Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 13193 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 13193 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 18/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso 10208-2021 proposto da:
OBIETTIVO RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 143/2021 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 21/01/2021 R.G.N. 1114/2019; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
25/03/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Oggetto
CONTRIBUTI
R.G.N.10208/2021
Ud.25/03/2025 CC
Rilevato che:
Con ricorso ex art 442 c.p.c, la RAGIONE_SOCIALE adiva il Tribunale di Roma in funzione di giudice del lavoro chiedendo di «dichiarare inesistente l’asserito credito Enasarco a carico di RAGIONE_SOCIALE di cui al verbale ispettivo del 29/1/2015 prot. n. 107 in quanto la pretesa contributiva è fondata su errati presupposti fattuali e giuridici. Per l’effetto, annullare e/o dichiarare inefficace il suddetto verbale», e ciò previo accertamento che «i rapporti giuridici di collaborazione per cui è causa instaurati da RAGIONE_SOCIALE negli anni dal 2009 al 2013 ed analizzati dagli ispettori Enasarco nell’aprile e nel maggio 2014 non sono riconducibili alla disciplina del rapporto di agenzia di cui agli articoli 1742 e seguenti del cod. civ.» ma, piuttosto, secondo il nomen iuris attribuito dalle parti a consulenze ovvero a procacciamento di affari, senza insorgenza degli oneri contributivi contestati. La Fondazione Enasarco si costituiva in giudizio contestando la domanda proposta nei suoi confronti e chiedendone il rigetto. Con la sentenza n. 2799/2019 depositata il 21/03/2019 il Tribunale di Roma, in funzione di giudice del lavoro, accoglieva l’opposizione sul presupposto che i rapporti giuridici di collaborazione non fossero qualificabili quali contratti di agenzia.
Avverso detta sentenza proponeva appello la Fondazione EnasarcoRAGIONE_SOCIALE La società RAGIONE_SOCIALE si costituiva nel secondo grado di giudizio chiedendo il rigetto dell’impugnazione. Con la sentenza n. 143/2021 depositata il 21/01/2021 la Corte di Appello di Roma accoglieva l’appello e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, rigettava l’originario ricorso della RAGIONE_SOCIALE condannando la società al versamento della somma di euro 56.232,41 oltre alle spese del doppio grado di giudizio.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione, con impugnazione affidata a due motivi, la società RAGIONE_SOCIALE La RAGIONE_SOCIALE si è costituita con controricorso chiedendo il rigetto dell’impugnazione.
Entrambe le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 380 -bis. 1, cod. proc. civ..
Il ricorso è stato trattato dal Collegio nella camera di consiglio del 25/03/2025.
Considerato che:
Con il primo motivo di ricorso si deduce violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2700 e 2697, primo comma, cod. civ. e 116 cod. proc. civ.; secondo l’impugnazione la sentenza della Corte d’Appello di Roma sarebbe viziata per violazione dei principi normativi che definiscono il valore probatorio da attribuire ai verbali di ispezione e accertamento redatti dai funzionari Enasarco perché la sentenza impugnata avrebbe richiamato il «principio, consolidato nella giurisprudenza di legittimità, per il quale, in ordine alle circostanze apprese da terzi i rapporti ispettivi redatti dai funzionari degli istituti previdenziali, pur non facendo piena prova fino a querela di falso, hanno un’attendibilità che può essere infirmata solo da una prova contraria quando il rapporto sia in grado di esprimere ogni elemento utile da cui trae origine, e in particolare siano allegati i verbali, che costituiscono la fonte della conoscenza riferita dall’ispettore nel rapporto (cfr., da ultimo Cass., sez. lav., n.22074/2018, richiamata nella pronuncia impugnata)» mentre si tratterebbe «di un riferimento non pertinente, poiché nel caso in esame, come si è illustrato, l’accertamento svolto dagli Ispettori Enasarco è stato di natura esclusivamente documentale». Secondo il ricorso la sentenza gravata sarebbe erronea anche perché avrebbe violato «i principi di ripartizione
degli oneri probatori tra ente previdenziale -nel caso di specie, Fondazione Enasarco (unica onerata della prova della sottesa alle proprie pretese creditorie) ed il contribuente».
Il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.
2.1. Il motivo è inammissibile nella parte in cui non coglie la ratio decidendi della Corte di Appello. La sentenza impugnata non si limita, infatti, a richiamare il citato principio circa l’efficacia probatoria dei verbali ispettivi, ma con accertamento ulteriore e distinto, condotto sul materiale istruttorio allegato in atti, afferma che la natura di contratti di agenzia di tutti i rapporti di collaborazione controversi in giudizio emerge da una serie di elementi negoziali e documentali che sono specificamente enumerati e ripercorsi riguardo a ciascun collaboratore.
2.2. Nella parte in cui lamenta che la sentenza impugnata avrebbe invertito l’onere ricadente sulla fondazione RAGIONE_SOCIALE circa la prova delle circostanze poste a fondamento del verbale ispettivo, il motivo è parimenti inammissibile perché, lungi dal contestare una violazione o falsa applicazione di legge, tende a sollecitare una nuova valutazione da parte della Corte di legittimità del medesimo materiale istruttorio già delibato dalla Corte territoriale (documenti, contratti e testimonianze), rivalutazione che è preclusa in questa sede.
2.3. Si consideri, in proposito, il principio di diritto affermato da Cass. 29/05/2018, n. 13395: la violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c., censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove
oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (sindacabile, quest’ultima, in sede di legittimità, entro i ristretti limiti del “nuovo” art. 360 n. 5 cod.proc.civ.). La Corte di Appello, nella fattispecie, non ha invertito l’onere probatorio circa la natura dei rapporti controversi ma, avendolo attribuito correttamente alla Fondazione Enasarco, lo ha ritenuto assolto in ragione del compendio probatorio versato in atti.
2.4. Il primo motivo è, poi, infondato nella parte in cui lamenta che la Corte di Appello avrebbe male applicato il principio giurisprudenziale circa l’efficacia probatoria dei verbali assistiti perché si tratterebbe di un riferimento non pertinente, poich é nel caso in esame l’accertamento svolto dagli Ispettori Enasarco sarebbe stato di natura esclusivamente documentale.
2.5. Orbene, la sentenza impugnata ha concluso per la validità del verbale ispettivo in ragione di plurimi elementi probatori emergenti dall’istruttoria e la natura documentale di tali elementi non priva di efficacia e validità il ragionamento probatorio perché detti elementi sono idonei a corroborare il principio di prova offerto dai verbali ispettivi e non sono validamente contraddetti dall’esito delle testimonianze, come spiegato dalla Corte territoriale con apprezzamento in fatto che va esente da censure perché logico ed esaustivo. La natura documentale dei riscontri probatori ravvisati dalla Corte di Appello non è lesiva della ricostruzione effettuata circa la natura dei contratti ma, al contrario, vale a rafforzarla perché la qualificazione giuridica si fonda su riscontri obiettivamente valutabili rappresentativi della comune intenzione delle parti e dell’assetto negoziale. Né può affermarsi correttamente, come nel motivo di ricorso pure si afferma, che i riscontri documentali non sarebbero sufficienti a corroborare l’efficacia probatoria del
verbale ispettivo perché a tal fine sarebbe necessaria la sussistenza anche di concludenti prove testimoniali. Il materiale probatorio va, infatti, valutato nel suo complesso ed è quanto ha fatto la decisione impugnata.
Con il secondo motivo di ricorso si deduce violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1742, 1743, 1745, 1746 e 1748 cod. civ., 112 e 115 cod. proc. civ.; la sentenza della Corte d’Appello di Roma sarebbe viziata da erronea applicazione dei principi normativi in materia di qualificazione del rapporto di agenzia e di sua distinzione rispetto a forme contrattuali atipiche, quali il procacciamento d’affari e di consulenza (art. 2222 cod. civ.).
3.1. Il motivo è infondato. La sentenza della Corte di Appello individua i caratteri distintivi del contratto di agenzia dal mandato e dal procacciamento di affari in linea con la costante giurisprudenza della Corte secondo la quale: «la qualificazione di un rapporto come mandato o come agenzia va operata avendo riguardo principalmente al criterio della stabilità ed alla natura dell’incarico, che nel contratto di agenzia ha ad oggetto tipicamente la promozione di affari, sicché un’attività promozionale può rientrare nello schema del mandato, e non dell’agenzia, solo se è episodica ed occasionale e, quindi, con le caratteristiche del procacciamento di affari» (Cass. 12/02/2016, n. 2828).
3.2. Di seguito, la sentenza procede a individuare ed elencare gli elementi che depongono per la stabilità dei rapporti e per l’inquadramento nello schema tipico della agenzia. La sentenza ha ricollegato l’attività svolta al contratto di agenzia perché i collaboratori in questione svolgevano professionalmente l’attività ed erano iscritti all’albo degli agenti, svolgevano con continuità l’attività che era proseguita per anni
di seguito sebbene in ragione di differenti contratti annuali, l’attività era svolta in relazione ad un elenco predeterminato di clienti indicato dalla società, era formalizzato l’obbligo di attenersi alle condizioni di vendita e, infine, era individuata una provvigione in relazione agli affari conclusi in via percentuale.
3.3. Va, a questo punto, considerato che: in tema di interpretazione del contratto, il procedimento di qualificazione giuridica consta di due fasi, delle quali la prima – consistente nella ricerca e nella individuazione della comune volontà dei contraenti – è un tipico accertamento di fatto riservato al giudice di merito, sindacabile in sede di legittimità solo per vizi di motivazione in relazione ai canoni di ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., mentre la seconda – concernente l’inquadramento della comune volontà nello schema legale corrispondente – risolvendosi nell’applicazione di norme giuridiche – può formare oggetto di verifica e riscontro in sede di legittimità sia per quanto attiene alla descrizione del modello tipico della fattispecie legale, sia per quanto riguarda la rilevanza qualificante degli elementi di fatto così come accertati, sia infine con riferimento alla individuazione delle implicazioni effettuali conseguenti alla sussistenza della fattispecie concreta nel paradigma normativo (Cass. 5/12/2017, n. 29111).
3.4. Dunque, alla luce del consolidato principio di diritto elaborato da questa Corte, la ricerca della comune volontà dei contraenti è frutto di accertamento in fatto condotto dal giudice di merito e, nel caso in questione, la Corte di Appello ha condotto tale indagine in modo logico, completo e senza che emergano vizi di motivazione in relazione ai canoni dell’ermeneutica contrattuale. Si tratta, per questa via, di accertamento non ripetibile nel giudizio di cassazione.
3.5. Quanto alla qualificazione giuridica operata in termini di contratto di agenzia dalla Corte di Appello, essa è contestata dal secondo motivo di ricorso ed è rivalutabile in sede di legittimità. La valutazione operata dalla sentenza impugnata deve, tuttavia, andare esente da censure perché strettamente aderente al materiale istruttorio selezionato e alle caratteristiche precipue del contratto di agenzia. Per questa via va esclusa la ricorrenza del denunciato errore di sussunzione.
Il ricorso deve, così, essere integralmente respinto.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento delle spese di lite che liquida in euro 6.000,00 (seimila) per compensi, in euro 200,00 per esborsi e accessori come per legge; ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Quarta