presunzioni in una posizione inferiore rispetto alle altre, ritenne che « la dedotta falsità della data del 22.06.2000, indicata alla pag. 31 del registro di contabilità, relativo all’appalto in argome nto, con riferimento al giorno in cui sono state esplicitate le riserve da 1 a 17, formulate dall’impresa appaltatrice in data 9.06.2000, può essere desunta da una pluralità di elementi presuntivi convergenti ». In particolare, valorizzò: i ) la violazione della regola cronologica di annotazione dei fatti sul registro di contabilità; ii )
l’inosservanza delle modalità di redazione del registro; iii ) la circostanza che la direzione dei lavori avesse rigettato tutte le riserve iscritte dall’impresa, in data 9 giugno 2000, non solo perché infondate, ma anche perché intempestive, così confermando la falsità della data della loro esplicitazione che, se fosse avvenuta effettivamente in data 22 giugno 2000 e, quindi, entro il termine di quindici giorni dall’iscrizione, non sarebbe stata tardiva. Considerò, invece, prive di valenza probatoria le dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà ex art. 47 del d.P.R. n. 445/2000 ed il fatto che l’ottavo certificato di pagamento risultasse emesso in data 30 giugno 2000, esplicitando le ragioni del proprio convincimento.
Per la cassazione di questa sentenza, RAGIONE_SOCIALE in liquidazione ed in confisca ha promosso ricorso affidato a due motivi. Ha resistito, con controricorso, il Comune di Pantelleria.
Il Pubblico Ministero, il cui intervento in questo procedimento è obbligatorio, ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso. Sono state depositate memorie ex art. 380bis .1 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
I formulati motivi di ricorso denunciano, rispettivamente, in sintesi:
I) « Nullità della sentenza (art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.) – Violazione di norma di diritto (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.) in riferimento agli artt. 115 e 116 c.p.c. e 2697 c.c. ». Si deduce che la sentenza impugnata è viziata, sotto i profili invocati, perché, nel proporre la querela di falso in riferimento al documento contabile relativo all’appalto oggetto di causa, il Comune querelante non aveva fornito alcun elemento di prova, limitandosi solo a denunciare la falsità del dato grafico risultante dallo stesso documento impugnato per falsità e contestando le evidenze probatorie fornite dalla odierna ricorrente nel primo grado del giudizio innanzi al Tribunale di Marsala (iscritto al n. 298/2009 R.G.), nonché nel primo e nel secondo grado del giudizio afferente la querela di falso, innanzi al Tribunale ed alla Corte di Appello di Palermo, assumendo a sostegno della propria tesi la mera irregolarità del registro contabile per violazione delle prescrizioni di cui agli artt. 52 e 53 del r.d. 25 maggio 1895, n. 350. La medesima sentenza è
censurata nella parte in cui ha dato rilievo alla circostanza che la riserva era stata respinta in quanto intempestiva, al riguardo osservandosi che, ogni qualvolta l’impresa aveva iscritto le riserve, la D.L. le aveva prontamente rigettate sempre con la medesima dicitura;
II) « Nullità della sentenza (art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.) – Violazione di norma di diritto (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.) in riferimento agli artt. 2729 c.c., 116 c.p.c. ed all’art. 47 del d.P.R. n. 445/2000 ». Si ascrive alla corte distrettuale di aver negato valenza probatoria alle tre dichiarazioni sostitutive dell’atto di notorietà, ex art. 47 del d.P.R. n. 445/2000, dei Direttori dei Lavori, ing. COGNOME ed arch. COGNOME e dell’Ingegnere Capo, ing. COGNOME prodotte dalla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE già nel primo grado del presente processo, assumendo che in sede processuale non rilevano, « posto che si tratta di dichiarazioni che esauriscono i loro effetti nell’ambito dei rapporti con la P.A. e nei relativi procedimenti amministrativi, avendone la controparte contestato il contenuto ». Viene contestata, inoltre, la valutazione dei vari elementi indiziari acquisiti al giudizio.
Le descritte doglianze, scrutinabili congiuntamente perché chiaramente connesse, si rivelano complessivamente inammissibili.
Invero, la corte territoriale ha ritenuto la falsità della data (22 giugno 2000) di iscrizione delle riserve nel registro di contabilità dei lavori relativi all’appalto di cui si discute valorizzando: a ) la violazione della regola cronologica di annotazione dei fatti sul registro di contabilità; b ) l’inosservanza delle modalità di redazione del registro; c ) la circostanza che la Direzione dei Lavori aveva rigettato tutte le riserve iscritte dall’impresa, in data 9 giugno 2000, non solo perché infondate, ma anche perché intempestive, così confermando la falsità della data della loro esplicitazione che, se fosse avvenuta effettivamente in data 22 giugno 2000 e quindi entro il termine di quindici giorni dall’iscrizione, non sarebbe stata tardiva.
Inoltre, ha considerato prive di valenza probatoria le dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà, ex art. 47 del d.P.R. n. 445/2000, dei Direttori dei Lavori, ing. COGNOME ed arch. COGNOME e dell’Ingegnere Capo, ing.
COGNOME prodotte dalla RAGIONE_SOCIALE ed il fatto che l’ottavo certificato di pagamento risultava emesso in data 30 giugno 2000.
Del proprio appena descritto convincimento, peraltro, ha spiegato le ragioni con motivazione assolutamente esaustiva.
2.1. Fermo quanto precede, giova ricordare che il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ. -invocato dalla ricorrente in entrambe le censure, mentre il pure lamentato vizio di nullità della sentenza ex art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., non è stato minimamente argomentato -può rivestire la forma della violazione di legge (intesa come errata negazione o affermazione dell’esistenza o inesistenza di una norma, ovvero attribuzione alla stessa di un significato inappropriato) e della falsa applicazione di norme di diritto (intesa come sussunzione della fattispecie concreta in una disposizione non pertinente perché, ove propriamente individuata ed interpretata, riferita ad altro, ovvero deduzione da una norma di conseguenze giuridiche che, in relazione alla fattispecie concreta, contraddicono la sua, pur corretta, interpretazione. Cfr. , tra le più recenti, Cass. n. 14107 del 2025; Cass. nn. 27328, 19423, 16448 e 5436 del 2024; Cass. n. 1015 del 2023; Cass. nn. 5490, 3246 e 596 del 2022; Cass. nn. 40495, 28462, 25343, 4226 e 395 del 2021). È opportuno evidenziare, inoltre, che questa Corte, ancora recentemente ( cfr ., pure nelle rispettive motivazioni, oltre alle pronunce appena citate, Cass. n. 35041 del 2022, Cass. n. 33961 del 2022 e Cass. n. 13408 del 2022), ha chiarito, tra l’altro, che: a ) non integra violazione, né falsa applicazione di norme di diritto, la denuncia di una erronea ricognizione della fattispecie concreta in funzione delle risultanze di causa, poiché essa si colloca al di fuori dell’ambito interpretativo ed applicativo della norma di legge; b ) il discrimine tra violazione di legge in senso proprio (per erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa) ed erronea applicazione della legge (in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta) è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, diversamente dalla prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa ( cfr . Cass. n. 10313 del 2006; Cass. n. 195 del 2016; Cass. n. 26110 del 2015; Cass. n. 8315 del 2013; Cass. n. 16698 del 2010; Cass. n. 7394 del
2010); c ) le doglianze attinenti non già all’erronea ricognizione della fattispecie astratta recata dalle norme di legge, bensì all’erronea ricognizione della fattispecie concreta alla luce delle risultanze di causa, ineriscono tipicamente alla valutazione del giudice di merito ( cfr . Cass. n. 13238 del 2017; Cass. n. 26110 del 2015).
2.2. Nella specie, come si è già anticipato, la corte distrettuale ha fornito ampia giustificazione del proprio convincimento circa la ritenuta falsità della data (22 giugno 2000) di iscrizione delle riserve nel registro di contabilità dei lavori relativi all’appalto intercorso tra le parti. Pertanto, non resta che prendere atto dei relativi accertamenti, evidentemente fattuali, svolti dal giudice a quo , rispetto ai quali le argomentazioni delle censure in esame si rivelano sostanzialmente volte ad ottenerne un riesame, così dimenticando che:
i ) come si è già detto in precedenza, il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ. deve essere dedotto, a pena di inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366, n. 4, cod. proc. civ., non solo con la indicazione delle norme assertivamente violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l”interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendosi alla Corte regolatrice di adempiere al suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione ( cfr . tra le più recenti, anche nelle rispettive motivazioni, tra le più recenti, anche nelle rispettive motivazioni, Cass. nn. 14107 e 2115 del 2025; Cass. nn. 27328, 16448 e 15033 del 2024; Cass. nn. 13408, 10033 e 9014 del 2023; Cass. n. 31071 del 2022; Cass. nn. 28462 e 25343 del 2021; Cass. n. 16700 del 2020. Si veda pure Cass., SU, n. 23745 del 2020, a tenore della quale, « in tema di ricorso per cassazione, l’onere di specificità dei motivi, sancito dall’art. 366, comma 1, n. 4), c.p.c., impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., a pena d’inammissibilità della censura, di indicare le norme di legge di
cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni -la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa »);
ii ) la dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà, così come l’autocertificazione in genere, ha attitudine certificativa e probatoria solo nei rapporti con la P.A. e non in sede giurisdizionale nelle liti tra privati ( cfr . Cass. n. 4556 del 2014. In senso sostanzialmente conforme vedasi anche Cass. n. 18374 del 2019);
iii ) come ancora ribadito da Cass. n. 33118 del 2023 ( cfr . in motivazione), « Nell’appalto di opere pubbliche, registro di contabilità è solo il documento le cui pagine sono preventivamente numerate e firmate dall’ingegnere capo e dall’appaltatore e nel quale le singole partite siano iscritte “rigorosamente in ordine cronologico” (r.d. n. 350 del 1895, art. 52) , le riserve e le domande non avranno efficacia e saranno considerate come non avvenute ove non siano ripetute nel registro di contabilità nei termini e nei modi indicati nei precedenti artt. 53 e 54 (R.D. n. 350 del 1895, art. 89), una volta che lo stesso sia stato istituito »;
iv ) un’autonoma questione di malgoverno del precetto di cui all’art. 2697 cod. civ. si pone esclusivamente ove il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne è gravata secondo le regole dettate da quella norma, non anche quando, a seguito di un’eventuale incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, il giudice abbia ritenuto assolto tale onere, poiché in questo caso vi è soltanto un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. ( cfr ., anche nelle rispettive motivazioni, anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 7597 del 2025; Cass. nn. 25376, 19371, 15032 e 10794 del 2024; Cass. n. 9021 del 2023; Cass. n. 11963 del 2022; Cass. nn. 17313 e 1634 del 2020; Cass. nn.
26769 e 13395 del 2018; Cass. n. 26366 del 2017; Cass nn. 19064 e 2395 del 2006), nella specie in nessun modo prospettato;
v ) la violazione o la falsa applicazione di norme di legge processuale non dipendono, né sono dimostrate dall’eventuale erronea valutazione del materiale istruttorio, atteso che, – come chiarito, ancora recentemente da Cass. n. 35006 del 2024 ( cfr . in motivazione) – un’autonoma questione di malgoverno degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. può porsi, rispettivamente, solo allorché il ricorrente alleghi che il giudice di merito: 1) abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti ovvero disposte d’ufficio al di fuori o al di là dei limiti in cui ciò è consentito dalla legge ( cfr . Cass. nn. 25376, 19371, 17201, 11069 e 5375 del 2024; Cass. nn. 35782, 16303, 11299 e 28385 del 2023; Cass. n. 35041 del 2022; Cass., SU, n. 20867 del 2020, che ha pure precisato che « è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. »); 2) abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova che invece siano soggetti a valutazione ( cfr . Cass., SU, n. 20867 del 2020, che ha pur puntualizzato che, « ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione »; Cass. n. 27000 del 2016). Del resto, affinché sia rispettata la prescrizione desumibile dal combinato disposto dell’art. 132, n. 4, e degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., non si richiede al giudice del merito di dar conto dell’esito dell’avvenuto esame di tutte le prove prodotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettategli, ma di fornire una motivazione logica ed adeguata all’adottata decisione, evidenziando le prove ritenute idonee e sufficienti a suffragarla ovvero la carenza di esse ( cfr . Cass. 24434 del 2016). In altri termini, la valutazione degli elementi istruttori costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento
discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in Cassazione ( cfr . Cass. n. 11176 del 2017, in motivazione). Nel quadro del principio, espresso nell’art. 116 cod. proc. civ., di libera valutazione delle prove (salvo che non abbiano natura di prova legale), peraltro, il giudice civile ben può apprezzare discrezionalmente gli elementi probatori acquisiti e ritenerli sufficienti per la decisione, attribuendo ad essi valore preminente e così escludendo implicitamente altri mezzi istruttori richiesti dalle parti ( cfr . Cass., SU, n. 20867 del 2020): il relativo apprezzamento è insindacabile in sede di legittimità, purché risulti logico e coerente il valore preminente attribuito, sia pure per implicito, agli elementi utilizzati ( cfr . Cass. n. 11176 del 2017);
vi ) l’apprezzamento del giudice di merito circa il ricorso al ragionamento presuntivo e la valutazione della ricorrenza dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dalla legge per valorizzare elementi di fatto come fonti di prova, sono incensurabili in sede di legittimità, l’unico sindacato in proposito riservato al giudice di legittimità essendo quello sulla coerenza della relativa motivazione ( cfr . Cass. n. 3983 del 2003; Cass. n. 2431 del 2004; Cass. n. 9225 del 2005; Cass. nn. 1216, 21745 e 27284 del 2006; Cass. nn. 5332 e 15219 del 2007). In tema di prova presuntiva, cioè, è incensurabile in sede di legittimità l’apprezzamento del giudice del merito circa la valutazione della ricorrenza dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dalla legge per valorizzare elementi di fatto come fonti di presunzione, rimanendo il sindacato del giudice di legittimità circoscritto alla verifica della tenuta della relativa motivazione, nei limiti segnati dall’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. ( cfr. Cass. n. 1234 del 2019). In detta sede è possibile censurare la violazione degli artt. 2727 e 2729 cod. civ. solo allorché ricorra il cd. vizio di sussunzione, ovvero quando il giudice di merito, dopo avere qualificato come gravi, precisi e concordanti gli indizi raccolti, li ritenga, però, inidonei a fornire la prova presuntiva oppure qualora, pur avendoli considerati non gravi, non precisi e non concordanti, li reputi, tuttavia, sufficienti a dimostrare il fatto controverso ( cfr . Cass. n. 3541 del 2020). Nel caso di specie, dunque, la valutazione compiuta dal giudice di merito è
insindacabile, tanto più che le doglianze non contengono denunce di vizio motivazionale;
vii ) il giudizio di legittimità non può essere surrettiziamente trasformato in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative ( cfr . Cass. n. 21381 del 2006, nonché, tra le più recenti, Cass., SU, n. 34476 del 2019; Cass. nn. 1822, 2195, 3250, 5490, 9352, 13408, 5237, 21424, 30435, 35041 e 35870 del 2022; Cass. nn. 1015, 7993, 11299, 13787, 14595, 17578, 27522, 30878 e 35782 del 2023; Cass. nn. 4582, 4979, 5043, 6257, 9429, 10712, 16118, 19423 e 27328 del 2024; Cass. nn. 1166, 8671, 12466 e 14102 del 2025);
viii ) come puntualizzato da Cass. nn. 14102, 12466 e 8671 del 2025 ( cfr . in motivazione), « Il compito di questa Corte, , non è quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, né quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici di merito (Cass. n. 3267 del 2008), anche se il ricorrente prospetta un migliore e più appagante (ma pur sempre soggettivo) coordinamento dei dati fattuali acquisiti in giudizio (Cass. n. 12052 del 2007), dovendo, invece, solo controllare, a norma degli artt. 132, n. 4, e 360 comma 1, n. 4, c.p.c., se costoro abbiano dato effettivamente conto delle ragioni in fatto della loro decisione e se la motivazione al riguardo fornita sia solo apparente ovvero perplessa o contraddittoria (ma non più se sia sufficiente: Cass. SU n. 8053 del 2014), e cioè, in definitiva, se il loro ragionamento probatorio, qual è reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto, com’è in effetti accaduto nel caso in esame, nei limiti del ragionevole e del plausibile (Cass. n. 11176 del 2017, in motiv.) ».
In conclusione, dunque, il ricorso di RAGIONE_SOCIALE in liquidazione ed in confisca deve essere dichiarato inammissibile, restando a suo carico le spese di questo giudizio di legittimità, stante il principio di
soccombenza, altresì dandosi atto -in assenza di ogni discrezionalità al riguardo ( cfr . Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 -che, stante il tenore della pronuncia adottata, sussistono, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater del d.P.R. n. 115/02, i presupposti processuali per il versamento, da parte della medesima ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto, mentre « spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento ».
PER QUESTI MOTIVI
La Corte dichiara inammissibile il ricorso di RAGIONE_SOCIALE in liquidazione ed in confisca e la condanna al pagamento, in favore della costituitasi parte controricorrente, delle spese di questo giudizio di legittimità, che liquida in € 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi, liquidati in € 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della medesima ricorrente, dell’ulteriore impor to a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta il comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima sezione civile