Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 25696 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 25696 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 25/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22862/2020 R.G. proposto da:
COGNOME NOME e COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in INDIRIZZO, presso l’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) , rappresentati e difesi dagli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) e COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), domiciliazione telematica come in atti
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), domiciliazione telematica come in atti
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO CATANZARO n. 2387/2019 depositata il 12 dicembre 2019;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 7 giugno 2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con tre atti di citazione, da cui sortivano tre cause poi riunite, i coniugi NOME COGNOME e NOME convenivano davanti al Tribunale di RAGIONE_SOCIALE l’RAGIONE_SOCIALE in poi, RAGIONE_SOCIALE perché fosse condannata, per responsabilità ex articolo 2043 c.c. del suo Servizio Veterinario, a risarcire loro i danni subiti per la perdita di capi di bestiame colpiti da brucellosi.
La convenuta si costituiva, resistendo.
Il Tribunale con sentenza del 2 novembre 2017 rigettava ogni domanda.
NOME COGNOME e NOME COGNOME proponevano appello, cui l’RAGIONE_SOCIALE resisteva.
La Corte d’appello di Catanzaro, con sentenza del 12 dicembre 2019, accogliendo parzialmente il gravame, condannava l’appellata a risarcire NOME COGNOME nella misura di euro 14.000 e NOME COGNOME nella misura di euro 38.000, oltre interessi legali dalla sentenza al saldo, e a rifondere loro la metà delle spese di lite di entrambi i gradi di merito.
NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno presentato ricorso, articolato in tre motivi. L’RAGIONE_SOCIALE si è difesa con controricorso e ha depositato memoria.
RAGIONI DELL DECISIONE
1. Il primo motivo denuncia, in relazione all’articolo 360, primo comma, nn. 3 e 5 c.p.c., violazione dell’articolo 2697 c.c., degli articoli 61, 191 e 194 c.p.c. nonché dell’articolo 115 c.p.c., e altresì, in relazione all’articolo 360, primo comma, n. 5 c.p.c., omesso esame di fatti decisivi per il giudizio.
1.1 Sussisterebbe ‘la violazione e la falsa applicazione’ laddove il giudice d’appello avrebbe ritenuto non dimostrato il quantum del danno per genericità della domanda, affermando che gli attuali ricorrenti avrebbero soltanto allegato ‘di avere subito un elevatissimo pregiudizio patrimoniale’, senza specificarlo però in termini concreti. La corte territoriale avrebbe ritenuto tale carenza rilevante e determinante anche perché gli attuali ricorrenti avrebbero potuto agevolmente fornire la prova del reddito ricavabile dagli animali abbattuti e la minore redditività delle mandrie ‘mediante la produzione della documentazione contabile e fiscale dell’azienda ante e post contagi’ ; né sarebbe stata rilevante la consulenza di parte perché priva di valenza probatoria, e non sarebbe stata ammissibile la consulenza tecnica d’ufficio.
Sostengono i ricorrenti che la consulenza tecnica d’ufficio sarebbe stata ammissibile, la giurisprudenza di legittimità riconoscendo che può essere diretta non solo a valutare i fatti accertati o dati per esistenti (consulenza deducente) ma anche ad accertarli (consulenza percipiente). D’altronde, nel caso in esame ‘la consulenza di ufficio e r a richiesta non per l’accertamento dei fatti costitutivi del danno, ma solo per la valutazione dei danni stessi (sia patrimoniali che non patrimoniali)’, che non sareb be stata espletabile mediante prova testimoniale.
Peraltro, la sentenza impugnata ‘nella sostanza non nega nemmeno la ammissibilità della Consulenza come mezzo idoneo alla valutazione dei danni ‘, bensì ritiene che il quantum avrebbe potuto dimostrarsi dalla parte interessata mediante la ‘prova costituita del reddito comparativamente esaminato prima e dopo l’evento e l’abbattimento degli animali a seguito dell’esame della minore redditività delle mandrie da effettuarsi sulla base della documentazione contabile e fiscale dell’azienda ante e post contagi’. A ciò si aggiunga che l’ammissibilità della CTU non era stata eccepita in primo grado, mentre con l’ordinanza del 13 luglio 2018 il giudice d’appello l’aveva esclusa ritenendo che la consulenza avrebbe avuto soltanto ‘finalità esplorative’. Si argomenta quindi nel senso che la consulenza tecnica d’ufficio sarebbe stata ‘doverosa’ per la valutazione tecnica dei dati, il danno derivante dalla brucellosi sugli animali non potendo ‘essere deducibile nemmeno in ipotesi dalle scritture ed atti contabili e fiscali’.
Avrebbe errato il giudice d’appello nel compiere una ‘semplice ed astratta liquidazione equitativa (priva di motivazione anche in ordine ai criteri applicati) in maniera contraddittoria e senza la verifica dei presupposti e dei criteri giustificante la det ta liquidazione’, che sarebbe stata peraltro ‘riduttiva, omissiva e parziale’, in quanto non considerante tutti i danni, e quindi non solo quelli patrimoniali ma anche quelli non patrimoniali, di cui è stato chiesto il risarcimento.
Si nega poi che vi sia stata genericità nella domanda della quantificazione e si attribuisce alla consulenza di parte ‘funzione esplicativa’; nel produrla gli attuali ricorrenti avrebbero ‘prospettato e documentato i fatti relativi senza ricevere alcuna smentita’ da controparte, per cui sarebbe applicabile l’articolo 115 c.p.c., i fatti essendo stati d’altronde prospettati ‘in maniera dettagliata e specifica’. L’articolo 115 c.p.c. investirebbe pure ‘il riconoscimento di fatti non contestati anche se contenuti in un atto non avente natura probatoria’, come dovrebbe evincersi da S.U. 29 maggio 2014 n. 12065 riguardo alla dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà.
I ricorrenti avrebbero chiesto il risarcimento non solo per la perdita dei bovini e degli ovi-caprini investiti direttamente dalla brucellosi ma piuttosto per la perdita anche degli altri animali presenti delle mandrie per cui ‘la documentazione contabile fiscale non poteva essere significativa ed esaustiva’. Richiamata la normativa sulla eradicazione della brucellosi, se ne deduce che la corte territoriale avrebbe dovuto disporre consulenza tecnica d’ufficio e che il risarcimento dei danni morali ‘non sare bbe stato possibile facendo riferimento alla mer a documentazione contabile e fiscale’. D’altronde, il giudice avrebbe potuto consentire al CTU di ‘acquisire tutta la documentazione necessaria’ ; e il consulente d’ufficio non avrebbe avuto bisogno della documentazione contabile e fiscale, perché, come esplicitato nelle consulenze di parte, ‘per la valutazione del danno aveva bisogno solo ed esclusivamente delle proprie cognizioni tecniche’ e , ‘mediante acquisizione di informazioni presso enti e amministrazion i’ , doveva determinare il valore d’acquisto degli animali abbattuti (facendo riferimento al ‘Prezziario Regionale Agricoltura’ vigente), la produzione
del latte annuo da ciascun animale abbattuto, il numero dei vitelli e il loro valore, i premi comunitari ‘il cui valore va effettuato attraverso il RAGIONE_SOCIALE‘ -, l’indennità di abbattimento secondo la normativa sanitaria veterinari a, l’indennità per la ‘perdita della qualità stalla’ e i danni morali.
Si sarebbe dovuto tenere in conto, inoltre, che per l’abbattimento degli animali l’allevatore era costretto ad acquistarne altri, per cui anche sotto questo aspetto nessun apporto avrebbe arrecato la documentazione contabile e fiscale.
Si conclude dichiarando che, ‘alla luce di tutto ciò, è palese la illegittimità’ della non disposizione della CTU.
1.2.1 L’ampio motivo è palesemente inammissibile nella sua maggior parte, che invero è diretta a dimostrare, mediante una serie di argomentazioni fattuali, che il giudice d’appello non avrebbe ben quantificato il danno, perché non avrebbe disposto la CTU, argomentando su quel che la CTU avrebbe potuto apportare in termini di valutazione dei danni, persino di quelli morali.
1.2.2 Si tenta, inoltre, di ricondurre questa tematica alla violazione dell’articolo 115 c.p.c., ma ciò non riesce a superare l’inammissibilità , poiché, appunto, come viene nella parte finale manifestamente confermato e pure rafforzato, la censura si attesta sul fatto e quindi su una alternativa nel valutarlo.
1.2.3 Ancora, l’affermazione che la controparte non avrebbe contestato i fatti costitutivi dei danni e la entità di questi permane , a tacer d’altro, su un piano generico, ancor prima che fattuale, che ne fa patire inammissibilità.
1.2.4 Né può ritenersi che le considerazioni del giudice d’appello non valgano ‘in merito’ sulla qualificazione della domanda risarcitoria come generica, poiché pure questa ulteriore censura – pagina 16 del ricorso – si manifesta in modalità apodittica e generica, come emerge ancora proprio nella medesima pagina 16: ‘… non può certamente parlarsi di genericità della richiesta di liquidazione di danni laddove come nella specie vi sia una analitica esposizione dei danni secondo una articolazione richiamata ne i motivi d’appello, nelle richieste e nelle conclusioni anche in sede di precisazione delle conclusioni e considerato altresì
che gli elementi relativi sono stati specificati nella consulenza tecnica giurata…’. E i ricorrenti, nella illustrazione dello svolgimento del processo (includente anche l’intero assemblaggio della sentenza impugnata nella parte in cui ricostruisce come si era svolto il percorso processuale prima della sentenza stessa: ricorso, pagine 3-8), non hanno neppure indicato in modo specifico il contenuto dei motivi d’appello in ordine al quantum . Si veda infatti a pagina 11 del ricorso: ‘Si insisteva … nell’ammiss ione della CTU ai fini di valutare tutti i danni subiti dagli odierni ricorrenti sia come danno emergente che come lucro cessante nonché nell’acquisizione dei documenti prodotti sia con la comparsa conclusionale di primo grado che con l’atto di appello non ché prova per interpello del legale rappresentante pro tempore dell’ASP’).
Il motivo in tutte le sue molteplici parti è dunque inammissibile.
Il secondo motivo denuncia, ex articolo 360, primo comma, nn. 3 e 5 c.p.c., violazione dell’articolo 2697 c.c. e degli articoli 115 e 116 c.p.c. nonché omesso esame di fatti decisivi per il giudizio; denuncia altresì, ex articolo 360, primo comma, n.4 c.p.c., violazione degli articoli 115 e 112 c.p.c.
2.2 Tutte queste censure sarebbero fondate per avere il giudice d’appello erroneamente ritenuto non provato il danno, non solo per non avere disposto la CTU, ma ‘a maggior ragione’ per avere reputato l’unico danno oggetto di prova certa la perdita di 52 bovini alla luce della documentazione in atti, ove però non risulterebbe che fossero stati abbattuti anche i 106 ovini risultati infetti.
Si tratterebbe di una conclusione ‘arbitraria ed illegittima e non corrispondente ad alcuna eccezione avversaria’, per cui violerebbe l’articolo 112 c.p.c. e ‘la normativa che regola l’appello’ , essendo stata accolta ‘una eccezione di parte mai formulata’, perché l’RAGIONE_SOCIALE non avrebbe mai contestato il numero degli animali infetti e anzi, avrebbe ‘affermato che tutti gli animali erano risultati positivi alla brucellosi’, avendo ‘nella comparsa avversaria’ dichiarato che ‘l’infezione propagatasi sull’intero bestiame bovino’ del COGNOME era avvenuta per cause ad essa non addebitabili.
Si argomenta sul ruolo che l’RAGIONE_SOCIALE deve svolgere secondo la normativa sanitaria allo scopo di contrastare l’infezione per dedurne che il giudice d’appello, ‘alla luce della documentazione prodotta nonché della CTP giurata’ , non poteva ritenere dimostrato l’abbattimento di soli 52 bovini. Avrebbe dovuto invece il giudice considerare che vi era in atti ‘ la documentazione attestante l’abbattimento di tutti gli animali infetti’ e non avrebbe tenuto in conto l’errore presente nel verbale d’ispezione dell’8 agosto 2015.
Sarebbe poi nulla la sentenza ‘laddove statuisce non sulla quantificazione dei danni ma solamente sulla esistenza dei danni prospettati’ ; e comunque il giudice d’appello avrebbe violato l’articolo 115 c.p.c. per difetto di specifica contestazione sull’esistenza dei danni come richiesti.
2.2 Anche questo motivo, come quello precedente, è di sostanza inammissibilmente fattuale, che tenta di mascherare riferendosi, in modo conseguentemente incongruo, agli articoli 112 e 115 c.p.c.
In realtà, si tratta di una estesa ricostruzione alternativa dei fatti accertati, che si articola in una serie di dirette censure relative a vari elementi della vicenda, per ottenere, in effetti, un terzo grado di merito il cui esito venga a sostituire l’a ccertamento compiuto dal giudice cui dalla legge processuale è affidato e che il giudice di legittimità non può certo sostituire.
Il terzo motivo denuncia, in riferimento all’articolo 360, primo comma, nn. 3 e 5 c.p.c., violazione degli articoli 1226 e 2697 c.c. e degli articoli 115 e 116 c.p.c., nonché, in riferimento all’articolo 360, primo comma, n.4 c.p.c., omesso esame di fatti decisivi per il giudizio.
3.1 Sarebbe illegittima la sentenza per avere quantificato il risarcimento in via equitativa. Vi sarebbe contraddittorietà nell’avere dapprima dichiarat o la consulenza tecnica di parte priva di ogni valore probatorio rispetto all’avere poi quantificato però il danno ‘tenuto conto della valutazione contenuta nella CTP e dell’assoluta assenza di dati relativi all’età e alle caratteristiche dei bovini abbattuti’. Comunque, pur essendo pacifica la giurisprudenza nel senso che la consulenza tecnica di parte era priva di autonomo valore probatorio (S.U. 3
giugno 2013 n. 13902), essa potrebbe avere un ‘valore quantomeno indiziario’ ; e nel caso in esame non sarebbe mai stata contestata da controparte, la quale ‘aveva contestato la responsabilità in ordine al diffondersi della brucellosi’, ma non il quantum , al riguardo limitandosi a definire genericamente ‘le somme richieste … decisamente sproporzionate’.
Si argomenta altresì sul fatto che il giudice d’appello ha calcolato il danno per soli 52 bovini anziché 62, e non ha considerato i 106 ovi-caprini; non sarebbe inoltre comprensibile, tenuto conto anche delle consulenze tecniche di parte, come mai si sarebbe limitato ‘ad attribuire un valore equitativo di € 1000 quale danno emergente per ogni capo di bestiame’, essendo ben superiore quello quantificato dal consulente tecnico di parte.
La sentenza sarebbe illegittima pure per aver applicato, per la valutazione del danno, l’articolo 1226 c.c. : la corte territoriale non avrebbe dovuto effettuare una valutazione equitativa, in quanto i ricorrenti avevano precisamente provato il numero dei capi infetti e abbattuti onde ‘i danni andavano quantificati dal consulente tecnico d’ufficio’.
Ancora, la sentenza sarebbe pure criticabile non essendovi esaminati ‘gli atti prodotti nonché le CCTTPP dalle quali la Corte d’appello avrebbe potuto trarre una pur sommaria prova del danno subito dagli odierni ricorrenti’; e ‘l’indennità di abbattimento e di allevamento indenne’ doveva qualificarsi secondo la normativa attinente alla sanità veterinaria anche attraverso CTU.
Sarebbe inidonea la motivazione quanto all’impossibilità di fornire la prova dell’esistenza e dell’entità dei danni , in realtà accertamento non difficoltosa; pertanto, sarebbe ingiustificato il ricorso alla valutazione equitativa ai sensi dell’ articolo 1226 c.c.
3.2 Pure questo motivo è ictu oculi di natura fattuale, perché è sulla base della sussistenza di pretesi elementi probatori – sui quali, come si è visto, è ampiamente argomentato – che è giunto a sostenere la violazione della legge, e in particolare dell’articolo 1226 c.c.
Ancora una volta, evidentemente i ricorrenti perseguono dunque, in realtà, la costruzione e la fruizione di un inammissibile terzo grado di merito, che in questo caso dovrebbe riflettersi sulla quantificazione del risarcimento. In tal modo, il giudice di legittimità diverrebbe una sorta di superiore giudice d’appello rispetto alla decisione, puramente di merito, compiuta dalla corte territoriale.
In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna – in solido per il comune interesse – dei ricorrenti a rifondere alla controricorrente le spese processuali, liquidate come da dispositivo.
Seguendo l’insegnamento di S.U. 20 febbraio 2020 n. 4315 si dà atto, ai sensi dell’articolo 13, comma 1 quater, d.p.r. 115/2012, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna solidalmente i ricorrenti a rifondere alla controricorrente le spese processuali, liquidate in un totale di € 3.100, oltre a € 200 per gli esborsi e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’articolo 13, comma 1 quater, d.p.r. 115/2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma il 7 giugno 2024