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Qualifica dirigenziale: mansioni superiori non bastano

Una dipendente pubblica, stabilizzata nei ruoli di un’Amministrazione Regionale, ha richiesto il riconoscimento di una qualifica dirigenziale basandosi sulle mansioni superiori svolte. La Corte d’Appello aveva accolto la sua richiesta. Tuttavia, la Corte di Cassazione ha ribaltato la decisione, stabilendo che nel pubblico impiego lo svolgimento di fatto di compiti superiori non è sufficiente per ottenere l’inquadramento superiore. È necessario che esista una specifica posizione organizzativa dirigenziale e che l’accesso avvenga secondo le procedure formali, come un concorso pubblico. La domanda della lavoratrice è stata quindi definitivamente respinta.

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Pubblicato il 16 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Qualifica Dirigenziale: Svolgere Mansioni Superiori Non Basta nel Pubblico Impiego

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha riaffermato un principio fondamentale nel diritto del lavoro pubblico: lo svolgimento di fatto di mansioni superiori non conferisce automaticamente il diritto alla qualifica dirigenziale corrispondente. Questa decisione chiarisce che l’accesso a ruoli di maggiore responsabilità nella Pubblica Amministrazione è strettamente legato a requisiti formali e non può basarsi unicamente sulle attività concretamente prestate dal dipendente. Analizziamo insieme i dettagli di questo importante caso.

I Fatti di Causa

La vicenda ha origine dalla domanda di una dipendente di un’Amministrazione Regionale. La lavoratrice, inizialmente impiegata presso una struttura commissariale temporanea, era stata successivamente stabilizzata nei ruoli dell’ente. Sulla base delle importanti responsabilità e dei compiti di capo servizio svolti, aveva richiesto in tribunale il riconoscimento della qualifica dirigenziale sin dal momento della sua stabilizzazione, con le relative differenze retributive.

La Decisione della Corte d’Appello

In un primo momento, la Corte d’Appello aveva dato ragione alla dipendente. I giudici di secondo grado avevano ritenuto che le mansioni altamente qualificate svolte, connesse a posizioni preminenti nell’organigramma, fossero riconducibili alla qualifica dirigenziale. Di conseguenza, avevano riconosciuto il suo diritto all’inquadramento superiore e al relativo trattamento economico a partire dalla data di superamento della procedura selettiva che l’aveva portata alla stabilizzazione.

Il Ricorso dell’Ente e la controversia sulla qualifica dirigenziale

L’Amministrazione Regionale non ha accettato la sentenza e ha presentato ricorso in Cassazione. L’ente ha sostenuto che la decisione della Corte d’Appello fosse errata, poiché l’attribuzione di una qualifica dirigenziale non può derivare semplicemente dalle mansioni svolte, ma deve avvenire nel rispetto delle procedure formali previste dalla legge. In particolare, l’accesso a tali ruoli deve passare attraverso il superamento di un concorso specifico e deve corrispondere a una posizione effettivamente prevista nella pianta organica dell’ente.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dell’Amministrazione, ribaltando completamente la decisione precedente. I giudici supremi hanno chiarito che, nell’ambito del lavoro pubblico, il principio secondo cui la retribuzione deve essere commisurata alla quantità e qualità del lavoro svolto (art. 36 Cost.) deve essere bilanciato con i principi di legalità, imparzialità e buon andamento della Pubblica Amministrazione (art. 97 Cost.).

Il cuore della motivazione risiede in un orientamento giurisprudenziale consolidato: lo svolgimento di fatto di funzioni dirigenziali non è sufficiente a determinare un diritto all’inquadramento superiore. Affinché ciò avvenga, è indispensabile che:
1. Esista una specifica posizione organizzativa di livello dirigenziale nella pianta organica dell’ente.
2. L’esercizio di tali funzioni sia stato formalmente attribuito al dipendente da un dirigente competente.

La Corte ha specificato che riconoscere una promozione basata solo sulle mansioni svolte, prescindendo dalle modalità di stabilizzazione e dall’esistenza di una posizione dirigenziale vacante da ricoprire tramite concorso, si porrebbe in contrasto con le norme che regolano l’accesso ai ruoli della Pubblica Amministrazione. Di fatto, si creerebbe una via alternativa e non prevista dalla legge per ottenere una promozione.

Conclusioni

La decisione in esame rappresenta un’importante conferma dei rigidi paletti che governano le carriere nel pubblico impiego. Per i dipendenti pubblici, questa sentenza sottolinea che l’aspirazione a un inquadramento superiore non può fondarsi unicamente sulla dimostrazione di aver svolto compiti di maggiore responsabilità. È essenziale che tale avanzamento di carriera segua i percorsi formali stabiliti dalla normativa, quali il superamento di concorsi pubblici per posizioni dirigenziali previste e vacanti. In assenza di questi presupposti formali, lo svolgimento di fatto di mansioni superiori può, al più, dare diritto a differenze retributive per il periodo in cui sono state svolte, ma non al riconoscimento automatico della qualifica superiore.

Svolgere di fatto mansioni superiori dà automaticamente diritto a una qualifica dirigenziale nel pubblico impiego?
No. Secondo la Corte di Cassazione, lo svolgimento di fatto di funzioni dirigenziali non è sufficiente a ottenere il corrispondente inquadramento superiore. È necessario che l’accesso a tale qualifica avvenga nel rispetto delle procedure formali previste dalla legge.

Quali sono i requisiti per ottenere una qualifica dirigenziale nel lavoro pubblico secondo la Cassazione?
Per ottenere una qualifica dirigenziale, non basta svolgere le relative mansioni. È necessario che esista una specifica posizione organizzativa dirigenziale nella pianta organica dell’ente e che l’attribuzione di tale posizione avvenga formalmente, ad esempio tramite il superamento di un apposito concorso pubblico.

Perché la Corte di Cassazione ha annullato la decisione che riconosceva la promozione alla lavoratrice?
La Corte ha annullato la decisione perché la Corte d’Appello aveva basato il riconoscimento della qualifica dirigenziale unicamente sulle mansioni effettivamente svolte dalla dipendente, senza considerare l’assenza dei presupposti formali richiesti dalla legge, come l’esistenza di una posizione dirigenziale in organico e il superamento delle procedure concorsuali previste per l’accesso a tale ruolo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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