Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 25092 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 25092 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8015/2024 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE -ricorrente- contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in MILANO INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO MILANO n. 68/2024 depositata il 26/01/2024.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 11/06/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Svolgimento del processo
Con ricorso notificato alla Società RAGIONE_SOCIALE in data 4 novembre 2021, la società RAGIONE_SOCIALE adiva il Tribunale di Milano per sentire dichiarare che il contratto MI 27/2016 sottoscritto in data 09.06.2016 è un contratto di locazione, e per l’ef fetto, dichiarare l’applicabilità di tutte le norme inderogabili previste dalla legge in tema di contratto di locazione di immobile commerciale ed in particolare, emendare l’art. 4, comma secondo del Contratto, dichiarando che lo stesso si rinnova automaticamente alla scadenza del 07.07.2023 per ulteriori 6 anni e cioè fino al 07.07.2029.
La vicenda processuale riguarda la qualificazione giuridica del contratto ‘MI 27/2016’ sottoscritto tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALEallora, RAGIONE_SOCIALE) in data 9 giugno 2016, denominato ‘Contratto di prestazione di servizi integrati relativo all’imm obile sito nella Stazione di Milano Centrale da adibire all’attività di bar, caffetteria, pasticceria e somministrazione e vendita di alimenti e bevande ad insegna ‘RAGIONE_SOCIALE‘.
Ai sensi dell’art. 2 del contratto, RAGIONE_SOCIALE era tenuta a prestare determinati servizi in favore di RAGIONE_SOCIALE e segnatamente: l’utilizzo e il godimento di uno spazio all’interno del complesso immobiliare della stazione di Milano Centrale, di cui Grandi Stazioni ha la disponibilità in esclusiva in virtù di un contratto con Ferrovie dello Stato Italiane S.p.A., la fornitura di servizi quali pulizia, smaltimento rifiuti, sorveglianza, etc. sia delle parti comuni, e sia del complesso commerciale della RAGIONE_SOCIALE, nonché allo svolgimento di attività promozionali e alla fornitura di eventuali, ulteriori servizi aggiuntivi, su richiesta di RAGIONE_SOCIALE
La Società si costituiva in giudizio contestando quanto dedotto dalla ricorrente, concludendo per il rigetto delle domande formulate da RAGIONE_SOCIALE e il riconoscimento della natura di contratto atipico, con disapplicazione della normativa in materia di locazioni commerciali. Con sentenza del 21 aprile 2023, il Tribunale di Milano, rigettava la domanda di riqualificazione del contratto proposta da RAGIONE_SOCIALE e confermava la natura atipica del contratto.
Il Tribunale di Milano, in particolare, rilevava la presenza di una serie di prestazioni, all’interno del regolamento contrattuale, incompatibili con la locazione commerciale. Sulla base della ‘teoria dell’assorbimento o della prevalenza’ riteneva priorita rio il profilo del c.d. appalto di servizi, con applicazione delle relative norme.
La RAGIONE_SOCIALE impugnava la sentenza del Tribunale di Milano, che aveva respinto le domande dalla stessa proposte nei confronti della RAGIONE_SOCIALE aventi ad oggetto l’accertamento della natura locatizia del contratto concluso dalle parti in data 9.6.16 relativamente all’immobile da destinarsi ad attività di bar/ristorazione sito all’interno della Stazione Centrale di Milano, con conseguente applicazione delle norme inderogabili di cui alla legge n.392/78.
Censurava l’impugnata sentenza per aver erroneamente ritenuto che si trattasse di un contratto misto, con prevalenza delle clausole tipiche dell’appalto di servizi, valorizzando in tal senso pattuizioni che al contrario sarebbero state compatibili con la locazione e comunque avrebbero dovuto far concludere per la prevalenza del carattere locatizio del contratto.
RAGIONE_SOCIALE chiedeva il rigetto dell’appello, rilevando -oltre a quanto osservato dal Tribunale -che l’art.12 del Regolamento allegato al contratto inter partes prevedeva l’obbligo di RAGIONE_SOCIALE di attivare l’esercizio commerciale cui era destinato l’immobile entro una certa data, e che ciò sarebbe stato ulteriore indice dell’interesse perseguito da RAGIONE_SOCIALE di
valorizzare la struttura della Stazione Centrale garantendo un servizio agli utenti (e non già di ottenere un corrispettivo per il godimento dell’immobile).
La Corte d’appello di Milano, con sentenza del 26 gennaio 2024, accoglieva l’appello, ritenendo applicabile la disciplina delle locazioni ad uso commerciale, ed in particolare degli artt. 27 e 28 l.392/78. Conseguentemente dichiarava che il contratto stipulato in data 9.6.2016 aveva una durata di anni 6 con rinnovo automatico alla scadenza, in difetto di disdetta, condannando RAGIONE_SOCIALE al pagamento delle spese di lite.
Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione RAGIONE_SOCIALE affidandosi a tre motivi. Resiste con controricorso RAGIONE_SOCIALE
Entrambe le parti depositano memorie ex art. 380-bis-1 c.p.c.
Motivi della decisione
Con il primo motivo si deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 9, legge 392/78 in relazione all’art. 360, co 1, n. 3 c.p.c.
In particolare, si censura la sentenza impugnata là dove, al fine di qualificare il ‘contratto di prestazione di servizi integrati MI 27/2016’, sottoscritto tra le parti, come contratto di locazione, ha assimilato i servizi oggetto del predetto contratto agli oneri accessori di cui all’art. 9, comma 1, legge 392/78 (relativamente alla disciplina delle locazioni di immobili ad uso commerciale), escludendo la previsione di cui all’art. 9, ult. co, legge 392/78.
La Corte territoriale avrebbe errato nell’escludere l’applicabilità della disciplina di cui all’art. 9, ult.co, della Legge sulle locazioni, ‘che disapplica la disciplina in materia di locazione al contratto autonomo di servizi riferibile all’attività imprenditoriale del locatore’.
Il motivo è infondato.
La censura riguarda in buona sostanza la mancata applicazione della disciplina emergente dal quarto e del quinto comma dell’art. 9 della l. n. 392 del 1978, cui si vorrebbe attribuire incidenza e rilevanza ai
fini della qualificazione del rapporto contrattuale. Si tratta di una prospettazione manifestamente erronea, giacché la disposizione del quarto comma ha natura solo fiscale, come si evince dal suo chiaro disposto letterale, e così, di riflesso, quella del quinto ed ultimo comma, che rispetto ad essa indica un’eccezione. Sicché le due disposizioni sono inidonee, nel loro combinato disposto, ad assumere la valenza di sottrazione del rapporto alla tipologia locativa che parte ricorrente vorrebbe loro attribuire, con conseguente manifesta infondatezza del motivo.
Con il secondo motivo si lamenta l’omesso esame circa fatti decisivi per la controversia, in relazione all’art. 360, co 1, n. 5 c.p.c. Violazione e/o falsa applicazione degli articoli 1362 e 1363 c.c. che regolano l’interpretazione dei contratti, nonché dell’art. 1322 c.c. sull’autonomia contrattuale, in relazione all’art. 360, co 1, n. 3 c.p.c. In particolare, si deduce la violazione e/o falsa applicazione degli articoli 1362 e 1363 c.c. e, in generale, dei principi che regolano l’interpretazione dei contratti per avere la Corte territoriale omesso di valutare, ai fini della qualificazione giurid ica del ‘contratto di prestazione di servizi integrati MI 27/2016’ come contratto di locazione, una serie di clausole da cui emergerebbe in maniera chiara la diversa finalità perseguita dalle parti, nonché per avere omesso di interpretare l’articolato cont rattuale in maniera sistematica e coerente.
Si contesta, inoltre, il mancato esame di una serie di previsioni, rilevanti ai fini della decisione, di cui la sentenza impugnata non ha tenuto conto e che avrebbero portato alla corretta qualifica del regolamento contrattuale come contratto atipico di concessione di beni e di servizi.
Il motivo è destituito di fondamento.
In particolare, con riferimento alla censura di all’omesso esame ex art. 360 n. 5 c.p.c. la censura omette del tutto di specificare dove e come erano state dedotte nel giudizio di merito e segnatamente in
quello di appello allegate le deduzioni fattuali relative alle previsioni contrattuali, delle quali si assume l’omesso esame.
Quanto alla seconda parte del motivo, inerente la violazione dei criteri ermeneutici, va ricordato che, al fine di far valere una violazione ermeneutica il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione (artt. 1362 e segg. c.c.) mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed evocazione dei principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti, non essendo consentito il riesame del merito in sede di legittimità (Cass. 09/10/2012, n. 17168; Cass. 11/03/2014, n. 5595; Cass. 27/02/2015, n. 3980; Cass. 19/07/2016, n. 14715).
Di conseguenza, per sottrarre la decisione del giudice di merito al sindacato di legittimità di questa Corte, non è necessario che quella data dal giudice sia l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, sicché, quando di una clausola siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito alla parte, che aveva proposto l’interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che ne sia stata privilegiata un’altra (Cass. 22/02/2007, n. 4178; Cass. 03/09/2010, n. 19044), se non precisando in modo specifico non solo come e perché il criterio ermeneutico sia stato violato, ma anche svolgendo attività argomentativa in iure evidenziante che quel criterio avrebbe dovuto portare necessariamente ad una diversa soluzione esegetica rispetto a quella prospettata dal giudice di merito.
Nel caso di specie si prospetta una interpretazione del contratto differente e più favorevole alla posizione della ricorrente non solo senza alcun riferimento ai citati criteri ermeneutici, con conseguente -come s’è detto – preliminare inammissibilità della censura, ma,
gradatamene, ci si astiene anche dal dimostrare che l’interpretazione prospettata -in base alle norme esegetiche evocate -sia l’unica possibile.
Nell’illustrazione del motivo, la ricorrente ha prospettato che, in considerazione della pluralità di prestazioni oggetto del contratto, ‘non può invece ritenersi applicabile il tipo contrattuale della locazione commerciale, con applicazione della relativa disciplina, trattandosi piuttosto di un contratto atipico di natura mista’.
Ha, poi, aggiunto che tale criterio opererebbe anche nell’ipotesi, ricorrente nel caso di specie, di contratto che presenti elementi prevalenti di un negozio giuridico contratto (cosiddetta teoria dell’assorbimento o della prevalenza), rispetto ad altri el ementi, pur voluti dalle parti e che concorrono a meglio delineare il contenuto e l’ampiezza del vincolo contrattuale.
Orbene, tali censure, formulate nei termini sopra descritti, sono inammissibili, dovendosi ricordare che l’interpretazione di un atto negoziale è tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, se non -co me s’è detto -nell’ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, di cui agli artt. 1362 e ss. cod. civ., o di motivazione inadeguata, ovverosia non idonea a consentire la ricostruzione dell'”iter” logico seguito per giungere alla decisione.
Pertanto, onde far valere una siffatta violazione occorre -lo si ripete -non solo fare puntuale riferimento alle regole legali d’interpretazione, mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati ed ai principi in esse contenuti, ma occorre, altresì, precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato, con l’ulteriore conseguenza dell’ inammissibilità del motivo di ricorso che si fondi sull’asserita violazione delle norme ermeneutiche o del vizio di motivazione e si risolva, in realtà, nella proposta di una interpretazione diversa.
In particolare, la ricorrente si è limitata ad indicare nella rubrica del motivo il riferimento formale a due diposizioni in tema di interpretazione negoziale, senza però indicare i canoni esegetici da esse contemplati che sarebbero stati violati (ad eccezione del criterio letterale, comunque solo astrattamente richiamato) e soprattutto in qual modo e con quali considerazioni la Corte territoriale se ne sarebbe discostato. Da ciò discende l’inammissibilità del secondo motivo in quanto l’asserita violazione delle norme ermeneutiche o del vizio di motivazione si risolve, in realtà, nella prospettazione di una interpretazione diversa e più favorevole.
In sostanza, non si deduce la violazione di legge nei termini di cui alla consolidata giurisprudenza di legittimità, ma si sollecita solo una rivalutazione del contenuto contrattuale come ‘fatto’ senza il corredo dell’argomentazione dimostrativa della dett a violazione.
Con il terzo motivo si lamenta l’omesso esame circa un fatto decisivo per la controversia, in relazione all’art. 360, co 1, n. 5 c.p.c.
In particolare, si censura la sentenza impugnata per avere la Corte di Appello ritenuto un precedente contratto di locazione sottoscritto tra le parti ‘esattamente sovrapponibile’ con il ‘contratto di prestazione di oggetto di analisi, omettendo di considerare una serie di pattuizioni che differiscono tra i due contratti’.
Si assume che l’esistenza di un precedente contratto di locazione, dal contenuto parzialmente sovrapponibile rispetto al Contratto per cui è causa, non può rappresentare un argomento utile ai fini della corretta qualificazione della natura del Contratto.
Infine, il precedente contratto di locazione a cui si fa riferimento, non avrebbe avuto ad oggetto il medesimo immobile del Contratto per cui è causa, diversamente da quanto erroneamente affermato dalla Corte d’Appello.
Il motivo è inammissibile.
Non ricorre l’ipotesi di omesso esame di un fatto storico (contenuto del contratto precedentemente sottoscritto tra le parti): la stessa
prospettazione del motivo, evidenziando che la corte territoriale avrebbe mal valutato le emergenze fattuali del contenuto dei due contratti, si risolve in una sollecitazione di dissenso da essa e, dunque, non lamenta un loro omesso esame ai sensi dell’art . 360, primo comma, n. 5 c.p.c.
In secondo luogo, si deve rilevare -aggiuntivamente, cioè se pure si volesse, per absurdum , considerare dedotto l’omesso esame che il fatto oggetto del vizio ai sensi del citato n. 5 deve avere carattere decisivo e che ‘la correzione del vizio deve condurre ad una decisione diversa, rispetto a quella emanata in presenza del vizio’, mentre nel caso di specie l’argomentazione della Corte territoriale relativa al precedente contratto è inserita dopo che essa ha esaminato gli elementi ritenuti decisivi e rig uardanti l’interpretazione del contenuto del successivo contratto, rispetto al quale l’affermazione della Corte costituisce solo un ulteriore elemento di conforto.
Si rileva, poi che la Corte territoriale ha argomentato in questi termini: ‘non può non rilevarsi, d’altronde, come fino alla stipulazione del contratto di cui si discute i rapporti tra le parti fossero regolati, con riferimento al medesimo immobile, da un contratto definito di locazione, avente un contenuto esattamente sovrapponibile a quello odierno (doc.5 appellante): circostanza che induce a ritenere che l’attribuzione di un nuovo nomen iuris al contratto sia stata determinata esclusivamente dall’intent o di sottrarre il rapporto alla legislazione vincolistica’.
Pertanto, oltre al fatto che la motivazione della Corte si fonda sull’interpretazione del contratto del 2016 e che tale ultima considerazione ha solo una funzione non decisiva ma ad adiuvandum , l’elemento considerato dalla Corte d’Appello come rilevante (nell’ambito di una argomentazione ‘di contorno’) non risiede della identità o meno dell’immobile oggetto di locazione, quanto nel fatto che i contratti fossero stati sottoscritti dalle stesse parti per regolare rapporti analoghi con nomen juris diverso.
Il ricorso deve essere, conclusivamente, rigettato.
Le spese di lite, stante la obiettiva peculiarità della vicenda e la novità di alcune questioni, non esaminate in questa sede di legittimità nei termini che precedono, possono interamente compensarsi tra le parti.
Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater, d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto (Cass., sez. un., 20/02/2020, n. 4315).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Compensa interamente tra le parti le spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.p.r. 115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso principale, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso nella camera di Consiglio della Terza Sezione della Corte