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Quantificazione del danno: ricorso inammissibile

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di due allevatori contro un’Azienda Sanitaria Provinciale per la perdita di bestiame. I ricorrenti contestavano la quantificazione del danno operata dalla Corte d’Appello, ma la Cassazione ha stabilito che le loro censure miravano a un riesame dei fatti, compito che non spetta al giudice di legittimità. Il ricorso è stato respinto in quanto le argomentazioni erano di merito e non di diritto.

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Pubblicato il 20 dicembre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Quantificazione del danno: quando il ricorso in Cassazione è inammissibile

La corretta quantificazione del danno è uno degli aspetti più delicati e controversi nei giudizi di risarcimento. Ma cosa succede quando una parte non è soddisfatta della somma liquidata in appello? È possibile rivolgersi alla Corte di Cassazione per ottenere un ricalcolo? Un’ordinanza recente ha chiarito i limiti invalicabili del giudizio di legittimità, ribadendo che la Suprema Corte non è un ‘terzo giudice di merito’.

I Fatti di Causa

Due allevatori convenivano in giudizio l’Azienda Sanitaria Provinciale (ASP) locale, chiedendo il risarcimento dei danni subiti a causa della perdita di numerosi capi di bestiame, colpiti da brucellosi. Secondo gli allevatori, la responsabilità dell’accaduto era da attribuirsi a una negligenza del Servizio Veterinario dell’ASP.

Il Tribunale di primo grado rigettava la domanda. Successivamente, la Corte d’Appello, riformando parzialmente la prima sentenza, riconosceva una responsabilità dell’ASP e la condannava a risarcire i due allevatori per un importo liquidato in via equitativa, oltre al rimborso parziale delle spese legali. Insoddisfatti dell’entità del risarcimento, ritenuta troppo bassa, gli allevatori presentavano ricorso in Cassazione.

Le censure sulla quantificazione del danno

I ricorrenti basavano il loro appello su tre motivi principali, tutti incentrati sulla scorretta quantificazione del danno da parte della Corte d’Appello. In sintesi, lamentavano:

1. Violazione delle norme sulla prova (art. 2697 c.c.): Sostenevano che il giudice d’appello avesse errato nel ritenere non provato l’esatto ammontare del danno, negando l’ammissione di una Consulenza Tecnica d’Ufficio (CTU) che avrebbe potuto, a loro dire, accertare con precisione il valore degli animali persi e il lucro cessante.
2. Errata valutazione delle prove documentali: Contestavano la decisione del giudice di considerare provato l’abbattimento di solo una parte dei capi di bestiame, nonostante la documentazione prodotta.
3. Illegittimità della liquidazione equitativa: Criticavano il ricorso alla valutazione equitativa del danno (ex art. 1226 c.c.), ritenendola ingiustificata e contraddittoria, dato che, a loro avviso, esistevano elementi sufficienti per una determinazione analitica.

In sostanza, gli allevatori chiedevano alla Corte di Cassazione di riesaminare le prove e di giungere a una diversa e più favorevole valutazione economica del pregiudizio subito.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso interamente inammissibile. Le motivazioni della decisione sono fondamentali per comprendere i limiti del giudizio di legittimità.

La Suprema Corte ha ribadito un principio cardine del nostro sistema processuale: il suo compito non è quello di riesaminare i fatti della causa, ma solo di verificare la corretta applicazione delle norme di diritto e la coerenza logica della motivazione della sentenza impugnata. I ricorrenti, invece, attraverso una serie di argomentazioni fattuali, cercavano di ottenere un inammissibile ‘terzo grado di merito’.

Nello specifico, la Corte ha osservato che:

* Le critiche mosse alla sentenza d’appello non denunciavano un’errata interpretazione di norme di legge, ma una diversa lettura delle prove documentali e delle risultanze processuali. Si trattava, quindi, di una contestazione sull’accertamento dei fatti, attività riservata esclusivamente ai giudici di primo e secondo grado.
* La richiesta di ammettere una CTU non può servire a sopperire all’onere della prova che grava sulla parte. La consulenza tecnica non è un mezzo per ‘cercare’ la prova, ma per valutare dati già acquisiti al processo. Pertanto, il rifiuto del giudice di merito di disporla non è sindacabile in sede di legittimità se non per vizi logici manifesti, che in questo caso non sono stati riscontrati.
* Anche la critica alla liquidazione equitativa è stata respinta, in quanto si risolveva in una richiesta di riconsiderare l’adeguatezza della somma stabilita dal giudice, un’operazione prettamente di merito.

Le Conclusioni

L’ordinanza conferma che la Corte di Cassazione non è un giudice dei fatti. Le parti che intendono contestare la quantificazione del danno devono farlo fornendo prove concrete e specifiche nei primi due gradi di giudizio. Un ricorso in Cassazione basato sulla speranza di ottenere una nuova e più favorevole valutazione delle prove è destinato all’inammissibilità. La decisione finale ha quindi confermato la sentenza d’appello, condannando i ricorrenti a rifondere le spese processuali alla controparte.

È possibile chiedere alla Corte di Cassazione di ricalcolare i danni se si ritiene che il giudice d’appello abbia sbagliato la valutazione?
No, non è possibile. La Corte di Cassazione non può riesaminare i fatti o le prove per effettuare una nuova quantificazione del danno. Il suo ruolo è verificare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione, non sostituire la propria valutazione a quella del giudice di merito.

La mancata ammissione di una Consulenza Tecnica d’Ufficio (CTU) per la quantificazione del danno è sempre motivo di ricorso in Cassazione?
No. La decisione di ammettere o meno una CTU è una facoltà discrezionale del giudice di merito. Un ricorso in Cassazione su questo punto è ammissibile solo se si dimostra che il diniego è basato su una motivazione illogica o contraddittoria, non semplicemente perché la parte la riteneva utile. La CTU non può sostituire l’onere della parte di fornire le prove a sostegno della propria domanda.

Cosa significa che un ricorso è “inammissibile” per motivi di fatto?
Significa che il ricorso non può essere esaminato nel merito perché le censure sollevate non riguardano errori di diritto (violazione o falsa applicazione di norme), ma critiche all’accertamento dei fatti e alla valutazione delle prove compiuta dal giudice dei gradi precedenti. In pratica, si chiede impropriamente alla Cassazione di comportarsi come un giudice d’appello, cosa che la legge non le consente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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