Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 21645 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 21645 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 01/08/2024
ORDINANZA
sul ricorso 1497-2019 proposto da:
NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE;
– intimata – avverso la sentenza n. 335/2018 RAGIONE_SOCIALE CORTE D’APPELLO di CALTANISSETTA, depositata il 09/11/2018 R.G.N. 412/2014; udita la relazione RAGIONE_SOCIALE causa svolta nella camera di consiglio del 19/06/2024 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
Oggetto
QUALIFICA SUPERIORE DIRIGENTE
R.G.N. 1497/2019
COGNOME.
Rep.
Ud. 19/06/2024
CC
RILEVATO CHE
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Caltanissetta, in riforma RAGIONE_SOCIALE pronuncia del Tribunale di RAGIONE_SOCIALE, ha respinto la domanda di riconoscimento RAGIONE_SOCIALE qualifica dirigenziale (con decorrenza 1.1.1978) proposta da NOME COGNOME nei confronti dell’RAGIONE_SOCIALE.
La Corte territoriale -premessa la formazione di un giudicato sostanziale in relazione alle differenze retributive vantate per il periodo antecedente l’1.1.1988 – ha, in sintesi, ritenuto che non potevano ritenersi acquisite prove sufficienti a dimostrare quel grado di autonomia, di responsabilità e di poteri attribuiti dalla consolidata giurisprudenza e dal CCNL dirigenti aziende RAGIONE_SOCIALE alla figura del dirigente a fronte del compendio probatorio raccolto: le dichiarazioni dei testi COGNOME e COGNOME orientavano maggiormente verso la figura dell’impiegato con funzioni direttive, il potere di firma non era assoluto (ma richiedeva la ‘controfirma’ del Vice presidente o del Presidente), la struttura aziendale era modesta (tre o cinque dipendenti), l’or ario di lavoro osservato era stato pari a quello degli altri dipendenti, le mansioni disimpegnate ‘non denotano affatto quell’incidenza nel governo aziendale, nell’orientamento e nell’impulso delle scelte gestionali, che caratterizzano la figura dirigenzia le’.
Il lavoratore ha proposto, avverso tale sentenza, ricorso per cassazione affidato a due motivi, illustrati da memoria. L’RAGIONE_SOCIALE è rimasta intimata.
Al termine RAGIONE_SOCIALE camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei successivi sessanta giorni.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo di ricorso si denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 437, secondo comma, e 115 cod.proc.civ. (ex art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ.) avendo, la Corte territoriale, trascurato l’assenza di esplicite contestazioni alla qualità di direttore-dirigente svolta dal COGNOME e illustrata nel ricorso introduttivo del giudizio, limitandosi, l’RAGIONE_SOCIALE, a dedurre che le pretese antecedenti l’1.1.1988 andavano riferite ad altro e distinto soggetto giuridico (l’RAGIONE_SOCIALE tra commercianti, RAGIONE_SOCIALE ed artigiani RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE) e che, in ogni caso, era maturata la prescrizione quinquennale.
Con il secondo motivo di ricorso si denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 1 del CCNL Dirigenti di aziende RAGIONE_SOCIALE (ex art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ.) avendo, la Corte territoriale, erroneamente escluso la qualifica di dirigente in capo all’originario ricorrente nonostante le evidenze RAGIONE_SOCIALE prova orale raccolta (che hanno dimostrato lo svolgimento RAGIONE_SOCIALE qualifica di direttore dell’RAGIONE_SOCIALE).
Il ricorso è inammissibile.
Le censure formulate come violazione o falsa applicazione di legge mirano in realtà alla rivalutazione dei fatti e del compendio probatorio operata dal giudice di merito non consentita in sede di legittimità.
4.1. Come insegna questa Corte, il ricorso per cassazione non rappresenta uno strumento per accedere ad un terzo grado di giudizio nel quale far valere la supposta ingiustizia RAGIONE_SOCIALE sentenza impugnata, spettando esclusivamente al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle
ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr. Cass. n. 27686 del 2018; Cass., Sez. U, n. 7931 del 2013; Cass. n. 14233 del 2015; Cass. n. 26860 del 2014).
4.2. Entrambi i motivi non individuano un errore di diritto ma, piuttosto, involgono apprezzamenti di merito in ordine al concreto espletamento di mansioni dirigenziali, valutazioni in quanto tali sottratti al sindacato di questa Corte.
5. Pur potendo il datore di lavoro inquadrare come dirigente, in via di favore, un dipendente addetto a mansioni non classificate come dirigenziali dal contratto di lavoro applicato (fenomeno del c.d. pseudodirigente), la sentenza impugnata ha, innanzitutto, precisato che l’appellativo di ‘direttore’ attribuita al COGNOME non era significativa per orientare la valutazione verso la qualifica di dirigente, piuttosto che verso l’inquadramento nella figura dell’impiegato con funzioni direttive (pagg. 4 e 7 RAGIONE_SOCIALE sentenza); ha, poi, esaminato il quadro probatorio acquisito ed ha concluso per la carenza di prova in ordine all’espletamento delle mansioni superiori; la Corte territoriale ha, altresì, (pag. 2) espressamente sottolineato che l’RAGIONE_SOCIALE aveva, in se de di primo grado, eccepito la carenza di legittimazione passiva per il periodo anteriore all’1.1.1988 ed aveva contestato che le mansioni svolte dal ricorrente originario fossero riconducibili alla figura dirigenziale; lo stesso ricorrente, d’altra parte, rileva che con la memoria di costituzione in primo grado l’RAGIONE_SOCIALE aveva contestato la rilevanza del contenuto dei documenti prodotti dal lavoratore ‘rispetto al contratto di lavoro tra l’associazione convenuta ed il ricorrente’, con ciò chiaramente dando atto dell’opposizione del datore di lavoro convenuto alla
prospettazione attorea circa il riconoscimento di una qualifica diversa rispetto a quella contemplata dal contratto stipulato dalle parti.
In conclusione, il ricorso è inammissibile e le spese del presente giudizio di legittimità seguono il criterio RAGIONE_SOCIALE soccombenza dettato dall’art. 91 cod.proc.civ.
Sussistono i presupposti per il versamento, da parte RAGIONE_SOCIALE ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013).
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 200,00 per esborsi, nonché in Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto RAGIONE_SOCIALE sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte RAGIONE_SOCIALE ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello – ove dovuto – per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 19 giugno