Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 16069 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 16069 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 10/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso 16175-2023 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME, ERNESTO NOME COGNOME;
-controricorrente –
avverso la sentenza n. 4813/2022 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 20/01/2023 R.G.N. 1605/2022;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 08/05/2024 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 08/05/2024
CC
RILEVATO CHE
Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Napoli, in parziale riforma della sentenza del Tribunale della stessa sede, ha accolto la domanda, proposta da NOME COGNOME nei confronti di RAGIONE_SOCIALE, di riconoscimento della superiore qualifica di cui al V livello (Specialista di attività tecniche integrate) CCNL di settore per svolgimento (sin dal maggio 2009) di mansioni superiori, con conseguente condanna al pagamento di differenze retributive.
La società ha proposto, avverso tale sentenza, ricorso per cassazione affidato a due motivi. Il lavoratore ha resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei successivi sessanta giorni.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo si denunzia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 23 del CCNL RAGIONE_SOCIALEunicazioni nonché degli artt. 1362, 1363, 2103 cod.civ. avendo, la Corte territoriale, offerto una lettura solo parziale delle declaratorie del contratto collettivo (con specifico riferimento ai livelli IV e V): invero, il tecnico di IV livello deve possedere ‘qualificate conoscenze di tipo specialistico’ ed esplica ‘attività tecnico -operative di adeguata complessità….Tali attività richiedono capacità di valuta zione ed elaborazione, nell’ambito di metodologie consolidate, di più elementi dell’attività di competenza e sono svolte con autonomia e responsabilità adeguate al risultato operativo atteso e conseguite anche attraverso idonei percorsi formativi’; il tecn ico di V livello deve possedere ‘elevate conoscenze specialistiche, svolgono funzioni per l’espletamento delle quali è richiesta adeguata autonomia e decisionalità nei limiti dei principi, norme e procedure valevoli
nel campo di attività in cui operano. Tali funzioni sono esercitate attraverso il coordinamento e il controllo delle diverse risorse assegnate, ovvero mediante lo svolgimento di compiti specialistici ad elevata tecnicalità’. La Corte territoriale, troppo superficialmente, ha ritenuto che la società non avesse contestato il livello di autonomia delle mansioni svolte dal lavoratore e che lo svolgimento presso il domicilio del cliente di attività tecnica afferente la linea data (come la semplice installazione di modem e router) integrasse la declaratoria del V livello: la sentenza impugnata ha trascurato gli elementi imprescindibili e necessari della declaratoria superiore che richiede l’espletamento di compiti ‘ad elevata tecnicalità’ e con ‘decisionalità’, m ediante attività di configurazione e riconfigurazione di software e possesso di elevate conoscenze specialistiche.
Con il secondo motivo si denunzia violazione degli artt. 2935 e 2948 cod.civ. avendo, la Corte territoriale, erroneamente ritenuto che la novella operata dalla legge n. 92 del 2012 all’art. 18 della legge n. 300 del 1970 rende non determinabile ex ante il regime di tutela applicabile in azienda e, dunque, non ‘stabile’ il rapporto di lavoro, con conseguente decorrenza della prescrizione dei crediti solamente al momento della cessazione del rapporto (e non in costanza di rapporto).
Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
Deve rimarcarsi che in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge (o, come nel caso di specie, di clausola di contratto collettivo nazionale di lavoro) consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge (o clausola contrattuale) e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione
di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione: il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa o negoziale, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (ex aliis: Cass. 16 luglio 2010 n. 16698; Cass. 26 marzo 2010 n. 7394).
Nella specie è evidente che il ricorrente lamenta la erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta, e dunque, in realtà, non denuncia un’erronea ricognizione della fattispecie astratta recata dalla norma di legge (ossia un problema interpretativo, vizio riconducibile all’art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ.) bensì un vizio-motivo, da valutare alla stregua del novellato art. 360, primo comma n. 5 cod.proc.civ., che – nella versione ratione temporis applicabile lo circoscrive all’omesso esame di un fatto storico decisivo (cfr. sul punto Cass. Sez. U. n. 19881 del 2014), riducendo al ” minimo costituzionale ” il sindacato di legittimità sulla motivazione (Cass. Sez. U. n. 8053 del 2014).
Nessuno di tali vizi ricorre nel caso in esame e la motivazione non è assente o meramente apparente, né gli argomenti addotti a giustificazione dell’apprezzamento fattuale risultano manifestamente illogici o contraddittori. La sentenza impugnata ha ampiamente esaminato i fatti controversi ed accertato -alla
luce delle declaratorie del CCNL applicato in azienda e all’esito della valutazione di tutto il quadro probatorio -la riconducibilità delle mansioni svolte in concreto dal lavoratore al superiore V livello.
Il secondo motivo di ricorso non merita accoglimento.
Questa Corte ha già scrutinato la questione oggetto del presente ricorso (Cass. n. 26246 del 2022 e Cass. n. 29981 del 2022) e, a seguito di approfondite valutazione del novellato quadro normativo, è pervenuta a statuire che il rapporto di lavoro a tempo indeterminato, come modulato per effetto della legge n. 92 del 2012 e del d.lgs n. 23 del 2015, mancando dei presupposti di predeterminazione certa delle fattispecie di risoluzione e di una loro tutela adeguata, non è assistito da un regime di stabilità, sicché, per tutti quei diritti che non siano prescritti al momento di entrata in vigore della l. n. 92 del 2012, il termine di prescrizione decorre, a norma del combinato disposto degli artt. 2948, n. 4, e 2935 cod.civ., dalla cessazione del rapporto di lavoro.
Non si ravvisano ragioni per discostarsi da tali precedenti, atteso che, una volta che l’interpretazione della regula iuris è stata enunciata con l’intervento nomofilattico della Corte regolatrice, essa ‘ha anche vocazione di stabilità, innegabilmente accentuata (in una corretta prospettiva di supporto al valore delle certezze del diritto) dalle novelle del 2006 (art. 374 cod.proc.civ.) e 2009 (art. 360 bis cod.proc.civ., n. 1)’ (Cass. SS.UU. n. 15144 del 2011); invero, la ricorrente affermazione nel senso della non vincolatività del precedente deve essere armonizzata con l’esigenza di garantire l’uniformità dell’interpretazione giurisprudenziale attraverso il ruolo svolto dalla Corte di Cassazione (Cass. SS.UU. n. 23675 del 2014), atteso che, in un siste ma che valorizza l’affidabilità e la
prevedibilità delle decisioni, il quale influisce positivamente anche sulla riduzione del contenzioso, vi è l’esigenza, avvertita anche dalla dottrina, ‘dell’osservanza dei precedenti e nell’ammettere mutamenti giurisprudenziali di orientamenti consolidati solo se giustificati da gravi ragioni’ (in termini: Cass. SS.UU. n. 11747 del 2019).
In conclusione, il ricorso va rigettato e le spese di lite seguono il criterio della soccombenza, da distrarsi.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato -se dovuto – previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 4.000,00 per compensi professionali ed euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge, da distrarsi.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio dell’8 maggio