Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 251 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 251 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 07/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso 10460/2023 R.G. proposto da:
CONSORZIO COGNOME, in persona del legale rappresentante pro tempore , elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende con l’avvocato NOME COGNOME giusta procura in atti;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del Liquidatore e legale rappresentante pro tempore , elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso studio legale Pavia e RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME e dall’avvocato NOME COGNOME giusta procura in atti;
-controricorrente –
avverso la sentenza n. 1084/2023 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 10/02/2023;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 30/10/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Osserva
A seguito d’istanza del Consorzio RAGIONE_SOCIALE il Tribunale di Roma ingiunse, nel 2015, a RAGIONE_SOCIALE in liquidazione il pagamento della somma di € 948.612,04, oltre accessori, quale corrispettivo per il servizio di pulizia dei treni, che l’intimante gestiva in subappalto.
L’intimata, oppostasi, dedusse di avere risolto il contratto con il Consorzio a cagione delle gravi inadempienze della subappaltatrice, venuta meno agli obblighi retributivi e contributivi in favore dei propri dipendenti, di avere stipulato in data 5/6/2013 transazione, con la quale il Consorzio aveva riconosciuto di non avere null’altro a pretendere; che anche dopo l’accordo transattivo aveva continuato a subire gli effetti pregiudizievoli dipendenti dalla condotta dell’intimante (s’era dovuta sostituire a quest’ultima al fine di corrispondere retribuzioni e versare i relativi contributi, onde evitare di restare esposta nei confronti della committente) e, pertanto, in via riconvenzionale, chiese condannarsi l’opposta al pagamento delle somme che l’esponente era stata costretta a versare per i dipendenti dell’intimante, oltre a quanto trattenuto dai propri corrispettivi da Trenitalia, a seguito d’intervento sostitutivo.
Il Tribunale, accolta l’eccezione d’estinzione del credito azionato in conseguenza della transazione, revocò il decreto e, in parziale accoglimento della domanda riconvenzionale, condannò il Consorzio al pagamento della somma di € 103.639,60.
1.1. La Corte d’appello di Roma, rigettata l’impugnazione principale del Consorzio, in parziale accoglimento di quella incidentale dell’appellata, condannò il Consorzio al pagamento della complessiva somma di € 180.931,44, invece di quella di € 103.639,60
Il Consorzio RAGIONE_SOCIALE propone ricorso sulla base di quattro motivi.
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione resiste con controricorso, in seno al quale chiede condannarsi la ricorrente per responsabilità aggravata, ai sensi dell’art. 96, co. 3, cod. proc. civ.
Sono state depositate memorie illustrative da entrambe le parti.
Con il primo motivo il Consorzio RAGIONE_SOCIALE denuncia violazione degli artt. 1965, 1362, 1363, 1364, 1366, 1369 e 1371, prospettando che la scrittura non costituiva transazione, ma semplice quietanza, avente mero valore di dichiarazione di scienza.
In particolare, si evidenzia che non avendo la controparte rinunciato ad alcunché, non era configurabile transazione.
Indi il motivo, in forma estesa, ripercorre quelli che, secondo l’esponente, sarebbero gli snodi della vicenda aventi in questa sede rilievo, in sintesi:
il credito vantato dalla TSI, per le competenze corrisposte ai dipendenti della esponente, ammontava a poco più di 87.000 euro, a fronte di un credito maturato da quest’ultima di oltre un milione di euro;
-l’accordo costituiva una ‘mera intesa’ o ‘dichiarazione di scienza’ circoscritta al riconoscimento delle anticipazioni effettuate da TSI e la conclusione alla quale era giunta la sentenza impugnata era <>;
-la controparte non aveva contestato le fatture emesse dall’esponente per il complessivo ammontare di € 1.112.930,76;
-nella scrittura del 5/6/2013, che era stata qualificata transattiva, la TSI si era solo limitata a evidenziare che erano emersi <>, da qui era evidente cogliere lo scopo di essa: la subcommittente, che aveva sospeso il pagamento dei corrispettivi nei confronti del Consorzio, avrebbe versato direttamente gli oneri retributivi e
contributivi afferenti ai dipendenti di quest’ultimo e, per l’anzidetto ammontare, in conto di quanto dovuto al Consorzio;
-solo con l’avvento del nuovo liquidatore della TSI era stata <>.
3.1. Il motivo merita rigetto.
In ‘incipit’ non può il Collegio esimersi dall’evidenziare l’inutilmente manifesta eccessiva estensione della narrazione (poco meno di ottanta pagine), infarcita di insondabili apprezzamenti (per evidente aspecificità e palese attingimento al fatto), nonché la insistita reiterazione dei medesimi profili di critica.
La scrittura del 5/6/2013 (riportata in sentenza), dà atto dei <> delle società consorziate, facenti capo alla ricorrente, perciò della conseguente sospensione dei pagamenti alla RAGIONE_SOCIALE da parte di RAGIONE_SOCIALE, salvo il versamento per il periodo febbraio/aprile della complessiva somma di € 371.551,41, al fine di consentire alla RAGIONE_SOCIALE il pagamento delle retribuzioni in favore dei propri dipendenti; che il 21/5/2013 la RAGIONE_SOCIALE aveva richiesto il pagamento delle fatture relative al periodo ottobre/aprile 2013, ammontante a complessive € 449.324,32, onde permetterle di onorare obblighi retributivi, assicurativi e contributivi in favore dei propri dipendenti; che il 31/5/2013 il contratto di subappalto tra la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE aveva cessato i propri effetti; che la committenza principale aveva affidato a terzi il servizio, richiedendo la prosecuzione del rapporto a RAGIONE_SOCIALE solo per il periodo di transizione; che il 5/6/2013 veniva intimato a RAGIONE_SOCIALE, in via diretta e solidale con il Consorzio, il pagamento della retribuzione in favore dei dipendenti di quest’ultima. Indi, enunciato nella scrittura che <>, la RAGIONE_SOCIALE corrispondeva al Consorzio la
somma netta complessiva di € 30.000,00 per il pagamento delle retribuzioni maturate dai dipendenti posti alle dipendenze della consorziata RAGIONE_SOCIALE; nonché l’ulteriore importo di € 57.027,00 per il pagamento delle retribuzioni dei dipendenti della consorziata RAGIONE_SOCIALE, relativamente ai siti di Milano e Roma. Infine, si leggeva nella scrittura: <>.
La premessa, alla quale per espressa e inequivoca volontà delle parti viene attribuito significato essenziale, in uno alla forza totalmente tacitante assegnata al negozio, rende del tutto confacente ai canoni ermeneutici la qualificazione della scrittura quale contratto di transazione.
Né attinge al vero l’asserto del ricorrente secondo il quale non vi sarebbe stata rinuncia alcuna da parte della TSI, così da rendere non riconducibile al negozio transattivo l’accordo, che il Consorzio RAGIONE_SOCIALE vorrebbe doversi restringere a una mera puntuazione su quella trance di salari, oneri contributivi e assicurativi versati dalla TSI al posto delle inadempienti consorziate.
Per contro, la rinuncia di TSI deve rinvenirsi nell’avere essa limitato le sue pretese derivanti dal grave inadempimento della controparte, venuta meno all’obbligo primario di pagare puntualmente retribuzioni e contributi, esponendo la subcommittente, a sua volta, a responsabilità nei confronti della prima committente.
Nessun rilievo, infine, a tutto concedere, assume l’autorizzazione all’emissione delle fatture per i corrispettivi riguardanti servizi prestati, per l’assorbente ragione che la
complessiva vicenda venne successivamente definita per transazione.
Sotto altro profilo, nonostante gli sforzi argomentativi di parte ricorrente, la vicenda resta confinata negli apprezzamenti di merito, non bastando, come più volte chiarito in questa sede, la enunciazione della pretesa violazione di legge in relazione al risultato interpretativo favorevole, disatteso dal giudice del merito, occorrendo individuare, con puntualità, il canone ermeneutico violato correlato al materiale probatorio acquisito; in quanto, <> (Sez. 2, n. 18587, 29/10/2012; si veda anche, per la ricchezza di richiami, Sez. 6-3, n. 2988, 7/2/2013).
Per sottrarsi al sindacato di legittimità, l’interpretazione data dal giudice di merito ad un negozio giuridico non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni; sicché, quando di una clausola negoziale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra (Sez. 3, n. 24539, 20/11/2009, Rv. 610944; conformi: Sez. 1, n. 16254, 25/9/2012, Rv. 623697; Sez. 1, n. 6125, 17/3/2014, Rv. 630519; Sez. 1, n. 27136, 15/11/2017, Rv. 646063).
Nel caso di specie la Corte territoriale, infatti, sulla base delle emergenze di causa, spiega che <>.
Significativamente soggiunge più avanti che <>.
Il ricorrente, come si è visto, lamenta essere stati violati gli artt. 1363 cod. civ. (interpretazione complessiva delle clausole), 1364 cod. civ. (indicazioni esemplificative), 1366 cod. civ. (interpretazione di buona fede), 1369 cod. civ. (espressioni con più sensi) e 1371 (equo contemperamento degli interessi delle parti, quale regola residuale, ove nonostante l’applicazione delle altre regole il contratto resti oscuro).
Tuttavia, invece che puntualmente spiegare dove e come la sentenza impugnata abbia disatteso le regole evocate, insiste per un diverso e più favorevole esito interpretativo, sulla base di un improprio riesame di merito precluso al giudizio di legittimità.
Infine, la denuncia di violazione di legge sostanziale non determina nel giudizio di legittimità lo scrutinio della questione astrattamente evidenziata sul presupposto che l’accertamento fattuale operato dal giudice di merito giustifichi il rivendicato inquadramento normativo, essendo, all’evidenza, occorrente che l’accertamento fattuale, derivante dal vaglio probatorio, sia tale da doversene inferire la sussunzione nel senso auspicato dal ricorrente (ex multis, S.U. n. 25573, 12/11/2020). E ancora, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa;
l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (cfr. Sez. 1, n. 3340, 05/02/2019).
La sentenza della Corte di Roma, come si è detto, all’esito dello scrutinio probatorio, esclude che la scrittura privata di cui si discute costituisca una mera quietanza (si veda in specie pag. 10).
Inoltre, la decisione richiama puntualmente la giurisprudenza di questa Corte, la quale ha chiarito che, in tema di transazione, le reciproche concessioni di cui all’art.1965 cod. civ., che possono avere ad oggetto anche una lite non ancora insorta, debbono riguardare la posizione assunta dalle parti in riferimento a reciproche pretese o contestazioni e non già in relazione ai diritti effettivamente spettanti (Sez. 2, n. 9348, 11/6/2003, Rv. 564133 01).
Di poi, corretto risulta il richiamo alla decisione di questa Corte n. 37548 del 15/5/2003, con la quale si è affermato che i requisiti dell’ “aliquid datum” e dell’ “aliquid retentum” non sono da rapportare agli effettivi diritti delle parti, bensì alle rispettive pretese e contestazioni, e pertanto non è necessaria l’esistenza di un equilibrio economico tra le reciproche concessioni.
Infine, non può che ribadirsi che l’accertamento della natura transattiva o meno di un negozio, rimesso all’apprezzamento di fatto del giudice di merito, è sottratto al sindacato di legittimità, salvo il ricorrere, dopo la novella del 2012 al n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., di motivazione del tutto omessa o avente solo le vestigia di essa (motivazione apparente) e salvo, ovviamente l’erroneo inquadramento giuridico del fatto siccome accertato.
Con il secondo motivo viene denunciata violazione degli artt. 2909 cod. civ., nonché degli artt. 324, 329 e 112 cod. proc. civ., con conseguenze nullità della sentenza.
La ricorrente assume sussistenza di giudicato interno, in quanto il Tribunale aveva disposto il pagamento in favore della controparte della somma di € 81.416,07 a titolo di penale, affermando che la debenza non era stata contesta.
La Corte d’appello, viene dedotto, aveva rigettato il secondo motivo, con il quale il Consorzio aveva impugnato il punto. Tuttavia, negato che vi fosse stato riconoscimento del debito, aveva disatteso il pertinente motivo giudicando generica la contestazione dell’odierna ricorrente. Da ciò ne era derivato, secondo la prospettazione impugnatoria, che la Corte di merito, in assenza d’appello incidentale, aveva erroneamente statuito, nonostante si fosse formato sul punto il giudicato.
4.1. Il motivo è infondato.
TSI era vittoriosa e, quindi, al contrario di quel che afferma la ricorrente, non aveva interesse a proporre appello incidentale, non essendo configurabile giudicato, la cui formazione avrebbe avuto l’onere d’impedire.
Peraltro, la sentenza d’appello ha rigettato il motivo proposto dal Consorzio rimanendo sul medesimo solco della ratio adottata dal primo Giudice: sempre restando in tema di onere della prova, ha reputato che la debenza fosse risultata provata per inadeguata contestazione da parte dell’appellante, piuttosto che per implicito riconoscimento.
Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione degli artt. 1965, 1362, 1363, 1364, 1366, 1369 e 1371 cod. civ.
In sintesi, si sostiene che la somma di € 77.291,81 era stata ingiustamente imputata al maggior credito della controparte – della quale, quindi era stato accolto il precipuo motivo incidentale –
sull’erroneo presupposto che il Consorzio, dopo la stipulazione dell’accordo di cui qui si discute, non potesse vantare più credito alcuno.
Ingiustizia, conclude la ricorrente, derivante dal fatto che l’importo in parola era stato imputato a parziale pagamento della fattura n. 332 del 31/12/2012, tanto che era stato detratto dalla somma totale di cui era stata chiesta l’ingiunzione.
5.1. Il motivo è manifestamente destituito di giuridico fondamento.
All’evidenza, il richiamo alle norme asseritamente violate costituisce ben palese escamotage per invocare un improprio nuovo esame di merito sulla portata della scrittura, senza, in alcun modo spiegare dove e come le norme sull’ermeneutica siano state violate. Richiamando quanto esposto in relazione al primo motivo, qui, se possibile, il motivo risulta ancor più inconcludente.
Il quarto motivo, con il quale si denuncia violazione dell’art. 782 cod. civ., assumendosi che la rinuncia al proprio credito, <>, avrebbe costituito donazione nulla per difetto di forma, è assorbito in senso improprio dal rigetto degli altri motivi.
La controricorrente ha chiesto condannarsi il ricorrente per responsabilità aggravata, ai sensi dell’art. 96, co. 1, cod. proc. civ.
La pretesa è infondata. Senza che occorra indugiare in altre valutazioni, basti evidenziare che l’istante non ha neppure allegato in che sia consistito il danno patito, a differenza della previsione di cui al comma terzo dell’articolo in discorso la fattispecie evocata impone che la parte richiedente alleghi il danno, cioè lo specifichi, individuando in cosa sia consistito il pregiudizio causato dall’azione improvvida della controparte (si veda, in senso conforme, ex multis, Sez. 3, n. 21798, 27/10/2015; ma già S.U. n. 7583/2004). L’onere di una tale allegazione, peraltro, non si pone in contrasto
con la eventuale necessità di una stima equitativa di esso danno (cfr., da ultimo, sulla valutazione equitativa, Sez. 2, n. 22588/2020).
Il regolamento delle spese segue la soccombenza e le stesse vanno liquidate, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonché delle svolte attività, siccome in dispositivo, in favore della controricorrente.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 12.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio di giorno 30