LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Qualifica dirigenziale: la forma vince sulla sostanza

Un funzionario pubblico ha richiesto il pagamento di differenze retributive per aver svolto mansioni superiori. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, affermando che per il riconoscimento della qualifica dirigenziale è determinante la classificazione formale dell’ufficio nell’organigramma aziendale, e non la natura delle mansioni effettivamente svolte. Il principio nominalistico prevale sulla sostanza delle attività.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 16 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Qualifica dirigenziale: la Cassazione ribadisce la prevalenza della forma

Nel mondo del pubblico impiego, la distinzione tra le mansioni effettivamente svolte e l’inquadramento formale è spesso fonte di contenzioso. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha affrontato proprio questo tema, offrendo un chiarimento cruciale sulla qualifica dirigenziale e sui criteri per il suo riconoscimento. La Corte ha stabilito che la classificazione ufficiale di un ufficio nell’organigramma dell’amministrazione prevale sulla natura delle attività concretamente eseguite dal dipendente. Vediamo insieme i dettagli di questa importante decisione.

I Fatti di Causa

Un funzionario di un’amministrazione regionale aveva citato in giudizio il proprio ente, chiedendo il pagamento delle differenze retributive maturate per aver svolto, a suo dire, mansioni superiori riconducibili a quelle di un dirigente. In particolare, il funzionario era stato nominato responsabile di un’unità di ‘Monitoraggio e Controllo’ di specifici progetti. Egli sosteneva che, al di là della denominazione, le sue responsabilità, l’autonomia gestionale e il coordinamento di altri uffici fossero di fatto equivalenti a quelle di un dirigente, e che pertanto avesse diritto a un trattamento economico superiore.

La Decisione nei Gradi di Merito

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano respinto la domanda del lavoratore. I giudici di merito avevano evidenziato un punto fondamentale: secondo i decreti dirigenziali che istituivano l’ufficio, questo era qualificato come ‘unità semplice’, assegnata a un funzionario direttivo. La qualifica dirigenziale era invece prevista per il livello superiore, ovvero per il responsabile del Settore in cui l’ufficio del funzionario era inserito. Secondo i giudici, questi atti di macro-organizzazione, mai impugnati dal dipendente, erano espressione del potere discrezionale dell’amministrazione e non potevano essere superati dalla mera analisi delle mansioni svolte.

L’Analisi della Cassazione sulla qualifica dirigenziale

La Corte di Cassazione, investita della questione, ha confermato la linea dei giudici di merito, rigettando il ricorso del funzionario. Gli Ermellini hanno ribadito un principio consolidato, noto come ‘criterio nominalistico’. Secondo questo criterio, per stabilire se un ufficio abbia natura dirigenziale, è necessario e indispensabile verificare la sua classificazione formale all’interno dell’organigramma e degli atti organizzativi dell’ente.

La Corte ha specificato che un dipendente non può pretendere il riconoscimento di funzioni dirigenziali basandosi unicamente sull’importanza o sulla complessità dei compiti svolti. È onere del lavoratore dimostrare in limine, cioè in via preliminare, che l’ufficio al quale è preposto è formalmente qualificato come dirigenziale nell’assetto organizzativo dell’amministrazione. In assenza di tale classificazione formale, le mansioni svolte, per quanto complesse e di natura direttiva, rientrano nella declaratoria del livello di appartenenza, senza dare diritto a un inquadramento superiore.

Le Motivazioni

La motivazione della Corte si fonda sulla netta separazione tra l’organizzazione della pubblica amministrazione e il rapporto di lavoro del singolo dipendente. L’individuazione degli uffici, la loro classificazione (generale, dirigenziale, non dirigenziale) e i modi di conferimento della titolarità sono demandati ad atti di natura pubblicistica, espressione di scelte discrezionali dell’ente. Il giudice del lavoro non può sindacare nel merito tali scelte, ma solo verificare che siano state rispettate. La pretesa del lavoratore di ricavare la natura dirigenziale dell’ufficio dalla sua nomina a ‘responsabile’ anziché a ‘referente’ è stata ritenuta irrilevante, poiché ciò che conta è l’organigramma ufficiale, non la terminologia usata in un singolo atto di nomina. Pertanto, la qualifica dirigenziale non può derivare da un’interpretazione sostanziale delle mansioni, ma deve essere esplicitamente prevista dagli atti che disciplinano la struttura dell’ente.

Conclusioni

Questa pronuncia consolida un orientamento fondamentale per il pubblico impiego: la forma prevale sulla sostanza quando si discute di inquadramento e qualifica dirigenziale. Per un dipendente che ritenga di svolgere mansioni superiori, la strada per ottenerne il riconoscimento economico non è quella di dimostrare la complessità delle proprie attività, ma di provare che la sua posizione è formalmente classificata come dirigenziale nell’assetto organizzativo dell’ente. In caso contrario, l’unica via percorribile sarebbe quella di impugnare preventivamente gli atti organizzativi che si ritengono illegittimi, ma non si può chiedere al giudice del lavoro di disapplicarli basandosi solo sulla natura delle mansioni svolte.

Per ottenere una qualifica dirigenziale, contano di più le mansioni svolte o la classificazione formale dell’ufficio?
Secondo la Corte di Cassazione, la classificazione formale dell’ufficio nell’organigramma dell’amministrazione è l’elemento decisivo. Le mansioni effettivamente svolte, anche se complesse, non sono sufficienti se l’ufficio non è formalmente classificato come dirigenziale.

È possibile ottenere il riconoscimento di funzioni dirigenziali se l’ufficio di appartenenza non è classificato come tale nell’organigramma?
No. La sentenza chiarisce che un dipendente della pubblica amministrazione non può assumere l’esercizio di funzioni dirigenziali se l’ufficio a cui è preposto non è definito come tale nell’organigramma. È necessario dimostrare in via preliminare tale classificazione formale.

La denominazione di ‘responsabile’ invece di ‘referente’ è sufficiente a dimostrare la natura dirigenziale di un incarico?
No. La Corte ha ritenuto del tutto irrilevante la distinzione terminologica tra ‘responsabile’ e ‘referente’, affermando che ciò che conta è quanto risulta dall’organigramma ufficiale dell’amministrazione, non la dicitura utilizzata in un singolo atto di nomina.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati