Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 9311 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 9311 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 09/04/2025
Oggetto
Procedimento civile ─ Qualificazione della domanda ─ Azione di rilascio di immobile detenuto senza titolo ─ Allegazione in via di eccezione dello jus detinendi a titolo di comodato ─ Rito sommario ex art. 702 -bis c.p.c. -Applicabilità
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 21652/2021 R.G. proposto da COGNOME NOME, rappresentato e difeso dagli Avv.ti NOME COGNOME (p.e.c.: gEMAILpecEMAIL) e NOME COGNOME (p.e.c.: EMAIL, con domicilio eletto presso lo studio del secondo in Roma, INDIRIZZO;
-ricorrente –
contro
Banca di Credito Cooperativo Pordenonese e RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME (p.e.c.: EMAILordineavvocatitrevisoEMAIL) e dall’ Avv. NOME
COGNOME (p.e.c.: EMAIL, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente –
e nei confronti di
Fallimento RAGIONE_SOCIALE e COGNOME RAGIONE_SOCIALE
-intimati – avverso la sentenza n. 1098/2021 della Corte d’appello di Venezia, depositata il 15 aprile 2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25 febbraio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
con ricorso ex art. 702bis cod. proc. civ. depositato in data 22 febbraio 2018, il curatore del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE adì il Tribunale di Treviso chiedendo fosse accertata l’occupazione senza titolo, da parte dei coniugi NOME COGNOME e NOME COGNOME, della porzione di villa individuata catastalmente come Foglio E/2, Particella 6, Subalterno 6, sita in Mogliano Veneto (TV), INDIRIZZO int. INDIRIZZO, con la conseguente condanna degli stessi al rilascio del bene;
si costituì in giudizio il solo NOME COGNOME il quale eccepì, tra l’altro : l’incompatibilità del rito sommario con l’atto introduttivo; il difetto di legittimazione ad agire del Fallimento e, comunque, l’infondatezza della domanda per essere stato l’immobile concesso in locazione dalla società in bonis a NOME COGNOME figlio del deducente e della moglie, e poi da questo attribuito in comodato ad essi genitori;
la domanda venne accolta dall’adito Tribunale ;
il COGNOME interpose gravame e nel relativo giudizio si costituì, per resistervi, la Banca di Monastier e del Sile Credito Cooperativo
RAGIONE_SOCIALE quale aggiudicataria della porzione di villa oggetto di lite; rimasero invece contumaci il Fallimento e NOME COGNOME;
si ebbe, successivamente, la costituzione in giudizio della Banca di Credito Cooperativo Pordenonese e RAGIONE_SOCIALE quale banca incorporante la Banca di Monastier e del Sile;
con sentenza n. 1098/2021, depositata il 15 aprile 2021, la Corte d’appello di Venezia ha rigettato l’appello , confermando la decisione di primo grado e condannando l’appellante alla rifusione delle spese del grado nei confronti della banca incorporante;
ha rilevato in motivazione, per quanto ancora interessa, che:
─ l’azione esercitata dal Fallimento andava qualificata come azione di rivendicazione e non di restituzione, poiché basata sull’affermazione della proprietà del bene dell’attore e della totale mancanza ab origine di ogni titolo giustificativo della detenzione del convenuto e non invece sull’allegazione del venir meno di un negozio giuridico, che aveva giustificato la consegna della cosa e la relazione di fatto sussistente tra questa ed il medesimo convenuto;
─ siffatta azione è sottoposta al procedimento di cognizione ordinaria, ovvero a quello sostitutivo costituito dal procedimento di cognizione sommaria di cui all’art. 702 -bis e ss. cod. proc. civ., essendo invece da escludere l’applicabilità del rito locatizio di cui all’art. 447 -bis cod. proc. civ.;
─ l’appellante, nel reiterare l’eccezione di difetto di legittimazione ad agire in capo al proprietario dell’immobile, sostiene in realtà l’estraneità di quest’ultimo al rapporto sostanziale controverso ; tale eccezione non attiene alla dedotta legitimatio ad causam , né investe la titolarità del diritto dominicale, ma concerne piuttosto l’accertamento in concreto dell’effettiva titolarità in capo al medesimo appellante di un diritto che lo legittima ad occupare il bene;
─ s ostiene, infatti, l’appellante che l’immobile oggetto di causa ,
sebbene catastalmente individuato al fg. 2, part. 6, sub. 6, ed attualmente contraddistinto con un proprio numero civico (n. 71 int. 1), è funzionalmente e materialmente collegato all’immobile concesso in locazione da RAGIONE_SOCIALE al figlio NOME COGNOME, contraddistinto catastalmente al fg. 2, part. 6, sub. 5 e dal civico n. 71, in guisa tale che i due subalterni costituiscono un’unica unità abitativa, onde il successivo contratto dell’11 /11/2014 con cui COGNOME NOME ha concesso in comodato ai propri genitori la porzione di villa, individuata nell’atto con il subalterno 6, composto da n. 3 vani, in realtà include anche la porzione identificata con il subalterno 5, composto da n. 19 vani utili e n. 2 accessori;
─ tale tesi è però priva di pregio, atteso che: a) dalle visure e planimetrie catastali e dagli elaborati planimetrici allegati alle perizie di stima del 30/06/2016 e del 20/12/ 2016 redatte nell’ambito della procedura fallimentare, risulta che i subalterni 5 e 6 individuano due unità immobiliari differenti, la prima composta da diciannove vani e la seconda da tre; b) financo il verbale di vendita senza incanto degli immobili di proprietà del Fallimento Rosso Veneziano fa riferimento alle due unità immobiliari site in INDIRIZZO come tra loro distinte (la prima con il civico n. 71 di vani diciannove e la seconda con il civico n. 71 int. 1 di vani tre); c) fu lo stesso COGNOME NOME, tramite il proprio tecnico geom. COGNOME NOME, a richiedere nel 2015 il rilascio per la porzione dell’immobile identificata dal subalterno 6 un nuovo numero civico (71 interno 1), così dimostrando di considerarla come un’unità immobiliare distinta da quella individuata dal subalterno 5 ;
avverso tale sentenza NOME COGNOME propone ricorso per cassazione sulla base di tre motivi, cui resiste la Banca di Credito Cooperativo Pordenonese e RAGIONE_SOCIALE depositando controricorso;
gli altri intimati sono rimasti tali;
la trattazione è stata fissata in adunanza camerale ai sensi
dell’art. 380 -bis.1 cod. proc. civ.;
non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero; la banca controricorrente ha depositato memoria;
ritenuto che:
non v’è prova in atti della notifica del ricorso nei confronti di NOME COGNOME
trattandosi, tuttavia ─ avuto riguardo al fondamento ed all’oggetto della domanda (accertamento della occupazione sine titulo di immobile e condanna al rilascio) ─ di litisconsorte facoltativa ed essendo applicabile, in conseguenza, l’art. 332 cod. proc. civ., non occorre far luogo all’ordine di notificazione dell’impugnazione ai sensi di tale norma, essendo ormai l’impugnazione per essa preclusa;
è nulla la notifica del ricorso nei confronti del Fallimento, rimasto contumace nel giudizio di appello, in quanto effettuata presso il procuratore costituito per esso in primo grado, non risultando che con la procura in allora conferita il difensore fosse stato espressamente indicato quale domiciliatario eletto per tutti i gradi del giudizio (v. Cass. n. 16952 del 25/07/2006, Rv. 594001; Cass. Sez. U. n. 10817 del 29/04/2008, Rv. 603086; Cass. n. 11485 del 11/05/2018, Rv. 648022; v. anche, da ultimo, Cass. n. 16663 del 14/06/2024, in motivazione);
l’esito del giudizio ─ che si va appresso a evidenziare in termini di inammissibilità dei motivi che ne sono posti a fondamento ─ rende tuttavia ultroneo l’altrimenti necessario ordine di rinnovazione della notifica;
il rispetto del diritto fondamentale ad una ragionevole durata del processo impone, infatti, al giudice (ai sensi degli artt. 175 e 127 c.p.c.) di evitare e impedire comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione dello stesso, tra i quali rientrano quelli che si traducono in un inutile dispendio di attività processuali e formalità superflue perché non giustificate dalla struttura dialettica del
processo e, in particolare, dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio, da effettive garanzie di difesa e dal diritto alla partecipazione al processo in condizioni di parità, dei soggetti nella cui sfera giuridica l’atto finale è destinato a produrre i suoi effetti; ne consegue che, in caso di ricorso per cassazione prima facie infondato, appare superfluo, pur potendone sussistere i presupposti, disporre la fissazione di un termine per l’integrazione del contraddittorio ovvero per la rinnovazione di una notifica nulla o inesistente, atteso che la concessione di esso si tradurrebbe, oltre che in un aggravio di spese, in un allungamento dei termini per la definizione del giudizio di cassazione senza comportare alcun beneficio per la garanzia dell’effettività dei diritti processuali delle parti (v. Cass. Sez. U. 22/03/2010, n. 6826; Cass. 21/05/2018, n. 12515; 10/05/2018, n. 11287; 17/06/2013, n. 15106);
il primo motivo ─ rubricato « violazione e falsa applicazione degli artt. 1803 ss. c.c.; art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.; omessa considerazione delle risultanze istruttorie; omessa motivazione » ─ investe la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto « priva di pregio » la tesi dell’odierno ricorrente secondo cui la porzione di villa in questione sarebbe inclusa nell’oggetto del contratto di locazione concluso tra la società in bonis e NOME COGNOME e, dunque, nel comodato da quest’ultimo poi concluso con i genitori ;
deduce il ricorrente che la sentenza:
─ reca al riguardo una motivazione del tutto insufficiente, relegata in poche e scarne righe alla fine della decisione;
─ non prende in considerazione le risultanze istruttorie (in particolare, la perizia del geom. NOME COGNOME e il verbale del sopralluogo effettuato il 4/12/2018 dall’Arch. NOME COGNOME), né la circostanza, non oggetto di contestazione specifica, che, sin dal 2010 (ossia dalla conclusione del contratto di locazione), oltre al subalterno 5 egli aveva sempre utilizzato anche il subalterno 6, anche perché la
struttura non avrebbe consentito di fare altrimenti;
lamenta anche l’immotivata mancata considerazione del la richiesta di consulenza tecnica d’ufficio avanzata al fine di accertare l’inclusione della porzione di villa nei contratti di locazione e comodato;
il motivo è inammissibile sotto diversi profili;
l ‘inammissibilità va predicata, anzitutto e in via assorbente, a causa della prospettazione, con riferimento al medesimo unitario discorso argomentativo (v. Cass. 17/05/2023, n. 13542; 11/04/2018, n. 8915; Sez. U. 10/07/2017, n. 16990; Sez. U, 06/05/2015, n. 9100; Cass. 23/04/2013, n. 9793; 12/09/2012, n. 15242; 23/09/2011, n. 19443), di censure eterogenee e incompatibili: error in iudicando per violazione e falsa applicazione delle norme codicistiche in tema di comodato; error in procedendo per omessa motivazione; mancata considerazione di risultanze istruttorie;
deve comunque rammentarsi, a confutazione delle diverse qualificazioni censorie proposte, che:
─ n on rientra nell’ambito applicativo dell’art. 360, primo comma, n. 3, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa che è, invece, attività diversa ed estranea all’esatta interpretazione della norma, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito ed è perciò sottratta al sindacato di legittimità; nella specie, gli argomenti di critica pretendono di sollecitare una nuova lettura del compendio probatorio esaminato dai giudici di merito, per addivenire ad un diverso apprezzamento della fattispecie concreta e devono pertanto ritenersi fuori del perimetro delimitante il sindacato del giudice di legittimità (v. ex plurimis Cass. 27/03/2024, n. 8272);
─ « la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei
canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione; pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione » (Cass. Sez. U. n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830); nel caso di specie non è ravvisabile alcuna delle dette gravi anomalie argomentative; piuttosto, è la censura a porsi chiaramente al di fuori del paradigma tracciato dalle Sezioni Unite nella misura in cui pretende di ricavare un siffatto radicale vizio della sentenza da elementi estranei alla motivazione stessa (sostanzialmente mirandosi, inammissibilmente, ad una rilettura del materiale istruttorio);
─ l ‘adeguatezza e la sufficienza della adottata motivazione non si misurano sulla presa in esame di tutte le argomentazioni svolte dalle parti, essendo sufficiente che sia consentito di conoscere il procedimento logico che ha indirizzato il giudice, sulla scorta degli elementi acquisiti, nel suo convincimento, dovendosi così intendere implicitamente disattese tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse (Cass. n. 1608 del 2014 e n. 7662 del 2020);
─ l’omessa considerazione di risultanze o di richieste istruttorie (tra le quali anche quella di c.t.u.) non costituisce, di per sé vizio cassatorio: il controllo previsto dal nuovo n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ. concerne, infatti, l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza (rilevanza
del dato testuale) o dagli atti processuali (rilevanza anche del dato extratestuale), che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo (cioè che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia): l’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra l’omesso esame circa un fatto decisivo previsto dalla norma, quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (Cass. Sez. U. n. 8053 del 2014, cit.);
con il secondo motivo il ricorrente denuncia, con riferimento all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, cod. proc. civ., « violazione e falsa applicazione dell’art. 447 -bis c.p.c., in relazione all’art. 702bis c.p.c. », per avere la Corte di merito erroneamente ritenuto corretta l’adozione del rito sommario in primo grado, sostenendo che la controversia, riguardando un contratto di comodato, avrebbe dovuto essere invece trattata secondo il rito speciale del lavoro previsto dall’art. 447 -bis c.p.c.;
il motivo è inammissibile, ex art. 366 n. 4 cod. proc. civ., in quanto non si confronta con la ratio decidendi sul punto addotta in sentenza, rappresentata dal rilievo secondo cui l’azione esercitata dal Fallimento andava qualificata come azione di rivendicazione e non di restituzione, poiché basata sull’affermazione della proprietà del bene dell’attore e della totale mancanza ab origine di ogni titolo giustificativo della detenzione del convenuto, e non invece sull’allegazione del venir meno di un negozio giuridico che aveva giustificato la consegna della cosa e la relazione di fatto sussistente tra questa ed il medesimo convenuto;
la censura, non curandosi in alcun modo di tale chiara e univoca qualificazione della domanda da parte del giudice di merito, muove dall’opposto apodittico asserto secondo cui « oggetto di controversia è il contratto di comodato di data 11/11/2014 »;
è appena il caso di rilevare che la qualificazione della domanda è comunque corretta, dovendosi al riguardo considerare che: a) secondo quanto pacifico in causa la domanda introduttiva era volta all’accertamento della occupazione sine titulo dell’immobile e alla conseguente condanna al rilascio; b) l’esistenza di un titolo di detenzione qualificata era stata opposta dal resistente in via di eccezione quale fatto giuridico idoneo a paralizzare la domanda, non risultando invece proposta anche una domanda riconvenzionale di accertamento al riguardo; c) le difese del convenuto non possono determinare un mutamento nella qualificazione giuridica della domanda, la quale deve aver riguardo alle ragioni in fatto e diritto poste a fondamento della stessa (v., in motivazione, Cass. Sez. U. n. 7305 del 28/03/2014);
con il terzo motivo il ricorrente infine denuncia, anche in tal caso con riferimento all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, cod. proc. civ., « violazione e falsa applicazione dell’art. 81 c.p.c. », in relazione alla ritenuta legittimazione ad agire della curatela del fallimento, sostenendo che l’unico soggetto legittimato era NOME COGNOME titolare del contratto di locazione collegato al contratto di comodato;
anche tale motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 366 n. 4 cod. proc. civ., non confrontandosi con la ratio decidendi posta a fondamento della sentenza o, comunque, facendolo in termini meramente oppositivi;
l’eccezione, correttamente qualificata come di difetto di titolarità della situazione giuridica dedotta a fondamento della domanda, è stata correttamente disattesa dalla Corte territoriale per le considerazioni sopra esposte relative alla qualificazione della domanda, alla introduzione solo in via di eccezione dell’esistenza di rapporto di locazione relativo all’immobile che ne costituiva oggetto, alla infondatezza di tale eccezione;
la censura ─ oltre a riproporre la medesima erronea qualificazione
di tale eccezione in termini di difetto di legittimazione ad agire e a prospettare, quindi, del tutto infondatamente, un error in procedendo per inosservanza dell’art. 81 cod. proc. civ., senza in alcun modo curarsi della correzione concettuale già operata sul punto dai giudici d’appello ─ è argomentata sulla base del medesimo apodittico asserto contrario della riconducibilità dell’immobile occupato al contratto di locazione e, quindi, a quello di comodato, ad esso collegato: asserto inidoneo a rappresentare motivo di critica cassatoria della sentenza per le ragioni già esposte con riferimento al primo motivo;
il ricorso deve essere dunque dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente alla rifusione, in favore della banca controricorrente, delle spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo;
va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente , ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13;
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.500 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1quater del d.P .R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione