Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 1836 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 1836 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 25/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11510/2020 R.G. proposto da: COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME (CODICE_FISCALE, COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
ASSESSORATO FAMIGLIA POLITICHE SOCIALI E LAVORO REGIONE SICILIANA, PRESIDENZA REGIONE SICILIANA, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO), che li rappresenta e difende
-controricorrenti- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO PALERMO n. 572/2019 depositata il 16/09/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
1.La Corte d’appello di Palermo confermava la sentenza del Tribunale della stessa sede, che aveva respinto la domanda proposta da NOME COGNOME, funzionario dell’Assessorato regionale della Famiglia, delle Politiche Sociali e del Lavoro della Regione Siciliana, per la condanna dell’Assessorato e della Presidenza della Regione al pagamento delle differenze di retribuzione maturate per lo svolgimento delle mansioni superiori di dirigente, nella qualità di responsabile, dal 14 maggio 2003, della unità di Monitoraggio e Controllo delle misure 3.01 e 4.05 del POR Sicilia.
La Corte territoriale evidenziava che la mancata assunzione di un teste citato dal COGNOME era coerente con il percorso motivazionale del giudice del primo grado, che aveva escluso il diritto alle differenze retributive in ragione dell’inquadramento della struttura assegnata al dipendente come ufficio al cui vertice era preposto un funzionario.
3.Esponeva che con decreto del dirigente generale 14 maggio 2003 n. 268 -che richiamava i precedenti decreti dirigenziali del 31 dicembre 2001 n. 1465/AV/AG e 14 gennaio 2002 n. 1/AV/AG -l’ufficio valutazione di processo, controllo e monitoraggio del POR, gestito dal COGNOME era stato qualificato come unità semplice ed assegnato ad un funzionario direttivo mentre la qualifica dirigenziale era relativa al responsabile del settore IV, nel quale detto ufficio era incardinato.
4.Tali atti di macro-organizzazione, mai impugnati dal COGNOME erano espressione del potere discrezionale attribuito agli organi apicali regionali.
L’assunto del lavoratore, secondo il quale ai fini della qualificazione era rilevante la sostanza delle sue attribuzioni, era in contrasto con l’indirizzo della Suprema Corte e con il rilievo che le linee fondamentali di organizzazione degli uffici, l’individuazione degli uffici di maggiore rilevanza ed i modi di conferimento della titolarità dei medesimi sono rimessi, sulla base dei principi generali dettati dalla legge, ad atti organizzativi di natura pubblicistica.
6.In assenza di una struttura di livello dirigenziale, i compiti svolti, seppure di natura direttiva, sarebbero comunque rientrati nella declaratoria del livello di appartenenza, senza alcun riconoscimento di funzioni dirigenziali.
Era invece fondato l’appello incidentale della Presidenza della Regione Sicilia, in punto di carenza della propria legittimazione passiva, in quanto nella Regione Sicilia l’attività amministrativa fa capo, con rilevanza esterna, ai singoli assessori, ciascuno dei quali è legittimato a stare in giudizio per il ramo di attività amministrativa a lui riferibile.
Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza NOME COGNOME articolato in quattro motivi di censura ed illustrato con memoria; hanno resistito con unico atto di controricorso la Presidenza della Regione Siciliana e l’Assessorato regionale della Famiglia, delle Politiche Sociali e del Lavoro della Regione Siciliana.
Il collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di sessanta giorni.
CONSIDERATO CHE
1.Con il primo motivo di ricorso si deduce -ai sensi dell’art. 360 n. 4 cod.proc.civ. -la nullità della sentenza per omessa pronuncia sull’esito dell’appello principale, in violazione degli artt. 112,132,429, 430, 437 e 438 cod.proc.civ. Il ricorrente ha esposto che nel dispositivo della sentenza, letto e depositato in udienza, la Corte di merito aveva dichiarato il difetto di legittimazione passiva della Presidenza della Regione Siciliana, in accoglimento dell’appello incidentale e lo aveva condannato al pagamento delle spese del secondo grado; ha lamentato la assenza di pronuncia sull’appello principale.
Il motivo è infondato.
Va in questa sede ribadita la consolidata giurisprudenza di questa Corte secondo la quale nel rito del lavoro- per la necessaria prevalenza che deve darsi al dispositivo letto in udienza rispetto alla motivazione successivamente depositatanon può che tenersi conto delle sole pronunce espresse nel dispositivo; le ulteriori argomentazioni contenute nella motivazione successivamente depositata che non trovano
corrispondenza nel dictum rimangono prive di effetti (Cass. 27 maggio 2004 n. 10203).
Nella fattispecie di causa, tuttavia, la pronuncia di rigetto dell’appello del lavoratore era contenuta inequivocabilmente -seppure per implicito -nel dispositivo, come risulta non solo dalla condanna dell’appellante alla refusione delle spese nei confronti dell’assessorato regionale (resistente nel giudizio di appello ma non coinvolto dalle ragioni dell’appello incidentale) ma , soprattutto, dalla dichiarazione della esistenza, nei confronti dell’appellante, dei presupposti per il cd . raddoppio del contributo unificato.
5.Con il secondo mezzo si deduce -ai sensi dell’art. 360 n. 5 cod.proc.civ. -l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti e l’ error in procedendo ; il motivo afferisce alla mancata audizione nel primo grado del teste di parte, benché citato e presente in aula, in origine dovuta alla contestuale nomina di un ctu per la verifica della correttezza contabile delle differenze di retribuzione richieste.
La parte ricorrente si duole della successiva revoca della nomina del ctu e della decisione della causa senza l’audizione del teste, benché congedato sulla base di presupposti ritenuti non più sussistenti; contesta la decisione resa nella sentenza impugnata sul relativo motivo di appello.
Il motivo è inammissibile.
8.Oggetto di questo giudizio di legittimità è la sentenza del giudice dell’appello; non ha, invece, rilievo alcuno la verifica delle ragioni per le quali il primo giudice aveva dichiarato la chiusura dell’istruttoria.
La parte non indica sotto quale profilo la testimonianza non acquisita nel primo grado avrebbe assunto un rilievo decisivo, in relazione ai relativi capitoli di prova. D’altra parte, in ragione della ratio decidendi , tale decisività potrebbe sussistere soltanto sotto il profilo della formale classificazione dell’ufficio cui era preposto il ricorrente come ufficio dirigenziale.
10.Con la terza critica la parte ha lamentato -ai sensi dell’articolo 360 n. 3 cod.proc.civ. -la violazione o falsa applicazione:
-degli artt. 2, comma 2, 17,45,51, 52 d.lgs. n. 165/2001; degli artt. 2104, 2086, 2094 e 2095 cod.civ.; degli artt. 2 ed 8 L.R. SICILIA n. 10/2000; degli att. 19 e 20 CCRL del comparto non dirigenziale della Regione Sicilia e degli artt. 21, comma 5 e 36 CCRL del comprato dirigenziale della Regione Sicilia; degli artt. 13 e 37 L. n. 300/1970;
del Regolamento CE n. 1083 del 2006, artt. 65, 58,47, comma 3, 59, comma 1 lett. c, 62, comma 3, 71, comma 3; dell’art. 12 L.R. n. 36 del 1990; del regolamento CE n. 1260/99 punti da 43 a 53 dei considerata, con riferimento anche al punto 48 e degli artt. 18,19,34,35,38, comma 2, 42, comma 2, 43, comma 2;
-dell’art. 63 d.lgs. n. 165/2001 e degli artt. 4 e 5 legge abolitiva del contenzioso amministrativo.
11.La censura afferisce alla mancata disapplicazione dei provvedimenti amministrativi datoriali ed all’errore di diritto che sarebbe stato commesso dal giudice dell’appello per non aver qualificato i compiti svolti come funzioni dirigenziali.
12.Il ricorrente ha assunto che la giurisprudenza citata nella sentenza impugnata si riferirebbe alla qualificazione di un ufficio dirigenziale come ufficio dirigenziale generale mentre nella fattispecie di causa si discuteva di un ufficio dirigenziale non generale.
13.Ha dedotto: che l’ufficio ricoperto era denominato in tutti gli atti come ufficio di responsabilità dirigenziale e come tale era considerato; che la sua errata indicazione come unità semplice era contenuta in un unico atto, il decreto del dirigente generale n. 268 del 14 maggio 203, contenente un errore che non poteva cambiare il dato oggettivo; che, in ogni caso, l’ufficio derivava dal collegamento di due uffici ed era, pertanto, un ufficio complesso; che la classificazione dell’ufficio era un atto generale ed astratto mentre era concreto il suo atto di assegnazione ad un ufficio espressamente definito di responsabilità dirigenziale.
14.Ha affermato che la qualificazione dell’ufficio come di rilievo dirigenziale risultava, altresì, dalla normativa comunitaria e regionale e che egli aveva svolto funzioni dirigenziali, avendo alle sue dipendenze anche personale a tempo determinato con qualifica dirigenziale ed avendo controllato e coordinato diversi uffici dirigenziali.
15.Ha ancora dedotto che il datore di lavoro deve provare la effettività della scelta organizzativa di classificazione degli uffici ed il suo carattere non arbitrario; la natura dell’ufficio come di funzione dirigenziale risultava: dalla delibera della Corte dei Conti n. 7/2008 contr., dal fatto che tutti gli uffici con le medesime funzioni erano uffici dirigenziali, dal regolamento CE n. 1083 del 2006, dall’art. 12 L.R. n. 36/1990, dal regolamento CE n. 1260/1999.
16.A conferma di tale assunto ha esposto che il decreto di nomina non lo individuava come «referente», alla pari degli altri soggetti incaricati, ma come «responsabile».
17.Il motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato.
18.La sentenza impugnata ha accertato che dal decreto dirigenziale n. 268 del 14 maggio 203, risultava che all’ufficio al quale il COGNOME era stato preposto era stata attribuita natura di ufficio non dirigenziale nell’organigramma della amministrazione; mentre aveva natura dirigenziale il settore IV, nel cui ambito l’ufficio era incardinato.
19. Trattasi di un accertamento che avrebbe dovuto essere impugnato con la specifica allegazione del diverso atto organizzativo -normativo o provvedimentale -che qualificava l’ufficio, nell’organigramma della amministrazione, come ufficio dirigenziale. Nella specie, il ricorrente non individua uno specifico atto normativo/provvedimento (con la indicazione del tempo e del modo della sua produzione in giudizio) dal quale risulterebbe la natura dirigenziale dell’ufficio.
20. Il ricorso difetta di specificità, giacché richiama plurime fonti, alcune prive di rilievo normativo, come il parere della Corte dei conti, altre inconferenti, come i regolamenti comunitari -che non disciplinano l’organizzazione interna della pubblica amministrazione nazionalealtre ancora, come le disposizioni del d.lgs. n. 165/2001, del tutto contrastanti con l’assunto del ricorrente.
21. Deve comunque ribadirsi in questa sede che la individuazione degli uffici e la loro qualificazione come uffici di livello dirigenziale -generale o non generale -è demandata dall’articolo 2, comma 1 e dall’ art. 6, come 1, d.lgs. n. 165/2001 ad atti delle singole amministrazioni, secondo quanto previsto dai rispettivi ordinamenti. Ne deriva che il dipendente
della pubblica amministrazione non può assumere l’esercizio di funzioni dirigenziali allegando la rilevanza ed importanza delle funzioni svolte dall’ufficio cui è proposto, dovendo in limine dimostrare che quell’ufficio è un ufficio di funzione dirigenziale nell’organigramma della amministrazione.
22.Ed invero, il criterio nominalistico, più volte enunciato da questa Corte (Cass. 05 giugno 2023, n.15650; Cass. 26 febbraio 2020, n.5238; Cass. 26 aprile 2017, n.10320; Cass. 26 novembre 2008, n.28276), trova applicazione non solo ai fini della qualificazione di un ufficio come di direzione generale ma anche per la qualificazione di un ufficio come di funzione dirigenziale piuttosto che come assegnato alla responsabilità di un funzionario.
23. Del tutto infondata è, poi, la pretesa di parte ricorrente di ricavare la natura dirigenziale dell’ufficio dalla mera circostanza della sua nomina di «responsabile» invece che di «referente» (come gli altri preposti), avendo il giudice dell’appello correttamente dato rilievo a quanto risultava dall’organigramma, ritenendo del tutto irrilevante la distinzione tra i due termini.
23.In questa sede viene altresì dedotta la natura arbitraria della classificazione dell’ufficio, nell’organigramma della amministrazione, come non avente carattere dirigenziale. Sul punto non appare specificamente censurata la affermazione della sentenza impugnata secondo cui il ricorrente non aveva mai censurato la legittimità dei decreti dirigenziali di organizzazione degli uffici; ed invero, la disapplicazione dei provvedimenti avrebbe potuto essere disposta dal giudice ordinario soltanto a seguito della allegazione di un vizio di violazione di legge o di eccesso di potere.
24.Con il quarto motivo si torma a dedurre -ai sensi dell’articolo 360 n. 3 cod.proc.civ. -la violazione o falsa applicazione:
-degli artt. 2, comma 2, 17,45,51, 52 d.lgs. n. 165/2001; degli artt. 2104, 2086, 2094 e 2095 cod.civ.; degli artt. 2 ed 8 L.R. SICILIA n. 10/2000; degli att. 19 e 20 CCRL del comparto non dirigenziale della Regione Sicilia e degli artt. 21, comma 5 e 36 CCRL del comprato dirigenziale della Regione Sicilia; degli artt. 13 e 37 L. n. 300/1970;
– del Regolamento CE n. 1083 del 2006, artt. 65, 58,47, comma 3, 59, comma 1 lett. c, 62, comma 3, 71, comma 3; dell’art. 12 L.R. n. 36 del 1990; del regolamento CE n. 1260/99 punti da 43 a 53 dei considerata, con riferimento anche al punto 48 e degli artt. 18,19,34,35,38, comma 2, 42, comma 2, 43, comma 2;
-dell’art. 63 d.lgs. n. 165/2001 e degli artt. 4 e 5 legge abolitiva del contenzioso amministrativo.
25.Si contesta la mancata considerazione del conferimento formale dell’incarico di «responsabile» dell’unità operativa laddove gli altri soggetti contestualmente incaricati venivano definiti semplici «referenti»; si censura la affermazione della Corte territoriale secondo cui il dato lessicale avrebbe valenza «neutra» ai fini di causa. Si tornano a proporre le deduzioni difensive fondate sulla natura dirigenziale dei compiti assegnati e si valorizza la nomina nel primo grado di un ctu per il computo delle differenze di retribuzione.
26.Il motivo è inammissibile. La mancata considerazione, da parte del giudice dell’appello, del contenuto del provvedimento amministrativo del direttore generale non configura un errore di diritto; in ipotesi, la censura avrebbe potuto essere articolata come vizio della motivazione, previa specifica allegazione del contenuto del documento, che viene invece riportato in questa sede soltanto per singoli lemmi.
27.Nel resto, la critica ripropone l’intero corpo delle difese già esaminate e respinte nella sentenza impugnata, così devolvendo a questa Corte un non-consentito riesame del merito.
28. In conclusione, il ricorso deve essere nel complesso respinto.
29. Non vi è luogo alla refusione delle spese di giudizio, in quanto il controricorso è tardivo (notifica del ricorso in data 13 marzo 2020; termini sospesi fino al giorno 11 maggio 2020; controricorso notificato il 25 giugno 2020).
30. Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore
importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Lavoro della