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Qualificazione struttura complessa: decide l’atto aziendale

Una dirigente medica chiedeva il pagamento per aver diretto una qualificazione struttura complessa. La Corte di Cassazione ha stabilito che la classificazione di un’unità sanitaria dipende formalmente dall’atto aziendale dell’ASL e non può essere determinata dal giudice sulla base delle mansioni di fatto svolte, rigettando la richiesta della lavoratrice.

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Pubblicato il 25 dicembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Qualificazione Struttura Complessa: L’Atto Aziendale Vince sui Fatti

Nel settore della sanità pubblica, la distinzione tra ‘struttura semplice’ e ‘struttura complessa’ non è solo una questione terminologica, ma ha implicazioni economiche e gestionali cruciali per i dirigenti medici. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha riaffermato un principio fondamentale: la qualificazione struttura complessa non dipende dalle mansioni effettivamente svolte, ma dalla formale istituzione tramite l’atto aziendale. Questa decisione chiarisce i limiti del potere del giudice e rafforza il ruolo dell’autonomia organizzativa delle Aziende Sanitarie Locali (ASL).

I Fatti del Caso: La Controversia tra Dirigente Medico e ASL

Una dirigente medico, responsabile di un Polo Oculistico territoriale, ha citato in giudizio l’Azienda Sanitaria Locale di appartenenza per ottenere il riconoscimento delle differenze retributive. Sosteneva di aver diretto, di fatto, una struttura con tutte le caratteristiche di una ‘struttura complessa’ (fascia A), pur essendo retribuita per una ‘struttura semplice’ (fascia B). La sua richiesta era basata sull’ampiezza delle responsabilità gestionali, sull’autonomia e sulla rilevanza dell’unità operativa da lei diretta.

L’Azienda Sanitaria, dal canto suo, si è sempre opposta, sostenendo che l’inquadramento della struttura era stato formalmente definito prima come ‘semplice’ e, successivamente, con un nuovo atto aziendale, l’unità non era neppure più prevista come struttura autonoma.

L’Iter Giudiziario: Dal Tribunale alla Corte di Cassazione

Il percorso giudiziario è stato altalenante. Il Tribunale di primo grado aveva respinto la domanda principale della dirigente, accogliendo solo parzialmente una richiesta subordinata per un periodo limitato. La Corte di Appello, invece, aveva ribaltato la decisione, dando piena ragione alla dottoressa. Secondo i giudici d’appello, le prove dimostravano che il Polo Oculistico possedeva tutti i requisiti sostanziali di una struttura complessa, rendendo la qualificazione formale dell’ASL erronea e arbitraria. Di conseguenza, avevano condannato l’Azienda al pagamento delle cospicue differenze retributive.

L’ASL ha quindi presentato ricorso in Cassazione, contestando la decisione della Corte di Appello su diversi punti di diritto.

Il Principio Decisivo sulla Qualificazione Struttura Complessa

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dell’Azienda Sanitaria, cassando la sentenza d’appello e decidendo nel merito con il rigetto definitivo delle domande della dirigente. Il ragionamento della Suprema Corte si basa su un principio cardine del diritto del pubblico impiego sanitario. La qualificazione struttura complessa non è una valutazione di fatto che il giudice può compiere in base alle attività concretamente svolte dal dirigente, ma è il risultato di una scelta organizzativa discrezionale dell’amministrazione, formalizzata nell’atto aziendale.

Questo documento, previsto dal D.Lgs. 502/1992, è lo strumento con cui l’ASL definisce la propria organizzazione per raggiungere obiettivi di efficienza ed economicità. L’istituzione di una posizione dirigenziale complessa è un presupposto giuridico indispensabile per poter rivendicare il relativo trattamento economico. In assenza di una tale previsione formale, la richiesta del dirigente è infondata.

Le Motivazioni

La Corte ha specificato che, per le aziende sanitarie locali, la valutazione sulla rilevanza degli uffici, sulle risorse da assegnare e sull’organizzazione generale è rimessa al potere discrezionale della Pubblica Amministrazione, un potere che non può essere sindacato nel merito dal giudice ordinario. Il giudice non può ‘creare’ o ‘riqualificare’ una posizione dirigenziale che l’ente non ha previsto nel proprio assetto organizzativo.

Inoltre, la Cassazione ha ribadito che la disciplina sulle mansioni superiori, prevista dall’art. 2103 del codice civile per il lavoro privato, non è applicabile ai rapporti dirigenziali nel settore sanitario pubblico. Normative specifiche (come l’art. 15-ter del D.Lgs. 502/1992) escludono l’automatica applicazione di questo principio. Pertanto, lo svolgimento di fatto di compiti più elevati non genera automaticamente il diritto alla retribuzione corrispondente se manca il presupposto formale: l’istituzione della posizione dirigenziale complessa tramite l’atto aziendale.

Nel caso specifico, l’atto aziendale non solo non qualificava il Polo Oculistico come struttura complessa, ma ad un certo punto lo aveva addirittura eliminato come struttura autonoma. Di conseguenza, la dirigente non poteva rivendicare né la retribuzione per una struttura complessa, né, dopo la soppressione, quella per una struttura semplice.

Le Conclusioni

Questa ordinanza consolida un orientamento giurisprudenziale chiaro: nel pubblico impiego sanitario, la forma prevale sulla sostanza per quanto riguarda l’inquadramento delle strutture. La discrezionalità organizzativa dell’Azienda Sanitaria, espressa tramite l’atto aziendale, è sovrana e non può essere superata da una valutazione fattuale del giudice. Per i dirigenti medici, ciò significa che il diritto a un determinato trattamento economico è indissolubilmente legato alla qualificazione formale dell’incarico e della struttura di appartenenza, come deliberato dall’amministrazione. Qualsiasi pretesa basata esclusivamente sullo svolgimento di fatto di mansioni superiori è destinata a non trovare accoglimento in sede giudiziaria.

Un dirigente medico può ottenere il compenso per una ‘struttura complessa’ se di fatto ne svolge le mansioni, anche se non è formalmente qualificata come tale?
No. Secondo la Corte di Cassazione, il diritto al trattamento economico superiore è subordinato alla formale istituzione della posizione dirigenziale di struttura complessa nell’atto aziendale dell’ente. Lo svolgimento di fatto delle mansioni non è sufficiente.

Il giudice può valutare nel merito se un’unità organizzativa di un’ASL debba essere classificata come ‘struttura complessa’ anziché ‘semplice’?
No. La qualificazione delle strutture rientra nel potere discrezionale dell’Azienda Sanitaria e non è sindacabile nel merito dal giudice ordinario. Il giudice non può sostituirsi all’amministrazione nelle sue scelte organizzative.

La disciplina sulle mansioni superiori (art. 2103 c.c.) si applica ai dirigenti del Servizio Sanitario Nazionale?
No. La sentenza ribadisce che specifiche normative di settore, come il D.Lgs. n. 502/1992, escludono l’applicabilità dell’art. 2103 c.c. al rapporto di lavoro dirigenziale in sanità, rendendo irrilevante lo svolgimento di fatto di mansioni superiori ai fini retributivi se manca un incarico formale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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