Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 14135 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 14135 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 27/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 19724/2021 R.G. proposto da: COGNOME, rappresentato e difeso da ll’avvocato COGNOME
– ricorrente –
contro
COMUNE VALLE CASTELLANA , rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
nonchè contro
COGNOME DIOCESI DI ASCOLI PICENO;
– intimato – avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO DI ROMA n. 4167/2021 depositata il 09/06/2021;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 06/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME propone ricorso per cassazione contro la sentenza in epigrafe indicata con la quale la Corte d’Appello di Roma -Sezione speciale Usi Civici, in sede di rinvio aveva rigettato il reclamo proposto da COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, eredi di COGNOME NOME, danti causa di NOME COGNOME, nei confronti del Comune di Valle Castellana e del Vescovado della Diocesi di Ascoli Piceno, avverso la sentenza del Commissario per la Liquidazione degli usi civici per l’Abruzzo n. 37/2011, che aveva dichiarat o la natura allodiale dei terreni acquistati dai reclamanti in forza del rogito per Notaio Ronchi del 07.01.1914 estesi per ettari 74.99.52, rigettando la domanda con riferimento agli altri terreni estesi per ettari 64.15.48, aventi natura demaniale civica.
La causa trae origine dall’opposizione proposta nel 1957 da NOMECOGNOME NOME e NOME COGNOME contro l’avviso del Commissario Regionale per la liquidazione degli usi civici per l’ Abruzzo, con il quale si comunicava l’avvenuto deposito, nella Segreteria del Comune di Valle Castellana, del progetto di sistemazione del comprensorio sito in INDIRIZZO INDIRIZZO; comprensorio che gli opponenti affermavano di aver acquistato dal vescovo della diocesi di Ascoli Piceno.
L’opposizione era stata decisa con sentenza del 09.01.1985 con la dichiarazione della natura demaniale dei terreni.
Contro la decisione era stato proposto reclamo davanti alla Corte d’Appello di Roma che, dopo tre rimessioni al Commissario e successive riassunzioni, ha chiuso il giudizio -con sentenza 7 maggio 2014, n.
14 -affermando l’inammissibilità del reclamo. La Corte territoriale romana aveva rilevato che il reclamo era stato ritualmente notificato al vescovo di Ascoli Piceno, contumace nel giudizio commissariale, ma non anche all’unico controinteressato alla riforma, il Comune di Villa Castellana che era stato parte, ancorché contumace, del giudizio di primo grado; l’atto era, infatti, stato notificato al Comune presso gli avvocati che lo avevano difeso nel giudizio commissariale conclusosi con la sentenza n. 36/1991, e che erano ormai questi privi di qualsiasi collegamento con il Comune, così che la notificazione doveva ritenersi inesistente, non potendo procedersi all’integrazione del contraddittorio ai sensi dell’art. 331 c.p.c., in quanto l’art. 4 della legge 1078/1930 prevede – a pena di inammissibilità – la notifica del reclamo avverso la decisione del Commissario degli usi civici a tutti i controinteressati alla riforma entro il termine perentorio di trenta giorni.
Contro la pronuncia n. 14/2014 ricorreva per la cassazione NOME COGNOME
Questa Corte, con sentenza n. 26601 del 22.10.2018, riteneva che la notificazione al Comune di Villa Castellana, pur essendo stata effettuata ai difensori del precedente giudizio commissariale, andava considerata non inesistente, ma nulla, con la conseguenza che, a fronte della mancata costituzione del Comune, il giudice doveva disporre la rinnovazione dell’atto di notificazione ai sensi dell’art. 291 cod. proc. civ.
La causa era stata, dunque, riassunta da NOME COGNOME innanzi alla Corte d’Appello di Roma che, con la pronuncia n. 4167/2021 oggetto della presente impugnazione, così motivava:
-innanzitutto, l’oggetto del presente reclamo è circoscritto all’appartenenza o meno al demanio civico universale dei terreni la cui superficie complessiva si estende per ha 64.15.48, occupati dai
COGNOME identificati catastalmente nel dispositivo della pronuncia appellata, ubicati in INDIRIZZO, frazione di SINDIRIZZO di Valle Castellana, al di fuori del territorio individuato nel contratto Ronchi del 07.01.1914;
il primo Giudice (il Commissario per la liquidazione degli usi civici, sentenza n. 37/2011) è pervenuto all’accertamento della qualitas soli di detti terreni in ragione dell’esame delle plurime consulenze che si sono succedute nel presente giudizio che hanno accertato l’appartenenza di detti fondi alla collettività civica, sulla base di accurate relazioni storico- giuridiche;
in assenza di titolo acquisitivo in capo ai COGNOME, si riconosce ad essi la posizione di occupatori abusivi dei terreni in contestazione;
non merita condivisione la tesi giuridica in virtù della quale la pronuncia del Commissario non avrebbe rispettato le richieste della Corte d’Appello di Roma del 15.04.1995, che aveva ritenuto necessaria una nuova indagine peritale. Le risultanze dell’indagin e effettuata dall’ultima C.T.U. nel giudizio commissariale conclusosi con sentenza n. 37/2011 dimostrano, in effetti, che le terre intestate ai COGNOME, ed iscritte nel Catasto Gregoriano come allodiali, non coincidono con quelle che, identificate negli elaborati di verifica e di sistemazione dei demani di Valle Castellana, erano state in possesso dei loro danti causa e da costoro trasferite ai COGNOME.
La suddetta sentenza è impugnata per cassazione da NOME COGNOME.
Il ricorso è affidato a quattro motivi.
Resiste con controricorso il Comune di Valle Castellana, mentre il Vescovado è rimasto intimato.
A seguito della proposta di definizione ex art. 380 bis cpc del Consigliere Delegato, il ricorrente ha chiesto la decisione.
Sono pervenute memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si deduce omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ex art. 360, comma 1, n. 5) cod. proc. civ. Il ricorrente si duole che la vicenda sia stata decisa, ancora nella pronuncia impugnata, sulle sole conclusioni cui erano pervenuti i primi due periti nel 1930 nel 1951. Né – prosegue il ricorrente – la consulenza tecnica da ultimo disposta dal Commissario Regionale ha offerto alcuna prova della qualitas soli in contestazione, se di dominio collettivo o di allodio.
Il motivo è inammissibile ricorrendo un’ipotesi di c.d. «doppia conforme» prevista dall’art. 348 -ter , comma 5, cod. proc. civ. (vigente ratione temporis , applicabile, ai sensi dell’art. 54, comma 2, del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla legge n. 134 del 2012, ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012, e quindi applicabile anche al giudizio in esame): il ricorrente per cassazione, al fine di evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ. per difetto di specificità, deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse ( ex plurimis : Cass. Sez. 6-2, n. 8320 del 2022-Rv. 664432 – 01; Cass., Sez. 3, 14.07.2022, n. 22244; Cass., Sez. L, 20.07.2022, n. 22782; Cass., Sez. 6-2, 15.03.2022, n. 8320; Cass., Sez. L, 06.08.2019, n. 20994). Nella specie, il ricorrente non ha indicato le ragioni di diversità fra le due pronunce.
Con il secondo motivo si censura la sentenza impugnata laddove ha ritenuto la questione relativa alla qualitas soli in modo difforme alla giurisprudenza di questo Supremo Collegio, in virtù della quale sussiste
la necessità di dimostrare che una terra debba fare parte di un demanio universale perché possa presumersi la sua demanialità (Cass. n.23323 del 18.9.2019 e 4753 del 27.2.2014). La pronuncia, invece, non tiene conto del fatto che nel Comune di Valle Castellana, oltre ai demani civici universali, sono inserite anche antiche proprietà private ecclesiastiche, oltre a quelle allodiali.
Il motivo è inammissibile per mancanza di specificità.
Anche a voler prescindere dal fatto che la doglianza è stata formulata senza riferimento alcuno ai motivi di cui al primo comma dell’art. 360 cod. proc. civ.; in ogni caso, il ricorrente ha espresso una doglianza in violazione del principio di specificità prescritto dall’art. 366, primo comma, n. 4 cod. proc. civ., il quale esige l’illustrazione del motivo, con esposizione degli argomenti invocati a sostegno della decisione assunta con la sentenza impugnata e l’analitica precisazione delle considerazioni che, in relazione al motivo come espressamente indicato nella rubrica, giustifichino la cassazione della sentenza (Cass. Sez. L. 18.08.2020, n. 17242; Cass. Sez. L., 26.09.2016, n. 18860; Cass. Sez. 6-5, 22.09.2014, n. 19959; Cass. 3 civ., 19.08.2009, n. 18421; Cass. 3 civ., 03.07.2008, n. 18202).
Nel motivo enunciato, di contro, non sono dedotte neppure le violazioni delle norme di legge attraverso i diversi passaggi argomentativi della sentenza impugnata, non consentendo così alla Corte di svolgere l’invocato sindacato.
Con il terzo motivo si deduce violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto in relazione agli artt. 2697 e 831 cod. civ., ex art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ., nonché omesso, insufficiente, contraddittorio esame su un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ex art. 360, comma 1, n. 5) cod. proc. civ. Il ricorrente ritiene che la sentenza impugnata non abbia
rispettato quanto richiesto dalla precedente pronuncia della medesima Corte d’Appello (del 15.03.1995) , laddove aveva ritenuto indispensabile accertare, ai fini della decisione, se i terreni in contestazione fossero appartenuti agli COGNOME e, nel caso affermativo, stabilire la loro estensione precisa, in quanto la loro allodialità avrebbe escluso l’accertamento dell’esistenza di un diritto di uso civico a favore del Comune di Valle Castellana.
Di contro, le conclusioni dell’ultima C .T.U., cui la sentenza impugnata si è attenuta, si sono limitate a verificare se sussistevano o meno prove della compravendita di terreni tra COGNOME e COGNOME, senza nulla riferire circa l’origine dei detti terreni. Con ciò, peraltro, violando quanto stabilito dalla Corte di legittimità che, in tema di appartenenza di terreni al demanio universale, richiede che sia prima dimostrata e accertata, a carico del Comune, la demanialità della terra, e solo a séguito di tale accertamento si potrà stabilire l’esistenza di un titolo atto a trasformare il demanio in allodio.
Il motivo è inammissibile laddove denunzia il vizio di cui all’art. 360 comma 1 n. 5 e per evitare inutili ripetizioni si rinvia alla trattazione del primo motivo.
Per il resto, laddove censura la presunzione di demanialità, la censura è infondata.
La Corte d’Appello è pervenuta alla verifica della natura demaniale dei terreni di cui è causa accertando -sia tramite i dati forniti dai piani di verifica e di sistemazione demaniale compilati nel corso di risalenti C.T.U. , sia dall’indagine tecnica condotta dall’ultima C .T.U. disposta nel corso del giudizio commissariale conclusosi con sentenza n. 37/2011 -che i terreni rivendicati da COGNOME non corrispondevano a quelli intestati ai danti causa dei COGNOME nel Catasto Gregoriano, qualificati come allodiali; sicché, i beni in possesso di questi ultimi non
corrispondevano a quelli di proprietà dei primi. Ne deriva, conclude la Corte, che i terreni oggetto di contestazione non facevano parte del patrimonio immobiliare pervenuto a Di Natale tramite i COGNOME, ed appartengono invece alla collettività civica.
Del resto, l’ultimo consulente tecnico è a sua volta giunto a tali conclusioni accertando l’esatto posizionamento dei terreni di proprietà dei danti causa dei COGNOME mediante il ricorso a tecniche topografiche basate su modelli matematici di correlazione fra le coordinate, tali da consentire la loro esatta localizzazione, evidenziando come essi fossero ubicati sulla falda opposta rispetto a quella della località Vallone dove, invece, sono ubicati i terreni in contestazione (v. sentenza impugnata p. 3, righi 31 ss.; p. 4, 5° capoverso).
La doglianza si traduce, dunque, in un’istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito, tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Cass. sez. 2, n. 19717 del 17.06.2022; Cass. Sez. 2, n. 21127 dell’08.08.2019).
Con il quarto motivo, infine, si censura la sentenza impugnata, con riferimento alle considerazioni in essa contenute relative ad un’istanza di legittimazione proposta dai COGNOME che ha rafforzato il convincimento della Corte circa l’infondatezza del ricorso, sotto il duplice aspetto della violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2730 cod.. civ.e 9, legge n. 1766/27, ai sensi dell’art. 360, n. 3 ) c.p.c., e dell’omesso esame circa fatti oggetto di discussione, di rilievo per la decisione, ex art. 360, n. 5) cod. proc. civ.
Il ricorrente ritiene che erroneamente detta richiesta sia stata interpretata come istanza di legittimazione, mentre si trattava di una richiesta, generica e senza alcun riferimento ad uno specifico territorio, subordinata e prudenziale rispetto all’opposizi one allo stato degli
occupatori ed agli atti di verifica dei demani di Valle Castellana, tanto da non poter essere considerata «confessione»; inoltre, la Corte territoriale avrebbe dovuto ritenerla preclusiva di ogni relativo accertamento giudiziale, in attesa della pronuncia amministrativa di cui all’art. 9 legge n. 1766/27.
Il motivo è inammissibile laddove denunzia il vizio di omesso esame di cui all’art. 360 n. 5 cpc e pertanto si rinvia ancora una volta alla trattazione del primo motivo.
Quanto alla dedotta violazione di norme di diritto, il motivo è inammissibile perché sollecita il giudice di legittimità a sindacare l’interpretazione della domanda effettuata dal giudice del merito , attività non consentita in questa sede.
Inoltre, come pure evidenziato nella proposta ex art. 380 bis cpc, l’argomento relativo alla avvenuta presentazione di una istanza di legittimazione, da parte di soggetto terzo, era stato utilizzato dalla Corte di rinvio solo per rafforzare la decisione (v. pag. 5 sentenza) e dunque non come ratio esclusiva. Trova quindi applicazione il principio secondo cui qualora la decisione di merito si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza delle censure mosse ad una delle “rationes decidendi” rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa (tra le tante, v. Sez. 5 – , Ordinanza n. 11493 del 11/05/2018).
Infine, per giurisprudenza costante, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una
norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (tra le tante, v. Sez. 1 – , Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019).
6. In definitiva, il ricorso va respinto, con inevitabile addebito di spese, secondo soccombenza.
Essendo la decisione resa nel procedimento per la definizione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, di cui all’art. 380-bis cod. proc. civ.(novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022), con formulazione di istanza di decisione ai sensi dell’ultimo comma della norma citata, e il giudizio definito in conformità alla proposta, parte ricorrente deve essere, inoltre, condannata al pagamento dell ‘ ulteriore somma ex art. 96, commi 3 e 4 c.p.c., in favore della controparte e della Cassa delle Ammende).
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013, stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater D.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio in favore del controricorrente, che liquida in €. 4.500,00 oltre €. 200,00 per esborsi e oltre ulteriori accessori;
condanna la parte ricorrente, ai sensi dell’art. 96, commi 3 e 4 cod. proc. civ., al pagamento della ulteriore somma di €. 4.500,00 in favore del controricorrente e di €. 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater D.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto;
Così deciso in Roma, il 6 novembre 2024.