Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 18593 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 18593 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 08/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 7096-2023 r.g. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE con sede legale in Milano, INDIRIZZO, C.F.: P_IVA, in persona del legale rappresentante NOME COGNOME rappresentata e difesa, in virtù di procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avv. NOME COGNOME del Foro di Rimini.
–
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE (C.F. P_IVA, con sede legale in Rimini, INDIRIZZO in persona del curatore fallimentare dott. NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME per procura speciale in atti.
-controricorrente – avverso il decreto emesso dal Tribunale di Rimini, depositato in data 10.2.2023;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/5/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.Con il decreto impugnato il Tribunale di Rimini ha rigettato l’opposizione allo stato passivo presentata da RAGIONE_SOCIALE nei confronti del RAGIONE_SOCIALE
Con ricorso depositato il 16.6.2022 RAGIONE_SOCIALE aveva adito il Tribunale di Rimini in opposizione al decreto di esecutività dello stato passivo, con il quale il credito vantato dall ‘ odierna ricorrente, per euro 100.000,00 in prededuzione, era stato invece ammesso per il medesimo importo in via chirografaria, ‘attesa la revoca dell’ammissione al concordato e le ragioni su cui si è fondato tale provvedimento’.
Il Tribunale ha dunque rilevato ed osservato, per quanto qui ancora di interesse, che: (i) risultava assorbente, in tal senso, la considerazione per cui l’erogazione della somma di euro 100.000,00 – della quale la opponente domandava l’ammissione al passivo in prededuzione – non poteva dirsi essere avvenuta ‘in occasione o in funzione’ di una procedura concorsuale , a norma dell’art. 111 l. fall., con la conseguenza che non spiegava rilevanza dirimente, ai fini della decisione, l’operatività o meno, nel c aso di specie, del principio di consecuzione tra le procedure concorsuali, in quanto il rigetto si sarebbe imposto pur muovendo dalla stessa prospettazione delineata dalla opponente; (ii) occorreva infatti ribadire la qualificazione del contratto del 24.2.2021, da cui scaturiva il credito insinuato, come ‘affitto di azienda’, con la conseguente sua sottoposizione alla disciplina delineata dall’art. 163 -bis l. fall., dovendosi così condividere le argomentazioni già espresse dal Tribunale nel decreto di revoca ex art. 173 l. fall. del concordato datato 3.12.2021; (iv) lo schema sinallagmatico delineato dalle parti si allontanava invero da quello tipico del mandato (che costituisce la ‘base’ del contratto atipico di ‘management alberghiero’), per approdare ad un assetto analogo allo schema causale sotteso proprio al contratto di affitto di azienda; (iv) più nello specifico, nel rapporto di management alberghiero l’owner -committente rimane formalmente e sostanzialmente titolare delle prerogative
imprenditoriali, avvalendosi soltanto del manager come ‘professionista’ esperto nell’operare all’interno di un determinato settore di mercato , con la conseguenza che, in questa prospettiva, l’owner è tenuto a corrispondere un compenso per l’opera prestata dal manager, ciò che si spiega con la circostanza per cui i risultati (eventualmente) positivi della gestione rimangono a vantaggio dell’owner ; (v) nel diverso schema causale – che connota il contratto di affitto di azienda l’affittuario assume la gestio ne diretta dell’impresa a cui è funzionale l’azienda (acquisendo il diritto di trattenere gli utili prodotti) ‘contro’ il pagamento di un importo periodico a titolo di canone in favore del proprietario dell’azienda ; (vi) nel caso di specie le parti, pur prevedendo formalmente che gli utili sarebbero spettati al committente, avevano configurato nondimeno un obbligo in capo al manager di corrispondere all’owner un importo minimo ‘fisso’ di euro 140.000,00 , anche nel caso in cui gli utili derivanti dalla gestione fossero stati inferiori, così giungendo a delineare un vero e proprio ‘canone’ di affitto dell’azienda ; (v ) la previsione nell’art. 163 -bis, u.c., l. fall., di procedure competitive per l’affi tt o d’azienda (e dunque anche per il contratto in esame), giustificava pertanto la disposta revoca del concordato preventivo, con la conseguenza che il contratto sul quale parte opponente aveva fondato la propria pretesa non poteva dirsi ‘funzionale’ -secondo i principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità – alla procedura concordataria in quanto, al contrario, proprio sulla base dell ‘ astratta conformazione del negozio (e dunque in una prospettiva ex ante ) lo stesso aveva costituito causa della dichiarazione di revoca dell’ammissione al concordato e , pertanto, doveva essere ritenuto inidoneo a realizzare le finalità a cui si ispirava la procedura concordataria.
Il decreto, pubblicato il 10.2.2023, è stato impugnato da RAGIONE_SOCIALE.aRAGIONE_SOCIALE con ricorso per cassazione, affidato a due motivi, cui il FALLIMENTO RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
La società ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo la società ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione de ll’art. 111 l. fall.
1.1 Si evidenzia da parte della ricorrente che il contratto di management sottoscritto da RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE era sospensivamente condizionato all’ammissione di tale ultima compagine sociale alla procedura di concordato preventivo, come espressamente indicato al punto 2.1 dell’addendum al contratto medesimo. Solo a seguito dell’avveramento della condizione sospensiva prevista, ovvero dell’ammissione della società RAGIONE_SOCIALE alla procedura di concordato preventivo, le somme depositate in un contratto di ‘ Escrow ‘ presso il Notaio, a garanzia dei risultati del concordato (nel periodo compreso dall’ammissione al decreto di omologazione), erano state svincolate, entrando in tal modo nella disponibilità della procedura concordataria. Risulterebbe dunque palese che la somma di € 100.000 era stata corrisposta non solo in occasione, ma altresì in funzione della procedura concordataria, dovendosi operare una valutazione ex ante dell’obbligazione assunta dal terzo RAGIONE_SOCIALE s.p.a.
Con il secondo mezzo si deduce violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., degli artt. 163 bis l. fall. e 2562 c.c., anche in relazione agli artt. 2555 e ss. c.c., sul rilievo che il Tribunale avrebbe errato nel ritenere il contratto stipulato tra le parti come riconducibile al paradigma del contratto di affitto d’azienda perché lo stesso doveva essere inquadrato come di management, e dunque riconducibile al mandato.
2.1 I due motivi così proposti possono essere trattati congiuntamente e devono essere dichiarati inammissibili.
2.2 Partendo dalle doglianze articolate nel secondo motivo, risulta subito evidente che la società ricorrente pretende ora, innanzi a questa Corte, un nuovo scrutinio del contenuto del predetto contratto, per addivenire ad una qualificazione di quest’ultimo più aderente alla sua prospettazione difensiva, scrutinio che tuttavia integra un giudizio di fatto che è sottratto, come è noto,
al sindacato di legittimità. E ciò senza che la ricorrente abbia neanche indicato quali siano stati i canoni ermeneutici eventualmente violati dai giudici del merito nell’apprezzamento del contenuto negoziale dell’accordo intervenuto tra le pari, così rendendo viepiù inammissibile la doglianza veicolata nel motivo di ricorso qui in esame.
Non può essere infatti dimenticato che, secondo la giurisprudenza espressa da questa Corte, in tema di interpretazione del contratto, il sindacato di legittimità non può investire il risultato interpretativo in sé, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito, ma afferisce solo alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica e della coerenza e logicità della motivazione addotta, con conseguente inammissibilità di ogni critica alla ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca in una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da questi esaminati (sez. 3, sentenza n. 2465 del 10/02/2015; n. 2074 del 2002; vedi: n. 4178 del 2007, n. 22801 del 2009, n. 25866 del 2010). A ciò va aggiunto che – ai fini della censura di violazione dei predetti canoni ermeneutici – non è peraltro sufficiente l’astratto riferimento alle regole legali di interpretazione, ma è necessaria la specificazione dei canoni in concreto violati, con la precisazione del modo e delle considerazioni attraverso i quali il giudice se ne è discostato, nonché, in ossequio al principio di specificità ed autosufficienza del ricorso, con la trascrizione del testo integrale della regolamentazione pattizia del rapporto o della parte in contestazione, ancorché la sentenza abbia fatto ad essa riferimento, riproducendone solo in parte il contenuto, qualora ciò non consenta una sicura ricostruzione del diverso significato che ad essa il ricorrente pretenda di attribuire (cfr. anche Sez. 3, Sentenza n. 10891 del 26/05/2016). In ogni caso, quando di una clausola siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito alla parte, che aveva proposto l’interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che ne sia stata privilegiata un’altra (cfr. anche Sez. 1, Sentenza n. 4178 del 2007).
Ne consegue la radicale inammissibilità delle censure contenute nel secondo motivo sopra ricordato.
2.3 La declaratoria di inammissibilità del motivo da ultimo ricordato toglie respiro anche alle censure dedotte nel primo motivo di ricorso, posto che il consolidamento della ratio decidendi relativa alla qualificazione del contratto inter partes nei termini del contratto di affitto d’azienda, con la conseguenziale applicabilità delle ‘garanzie competitive’ previste dall’art. 163bis l. fall., comporta anche la conferma della legittimità del provvedimento di revoca del concordato, disposto, ai sens i dell’art . 173 l. fall., proprio in ragione della predetta qualificazione giuridica del contratto, che rappresenta la fonte negoziale del credito insinuato. Ne consegue ancora che risulta del tutto irrilevante la disquisizione, contenuta nel primo motivo di ricorso, in ordine alla ‘funzionalizzazione’ della somma depositata nel contratto di ‘Escrow’ (contratto di deposito di garanzia ), rispetto alla realizzazione del programma concordatario.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13 (Cass. Sez. Un. 23535 del 2019).
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 7.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 13.5.2025