Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 1398 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 1398 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 15/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8616/2021 R.G. proposto da:
AZIENDA SANITARIA LOCALE INDIRIZZO , elettivamente domiciliata in Roma INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE , elettivamente domiciliata in Roma INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOMECOGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma n. 4333/2020 depositata il 21.9.2020.
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26.10.2023 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE (di seguito, semplicemente: RAGIONE_SOCIALE o RAGIONE_SOCIALE) ha ottenuto dal Tribunale di Roma il decreto ingiuntivo n. 6025/2011 nei confronti della Azienda Complesso Ospedaliero San Filippo Neri (di seguito, semplicemente: RAGIONE_SOCIALE San Filippo Neri) per la somma di € 850.000,00, oltre interessi, in riferimento alla fattura n.162 del 2010 emessa per il pagamento delle prestazioni effettuate nel settembre 2010, in forza dell’art.10 del Protocollo di intesa intervenuto tra le parti il 30.4.2009.
Ha proposto opposizione la ACO San Filippo Neri, facendo valere plurimi profili di nullità del predetto Protocollo di Intesa e del suo art.10.
Il Tribunale di Roma con sentenza del 1.6.2015 ha accolto l’opposizione della ACO San Filippo Neri e ha ritenuto la nullità dell’art.10 del Protocollo di Intesa per violazione dell’art.5 del d.l. 79 del 1997.
Avverso la predetta sentenza di primo grado ha proposto appello la Valle Fiorita, a cui ha resistito quale appellata la ASL Roma 1, avente causa della originaria convenuta, che ha altresì proposto appello incidentale con riferimento alla richiesta di dichiarazione di nullità dell’intera Convenzione e di compensazione con le somme a suo credito per € 5.484.909,50.
La Corte di appello di Roma con sentenza del 21.9.2020 ha accolto il gravame principale, rigettando di conseguenza l’opposizione a decreto ingiuntivo, respingendo l’appello incidentale di ASL Roma 1, gravando la ASL delle spese del doppio grado.
La Corte di appello: a) ha richiamato la giurisprudenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione in sede di regolamento di giurisdizione in altre cause fra le stesse parti, nel senso della qualificazione giuridica del rapporto intercorso in termini di affitto di azienda e non quale appalto di servizi; b) ha escluso la sussistenza della norma imperativa che aveva indotto il Tribunale a ritenere la nullità della clausola determinativa del compenso; c) ha negato rilevanza alla mancanza dell’accreditamento della Casa di cura, poiché si trattava di affitto di azienda e non di prestazioni rese dalla struttura privata in ambito SSN; d) ha ritenuto valido il patto di non compensazione che non escludeva la possibilità di recupero nelle forme ordinarie; e) ha negato l’ammissibilità della domanda di condanna al pagamento della somma di € 5.484.909,50 perché già accolta in prime cure in altro giudizio, seppur con pronuncia oggetto di appello.
Avverso la predetta sentenza del 22.6.2020, notificata in data 3.8.2020, con atto notificato il 27.10.2020 ha proposto ricorso per cassazione ASL Roma 1, svolgendo cinque motivi.
Con atto notificato il 7.12.2020 ha proposto controricorso Valle Fiorita, chiedendo la dichiarazione di inammissibilità o il rigetto dell’avversaria impugnazione.
In data 21.9.2023 la controricorrente ha presentato istanza di abbinamento ad altri ricorsi afferenti alla stessa questione giuridica e pendenti fra le stesse parti in Cassazione.
Entrambe le parti hanno presentato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Non vi è ragione, innanzitutto, di ritardare, in accoglimento dell’istanza di abbinamento proposta , la decisione della presente controversia, giunta all’epilogo decisorio e del resto trattata nella
stessa camera di consiglio con numerosi altri ricorsi relativi allo stesso contenzioso.
Sempre in via preliminare, la controricorrente rileva la contrarietà ai principi cardine dettati dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo del comportamento tenuto dalla ASL (già ACO San Filippo Neri), che prima ha utilizzato la struttura di proprietà della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, senza eccepire nulla in merito al corretto adempimento al contratto da parte della stessa RAGIONE_SOCIALE, ed ora tenta di non pagare quanto dovutole quale corrispettivo per l’utilizzo eccependo ogni e qualsiasi ipotesi di nullità del contratto.
Tale comportamento della Pubblica Amministrazione violerebbe apertamente, tra l’altro, l’articolo 1 del Primo Protocollo addizionale alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo laddove tutela la proprietà e pertanto anche i diritti patrimoniali dei singoli.
Lo Stato non potrebbe, cioè, prima utilizzare un bene di un privato e poi eccepire che il contratto tra lo stesso Stato e il privato sia nullo, al fine di non pagare quanto dovuto al privato senza cadere in una aperta e palese violazione del sopraindicato articolo 1, tanto più quando l’utilizzo è stato effettuato sulla base di un contratto predisposto e firmato dalla stessa Pubblica Amministrazione.
Tale argomentazione preliminare non può essere condivisa poiché prescinde totalmente dalla valutazione delle singole censure di nullità del contratto intercorso fra le parti, prospettate anche con riferimento a regole di ordine pubblico e norme imperative, tanto più che il nostro ordinamento riconosce comunque al privato patrimonialmente depauperato con locupletazione della Pubblica Amministrazione la tutela indennitaria e riequilibratrice dell’ingiustificato arricchimento di cui all’art.2041 cod.civ.
Con il primo motivo di ricorso, proposto ex art.360, n. 3, cod.proc.civ., la ricorrente denuncia violazione di legge con riferimento agli artt.1362 e 1363 cod.civ., nonché violazione o falsa
applicazione degli artt.1571,1615 e 2112 cod.civ. in ordine alla qualificazione del rapporto intercorso fra le parti in termini di affitto di azienda.
La ricorrente lamenta che la Corte territoriale si sia concentrata solo sugli articoli 4 e 5 del Protocollo di Intesa, trascurando gli altri e perdendo così di vista il fatto che Valle Fiorita non aveva trasferito il godimento dell’azienda al San Filippo Neri e non aveva messo a disposizione alcunché, ma aveva essa stessa continuato a gestire il complesso dei beni.
7. Il motivo è inammissibile.
La parte ricorrente, sotto l’egida formale del vizio di violazione di legge, sollecita indebitamente la Corte di legittimità a una rivisitazione della fattispecie concreta già scrutinata dai giudici del merito, tramite la lettura degli atti istruttori.
Il vizio di violazione di legge consiste infatti nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (Sez. 1, n. 3340 del 5.2.2019).
In realtà, le espressioni violazione o falsa applicazione di legge, di cui all’art. 360 cod.proc.civ., comma 1, n. 3, descrivono i due momenti in cui si articola il giudizio di diritto: a) quello concernente la ricerca e l’interpretazione della norma ritenuta regolatrice del caso concreto; b) quello afferente l’applicazione della norma stessa una volta correttamente individuata ed interpretata. Il vizio di violazione di legge investe immediatamente la regola di diritto, risolvendosi nella negazione o affermazione erronea della esistenza o inesistenza di una norma, ovvero nell’attribuzione ad essa di un
contenuto che non possiede, avuto riguardo alla fattispecie in essa delineata; il vizio di falsa applicazione di legge consiste, o nell’assumere la fattispecie concreta giudicata sotto una norma che non le si addice, perché la fattispecie astratta da essa prevista pur rettamente individuata e interpretata -non è idonea a regolarla, o nel trarre dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, conseguenze giuridiche che contraddicano la pur corretta sua interpretazione. Non rientra nell’ambito applicativo dell’art. 360, comma 1, n. 3, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa che è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta perciò al sindacato di legittimità (Sez. 1, n. 640 del 14.1.2019).
8. Il motivo inoltre non affronta e non confuta la ratio decidendi della sentenza impugnata, che si è basata sulla qualificazione giuridica del rapporto in adesione a quella più volte impressa dalla Suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite in sede di regolamento di giurisdizione in varie controversie fra le stesse parti e relative al medesimo rapporto negoziale, sia pur con riferimento alla precedente, ma analoga, Convenzione.
È pur vero che le decisioni emesse dalle Sezioni Unite in sede di regolamento di giurisdizione non vincolano nel merito della questione, avendo valore di giudicato solo sulla giurisdizione e sui presupposti fattuali della sua attribuzione, ma esse costituiscono, nondimeno, precedenti autorevoli, che ben possono essere condivisi, come ha fatto la Corte territoriale.
Nella ordinanza n.9191 del 7.6.2012 le Sezioni Unite hanno affermato che il Protocollo di intesa tra l’attrice e l’Azienda convenuta era un accordo nel quale ricorrevano gli elementi propri del contratto di affitto di azienda.
L’ordinanza n.19062 del 12.11.2012 ha poi affermato « Il Protocollo di intesa costituente l’accordo a base del chiesto pagamento
prevede alcuni obblighi con prestazioni fisse o forfetarie della Azienda concedente nei confronti della casa di cura concessionaria, il cui adempimento è comunque da eseguire e non è quindi collegabile immediatamente e soltanto con i servizi sanitari, essendo i corrispettivi dovuti anche per il godimento della struttura costituente la sede della casa di cura e per la fruizione dai pazienti di prestazioni erogate dalla concessionaria in luogo della concedente.
La somma dovuta, calcolata nel Protocollo di intesa in via forfetaria e a titolo di acconto, non determina la qualificazione delle prestazioni pecuniarie rimaste inadempiute come strumento necessario per la erogazione delle prestazioni del servizio pubblico di assistenza sanitaria e quindi non qualifica l’oggetto del giudizio come strettamente connesso alla materia dei servizi riservata alla giurisdizione esclusiva del G.A., perché le somme di danaro che si pretendono in pagamento sono oggetto di una obbligazione pecuniaria non qualificabile come strumentale al servizio di cui deve conoscere eventualmente il G.A., potendo su tali obblighi avere cognizione il giudice ordinario e quindi il Tribunale di Roma nella fattispecie concreta (così, con le sentenze citate, cfr. pure S. U. 27 dicembre 2011 n. 28809 e 23 febbraio 2010 n. 5029). In quanto non è connaturato alle obbligazioni di cui si chiede l’adempimento il servizio sanitario pubblico e quindi gli obblighi inadempiuti non costituiscono situazioni soggettive strumentali all’espletamento di prestazioni assistenziali o oneri per tale espletamento, ma mero corrispettivo dell’uso delle strutture e del personale e dei servizi della casa di cura, la giurisdizione deve riconoscersi al G.C. …»
Infine l’ordinanza n.3273 del 12.2.2013 ha affermato che « La controversia del giudizio principale di pagamento attiene a diritti e obblighi sorti dal protocollo di intesa tra le parti, atto integrativo della concessione da inquadrare per la istante nel D.Lgs.7 agosto
1990, n. 241, art. 11, nel quale vi sono elementi del contratto di affitto di azienda in ordine al pagamento degli acconti dovuti per prestazioni erogate dalla Casa di cura con proprio personale senza che su tali attività incidano poteri autoritativi della concedente.»
Nella memoria illustrativa la ASL controricorrente, al fine di contestare la qualificazione giuridica del rapporto adottata dalla Corte di appello, insiste particolarmente sulla recente sentenza del Consiglio di Stato n. 9200/2022 inter partes (prodotta come all.1.)
La controricorrente rappresenta come nella predetta decisione il Consiglio di Stato abbia ritenuto infondata la ricostruzione del Protocollo di Intesa, riproposta dalla RAGIONE_SOCIALE anche nel presente giudizio, quale convenzione avente ad oggetto un affitto di azienda.
La controricorrente evidenzia che il Consiglio di Stato, all’opposto, ha qualificato il Protocollo nei seguenti termini: « la convenzione del 30 aprile 2009 dà luogo ad una forma di integrazione tra Azienda ospedaliera pubblica e Casa di Cura privata ai fini della erogazione dei servizi assistenziali, come plasticamente si evince dal disposto dell’art. 3, laddove si prevede che ‘L’Azienda individua la Casa di Cura quale sede di Unità Operative Complesse e Semplici facenti parte dell’Azienda, con la conseguente denominazione di ‘Azienda Complesso Ospedaliero San Filippo Neri -Casa di Cura Valle Fiorita’ e che ‘A tal fine l’Azienda si avvale della Casa di Cura Valle Fiorita per erogare l’assistenza ospedaliera ai pazienti, che una volta accettati presso il P.S. dell’Azienda possano appropriatamente essere trattati in regime di ricovero ordinario, day hospital, day surgery, ambulatoriale ed intra moenia…mediante le seguenti unità operative complesse e semplici (rispettivamente denominate UOC ed UOS) previste dall’Atto aziendale:…’. Trattasi, quindi, di una convenzione direttamente destinata a regolare, nei suoi aspetti
organizzativi ed operativi, la gestione di un servizio pubblico, con la conseguente immanente esigenza di garantirne la coerenza con gli interessi pubblici, afferenti al delicato settore sanitario ed alle relative esigenze di complessivo equilibrio finanziario, che la caratterizzano sul piano teleologicofunzionale. Nel senso suindicato, del resto, milita il decisivo argomento relativo alle modalità di remunerazione della Casa di Cura, incentrate sul sistema (tipico della remunerazione delle prestazioni ospedaliere) dei DRG (cfr. art. 10 della convenzione), pur prevedendosi la decurtazione del costo relativo al personale medico afferente all’Azienda ospedaliera ed utilizzato presso la Casa di Cura: meccanismo che, sul piano della ricostruzione del rapporto tra le parti e dell’apporto dalle stesse dato alla erogazione della complessiva attività assistenziale (ed indipendentemente, si ripete, dalla qualificazione ed imputazione del rapporto con il singolo paziente), induce, da un lato, ad escludere che la convenzione avesse ad oggetto, come sostenuto dalla appellante, la mera disponibilità di immobili ed attrezzature della Casa di Cura da parte dell’ACO, piuttosto che la vera e propria attività sanitaria, dall’altro lato, ad individuare il soggetto erogatore della prestazione assistenziale (anche) nella medesima Casa di Cura, nel quadro di un rapporto di ‘avvalimento’ e di stretta integrazione organizzativa e funzionale con l’Azienda ospedaliera. »
Gli assunti della ASL non possono essere condivisi per varie ragioni.
In primo luogo, la stessa controricorrente riconosce che la pronuncia non è passata in giudicato ed è stata attualmente impugnata da Valle Fiorita avanti questa Corte con giudizio n.r.g. 10375/2023 (tuttora pendente) per eccesso di potere giurisdizionale.
In secondo luogo, la pronuncia del Consiglio di Stato deve essere opportunamente contestualizzata.
Valle Fiorita aveva impugnato la delibera n. 546 del 22.7.2010 dell’ACO San Filippo Neri, che aveva proceduto unilateralmente alla modifica dell’assetto organizzativo funzionale, trasferendo i servizi maggiormente qualificanti dalla Casa di Cura al presidio del San Filippo Neri, lasciando alla prima i diciotto posti letto di Medicina interna.
L’impugnazione, con successivi motivi aggiunti, era stata estesa alla nota prot. n. 2043 del 4.2.2011, concernente il trasferimento delle unità operative di Urologia e di Chirurgia plastica dalla Casa di Cura Valle Fiorita al presidio San Filippo Neri, alla nota prot. n. 57 del 29.4.2011, alla nota prot. n. 7823 del 17.5.2011, con la quale l’Azienda Ospedaliera aveva disposto la riduzione dell’acconto mensilmente garantito, e alla nota n. 145 del 20.6.2011, con la quale l’Azienda Ospedaliera aveva disposto il trasferimento dalla Casa di Cura al presidio INDIRIZZO delle attività ambulatoriali di Dermatologia e Dermochirurgia, Roncopatia e Foniatria.
Valle Fiorita aveva sostenuto che il Protocollo integrava un contratto di natura privatistica, con la conseguente preclusione dell’intervento modificativo unilaterale dell’Ente pubblico posto in essere con gli atti impugnati.
È proprio nel rispondere a questa argomentazione che il Consiglio di Stato ha opposto la natura pubblicistica del contesto in cui era destinata ad operare la Convenzione, per ribadire la persistenza die poteri pubblici, nel caso esercitati con la riduzione delle attività esercitate nella Casa di cura convenzionata e trasferite nel Presidio Ospedaliero, affermando che la Convenzione era direttamente destinata a regolare, nei suoi aspetti organizzativi ed operativi, la gestione di un servizio pubblico.
In ogni caso la natura pubblica del rapporto, in cui si dovrebbe contestualizzare la stipulazione della Convenzione, non è affatto incompatibile con un contratto atipico contenente gli elementi di un rapporto di affitto di azienda, così come ravvisato dalla
giurisprudenza delle Sezioni Unite e dalla sentenza impugnata e tantomeno rende necessario un accreditamento in difetto dell’elemento caratterizzante della prestazione sanitaria da parte di medici abilitati.
Con il secondo motivo di ricorso, proposto ex art.360, n.3, cod.proc.civ., la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione agli artt. 1, 8bis , ter , quater e quinquies del d.lgs. 502/1992 e s.m.i., 1418, 1362 e 1363 cod.civ.
La ricorrente lamenta che dopo l’errore sulla qualificazione giuridica del rapporto la Corte di appello abbia errato anche nell’escludere in capo a Valle Fiorita l’espletamento di una prestazione sanitaria, dal momento che le disposizioni da essa invocate, diversamente da quanto ritenuto dalla Corte romana, non contenevano mere enunciazioni di principio, ma avevano carattere imperativo e ridondavano in vizio di capacità della pubblica amministrazione.
Precisa la ricorrente che poiché in questo caso si discuteva del Protocollo di Intesa del 2009, e non già della precedente Convenzione del 2005, quanto deciso dalla sentenza n.28544 del 2017 della Cassazione non esercitava forza di giudicato.
Anche in questo caso la ricorrente, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio mira, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Sez. U, n. 34476 del 27.12.2019).
Come già questa Corte ha avuto modo di precisare nella sentenza 25844 del 31.10.2017 tra le stesse parti – che indubbiamente ha valore di autorevole precedente e non efficacia di giudicato, riguardando la precedente Convenzione inter partes del 2005 – in mancanza del connotato della effettuazione delle cure mediche e di quelle chirurgiche la prestazione, effettuata in favore dell’Azienda Ospedaliera, non era qualificabile come sanitaria ed il contratto esulava dal contratto di spedalità.
Non ricorreva pertanto l’esercizio di attività sanitaria o sociosanitaria da parte della Casa di cura nel quadro del Servizio Sanitario Nazionale tale da implicare l’accreditamento istituzionale previsto dall’art. 8 quater d.lgs. n. 502 del 1992.
Correttamente, quindi, a pagina 5, la Corte territoriale ha escluso che ai fini della validità ed efficacia della convenzione rilevasse la mancanza dell’accreditamento della Casa di cura Valle Fiorita, poiché il contratto andava ricondotto all’affitto di azienda e non si trattava di prestazioni rese -almeno in prima persona nell’ambito del Servizio Sanitario nazionale, in cui operava l’ACO San Filippo Neri avvalendosi della struttura affittata. E ciò perché la Valle Fiorita non ha mai avuto in affidamento la cura dei pazienti ma si è limitata, in attuazione degli accordi contrattuali succedutisi nel tempo, a mettere a disposizione dell’ACO San Filippo Neri la propria struttura, che senza medici non avrebbe potuto essere accreditata. L’accreditamento infatti è il provvedimento con il quale una struttura sanitaria viene inserita in modo continuativo e sistematico nell’organizzazione della P.A. ed assume la qualifica di soggetto erogatore di un servizio pubblico (Sez. U, n. 16336 del 18.6.2019). Con il riconoscimento dell’accreditamento, il legislatore ha inteso assicurare e garantire la serietà delle strutture private che agiscono autonomamente in concorrenza con quelle pubbliche per conto del
Servizio Sanitario Nazionale.
La Casa di cura Valle Fiorita in base al Protocollo del 30.4.2009 non aveva alle proprie dipendenze medici e di conseguenza non avrebbe mai potuto erogare alcun servizio (cfr. art. 6 del Protocollo secondo cui « L’azienda per il funzionamento della Casa di cura Valle Fiorita si avvarrà di persona medico e sanitario che l’Azienda stessa si riserva di assegnare formalmente ».
Il Protocollo invece prevedeva che la Valle Fiorita sarebbe stata utilizzata dall’A.C.O. San Filippo Neri per rendere servizi sanitari: l’art. 3 stabiliva infatti « L’azienda individua la Casa di cura quale
sede di Unità Operative Complesse e Semplici facenti parte dell’Azienda, con la conseguente denominazione ‘Azienda Complesso Ospedaliero San Filippo Neri -Casa di cura Valle Fiorita. (…). A tal fine l’Azienda si avvale della Casa di cura Valle Fiorita per erogare l’assistenza ospedaliera, a pazienti, che una volta accettati presso il P.S. dell’Azienda possano appropriatamente essere trattati in regime di ricovero ordinario, day hospital, day-surgery, ambulatoriale ed intra-moenia».
Con il terzo motivo di ricorso, proposto, in subordine, ex art.360, n.3, cod.proc.civ., la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione all’art.1655 cod.civ. e all’art.5 del d.l. 79 del 1997, nonché violazione del d.lgs. 18.4.2016 n.50 e delle norme in materia di scelta del contraente, nonché violazione del r.d. 18.11.1923 n.2440, art.ì3 e del regolamento attuativo n.827 del 1924, art.37.
La ricorrente sostiene, in subordine, la riconducibilità del rapporto a un appalto pubblico in cui era stato del tutto pretermesso il sistema della evidenza pubblica nella scelta del contraente.
Anche con il predetto motivo subordinato la ricorrente, in effetti, pur deducendo vizi di violazione di norme di legge sostanziale, ripropone il tema della qualificazione giuridica del rapporto in termini di appalto pubblico e non di affitto di azienda.
Oltre a porsi in contrasto con le plurime pronunce delle Sezioni Unite sopra rammentate in sede di regolamento di giurisdizione, la censura proposta lamenta, in sostanza, l’erronea ricognizione dei fatti che, alla luce delle prove raccolte, hanno operato i giudici di merito.
La valutazione delle prove raccolte, però, anche se si tratta di presunzioni (Cass. n. 2431 del 2004; Cass. n. 12002 del 2017; Cass. n. 1234 del 2019), costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale
non sono sindacabili in cassazione se non per il vizio – nel caso in esame neppure invocatoconsistito, come stabilito dall’art. 360 cod.proc.civ., n. 5, nell’avere del tutto omesso, in sede di accertamento della fattispecie concreta, l’esame di uno o più fatti storici, principali o secondari, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbiano costituito oggetto di discussione tra le parti e abbiano carattere decisivo, vale a dire che, se esaminati, avrebbero determinato un esito diverso della controversia.
È del tutto estranea a tale vizio qualsiasi censura volta a criticare il convincimento che il giudice si è formato, a norma dell’art. 116 cod.proc.civ., commi 1 e 2, in esito all’esame del materiale probatorio mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova. La valutazione degli elementi istruttori costituisce, infatti, un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione (Cass. n. 11176 del 2017, in motiv.). Nel quadro del principio, espresso nell’art. 116 cod.proc.civ., di libera valutazione delle prove (salvo che non abbiano natura di prova legale), del resto, il giudice civile ben può apprezzare discrezionalmente gli elementi probatori acquisiti e ritenerli sufficienti per la decisione, attribuendo ad essi valore preminente e così escludendo implicitamente altri mezzi istruttori richiesti dalle parti: il relativo apprezzamento è insindacabile in sede di legittimità, purché risulti logico e coerente il valore preminente attribuito, sia pure per implicito, agli elementi utilizzati. (Cass. n. 11176 del 2017).
15. La ricorrente non considera poi minimamente quanto disposto dall’art.13 della legge regionale del Lazio n.55 del 20.9.1993, relativa a « Servizi ospedalieri pubblici ubicati in case di cura già convenzionate con l’ex Pio istituto di S. Spirito e ospedali riuniti di
Roma », secondo cui il Consiglio regionale, su proposta della Giunta regionale, in sede di adozione dei provvedimenti di riorganizzazione territoriale della rete ospedaliera, doveva stabilire la destinazione dei servizi ospedalieri pubblici ubicati nelle case di cura private già convenzionate con l’ex Pio istituto di INDIRIZZO e ospedali riuniti di Roma, individuando le divisioni ed i servizi che devono essere ricondotti all`interno degli stabilimenti ospedalieri direttamente gestiti dalle unità sanitarie locali e quelli che devono essere mantenuti nelle strutture in cui sono collocati, in relazione alla relativa ubicazione nonché alle specifiche esigenze della popolazione.
Al fine della realizzazione di quanto sopra indicato, la Giunta regionale doveva individuare le modalità anche per la gestione della struttura privata utilizzata nello svolgimento delle attività ospedaliere pubbliche, ricorrendo anche alle forme di sperimentazione gestionale previste dal decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502.
È quindi chiaro che l’individuazione del contraente, quanto alle strutture da utilizzare attraverso l’utilizzo delle relative aziende, era stata comunque determinata una volta per tutte dal legislatore regionale con strumento avente forza di legge.
16. Con il quarto motivo di ricorso, proposto ex art.360, n.4 e in subordine n.5, cod.proc.civ., la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione all’art.112 cod.proc.civ. e omessa pronuncia, con riferimento al rispetto dei principi di economicità, imparzialità e buon andamento validi anche per il contratto eventualmente qualificato come di affitto di azienda.
La ricorrente si duole del mancato svolgimento di alcuna procedura comparativa che sarebbe stata necessaria anche nel caso di affitto di azienda, con il conseguente contrasto della convenzione con norme imperativa, che impongono lo svolgimento di una gara per tutti i contratti comportanti una entrata o una spesa per lo Stato
(r.d. 18.11.1923 n.2440, art.3, e regolamento n.827 del 1924, art.37).
La Corte di appello non si è pronunciata esplicitamente sull’eccezione che peraltro è stata implicitamente disattesa.
L’eccezione appare comunque manifestamente infondata ove si consideri, come è stato chiarito nel precedente § 12, che la scelta di utilizzare la struttura della Casa di cura Valle Fiorita e quindi la scelta del contraente erano state fatte direttamente dalla legge regionale n.55 del 1993, sicché neppur si poneva per la Pubblica Amministrazione la possibilità di individuare liberamente la struttura in cui proseguire l’erogazione dei servizi ospedalieri pubblici ubicati in case di cura già convenzionate con l’ex Pio istituto di S. Spirito e ospedali riuniti di Roma.
La stessa considerazione vale per l’invocato art.27 del d.lgs. 163 del 2006, che comunque riguarda l’affidamento dei contratti pubblici aventi ad oggetto lavori, servizi, forniture e non i contratti di affitto di azienda.
Con il quinto motivo di ricorso, proposto ex art.360, n.4, cod.proc.civ., la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione all’art.112 cod.proc.civ. con riferimento all’eccezione da essa sollevata nella comparsa di risposta in appello circa la mancanza della fase istruttoria relativamente alla determinazione dell’importo di cui all’art.10 del Protocollo di Intesa con conseguente ulteriore profilo di nullità per violazione del principio di determinatezza dell’impegno di spesa previsto dall’art.10.
La ricorrente si duole del fatto che la Corte di appello non si sia pronunciata sull’eccezione da essa sollevata circa la mancanza della fase istruttoria relativamente alla determinazione dell’importo di cui all’art.10 del Protocollo, fissato senza alcuna indagine preventiva circa il valore dell’azienda e pianificazione di spesa.
Lamenta ancora la ricorrente che la previsione del compenso non fosse suscettibile di decurtazioni a conguaglio se la produttività fosse stata minore degli acconti versati, ma modificabile solo in aumento, e la sovrabbondanza dell’importo di € 850.000,00 mensili rispetto ai costi effettivi sostenuti da Valle Fiorita.
La Corte di appello effettivamente non si è pronunciata al riguardo.
Neppure convince quanto affermato dalla controricorrente laddove essa sostiene l’inammissibilità della censura perché la ASL RM 1 solleva eccezioni riguardo a questioni sulle quali la Corte d’appello non si è pronunciata, assumendo al riguardo che la sentenza avrebbe dovuto essere impugnata con la revocazione ai sensi dell’articolo 395, n. 4, cod.proc.civ. e non con i mezzi ordinari.
In siffatta evenienza il rimedio è invece esattamente quello proposto da ASL Roma 1, ossia la denuncia della nullità della sentenza ex art.360, comma 1, n.4, per violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato di cui all’art.112 cod.proc.civ.
20. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, alla luce dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo come costituzionalizzato nell’art. 111, comma 2, Cost., nonché di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale art. 384 cod.proc.civ. ispirata a tali principi, una volta verificata l’omessa pronuncia su un motivo di gravame, la Suprema Corte può omettere la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la causa nel merito allorquando la questione di diritto posta con quel motivo risulti infondata, di modo che la statuizione da rendere viene a confermare il dispositivo della sentenza di appello (determinando l’inutilità di un ritorno della causa in fase di merito), sempre che si tratti di questione che non richiede ulteriori accertamenti di fatto. (Sez. 5, n. 16171 del 28.6.2017; Sez. 5, n. 9693 del 19.4.2018).
Nella specie, l’eccezione non esaminata appare manifestamente infondata innanzitutto perché la ricorrente non indica in base a quali elementi di fatto e a quali evidenze probatorie si dovrebbe ritenere che il corrispettivo contrattuale fosse stato determinato e accettato dalla Pubblica Amministrazione, senza alcuna preventiva verifica e valutazione istruttoria.
In secondo luogo, la stipulazione di un contratto da parte della Pubblica Amministrazione senza adeguata istruttoria (circostanza questa peraltro tutta da verificare in punto di fatto) non comporta la violazione di una norma imperativa, ridondante in nullità, incidentalmente suscettibile di delibazione da parte del giudice ordinario adìto per l’esecuzione del contratto.
Per i motivi esposti il ricorso deve essere complessivamente rigettato e la ricorrente deve essere condannata al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidate come in dispositivo. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, occorre dar atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidate nella somma di € 18.000,00 per compensi, € 200,00 per esposti, 15% rimborso spese generali, oltre accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato
pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Prima Sezione