Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 5412 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 5412 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 01/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso 26442-2020 proposto da:
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE (SOCIETA’ SOGGETTA AD ATTIVITA’ DI DIREZIONE E COORDINAMENTO CONGIUNTO DI RAGIONE_SOCIALE), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO NOME COGNOME INDIRIZZO presso lo studio degli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME, che la rappresentano e difendono;
– controricorrente –
Oggetto
Lavoro privato
-Mansioni superiori
R.G.N.26442/2020
COGNOME
Rep.
Ud.14/01/2025
CC
avverso la sentenza n. 360/2020 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 06/04/2020 R.G.N. 2190/2016; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14/01/2025 dal Consigliere Dott. COGNOME
RILEVATO CHE
l a Corte d’Appello di Roma ha integralmente confermato la sentenza del Tribunale della stessa sede di rigetto delle domande proposte da NOME COGNOME contro la società RAGIONE_SOCIALE dirette all’accertamento dell’e spletamento di mansioni di dirigente dall’1.4.2002 (o data successiva di giustizia), con diritto alla corrispondente qualifica da tale data sino a quella di cessazione del rapporto di lavoro (31.3.2013), e alla condanna della società al pagamento di differenze di retribuzione e sul TFR, nonché al risarcimento del danno per l’impossibilità di aderire al Fondo Pensione Complementare per i Dirigenti del Gruppo Finmeccanica;
la Corte di Roma, in sintesi:
-ha rilevato che, nel ricorso introduttivo del giudizio, non erano state articolate specifiche allegazioni relative al raffronto tra l’inquadramento posseduto (quadro direttivo) e quello di dirigente rivendicato;
-ha sottolineato, richiamando pertinente giurisprudenza di questa Corte, che non sussiste una nozione ontologica della categoria dirigenziale sovrapponibile a quella emergente dalla contrattazione collettiva;
-ha osservato che la nozione di dirigente va ricavata dalla contrattazione collettiva e comparata con la declaratoria relativa ai quadri, per poter valutare le mansioni svolte in concreto e ascriverle all’una o all’altra delle declaratorie predette,
sottolineando la labilità dei confini tra la figura di dirigente e quella di quadro di livello più elevato;
-esaminato il CCNL Industria metalmeccanica e installazione di impianti applicato al rapporto, ha ritenuto che il ricorrente, poi appellante, nei vari incarichi svolti nel periodo, rispondesse a direttive generali di settore provenienti da dirigenti sovraordinati e possedesse un grado di autonomia decisoria da tali direttive circoscritto, dunque conforme all’inquadramento riconosciuto dalla società;
avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’ing. COGNOME con sei motivi; resiste la società con controricorso; entrambe le parti hanno depositato memoria in prossimità dell’udienza odierna; al termine della camera di consiglio, il C ollegio si è riservato il deposito dell’ordinanza;
CONSIDERATO CHE
1. con il primo motivo parte ricorrente deduce (art. 360, n. 3, c.p.c.), violazione e falsa applicazione dell’art. 2095 c.c., dell’art. 1 CCNL dirigenti di aziende industriali del 23 maggio 2000, dell’art. 12 preleggi , nella parte in cui la sentenza impugnata ritiene che il tratto che distingue il dirigente dal quadro direttivo è l’autonomia decisoria; sostiene errata lettura della vicenda processuale come illustrata negli scritti difensivi e arbitraria attribuzione di rilievo predominante al carattere di auto nomia rispetto agli altri indici indicati all’art. 1 CCNL;
2. con il secondo motivo (art. 360, n. 3, c.p.c.), violazione e falsa applicazione dell’art. 2095 c.c. e dell’art. 1 CCNL dirigenti di aziende industriali del 23 maggio 2000, nella parte in cui la sentenza impugnata in maniera astratta e aprioristica esclude che al dirigente possano essere sovraordinati altri dirigenti; sostiene errata interpretazione sia dell’art.1 CCNL, sia
dell’inquadramento logico -funzionale del dirigente, riverberatasi nell’individuazione in astratto dei requisiti richiesti ai fini dell’attribuzione della qualifica;
con il terzo motivo (art. 360, n. 5, c.p.c.), violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. nella parte in cui la sentenza impugnata (non) ha sottoposto al necessario vaglio critico l’organigramma aziendale ex adverso prodotto;
con il quarto motivo (art. 360, n. 5, c.p.c.), contraddittoria motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui non spiega perché al ricorrente è stata negata la qualifica di dirigente pur avendo sostituito un lavoratore cui era riconosciuta la qualifica di dirigente;
con il quinto motivo (art. 360, n. 5, c.p.c.), violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116, 183, 210, 244, 346 e 356 c.p.c., 24 Cost., in relazione alla mancata ammissione dei mezzi istruttori e vizio di motivazione per omessa ammissione della prova testimoniale;
con il sesto motivo (art. 360, n. 4, c.p.c.), nullità processuale consistente nella violazione del diritto di difesa e nella manifesta illogicità della motivazione, nella parte in cui la sentenza impugnata ha dapprima rigettato le istanze istruttorie e poi ha dichiarato non provata la domanda;
i primi due motivi, da trattarsi congiuntamente per connessione, sono infondati;
essi ripropongono le argomentazioni già esaminate dalla Corte d’Appello e non si confrontano compiutamente con la motivazione della sentenza impugnata;
parte ricorrente prospetta una concezione ontologica della qualifica di dirigente che la Corte d’Appello ha in radice motivatamente escluso, e trascura il profilo di comparazione tra le declaratorie della contrattazione collettiva rispettivamente
corrispondenti alla categoria di quadro e a quella di dirigente, neppure contestando perché le mansioni svolte non corrispondessero in concreto a quelle rientranti nella declaratoria di quadro;
10. in questo modo, parte ricorrente, nel ritenere non soddisfacente l’inquadramento riconosciuto, non critica lo svolgimento del procedimento trifasico come operato in concreto nel merito, procedimento che, invece, è consustanziale alla trattazione delle domande in materia di inquadramento superiore;
11. la sentenza impugnata resiste alle censure svolte perché conforme alla consolidata giurisprudenza di questa Corte, in base alla quale, nel procedimento logico-giuridico diretto alla determinazione dell’inquadramento di un lavoratore subordinato, non può prescindersi da tre fasi successive, e cioè, dall’accertamento in fatto delle attività lavorative in concreto svolte, dall’individuazione delle qualifiche e dei gradi previsti dal contratto collettivo di categoria e dal raffronto tra il risultato della prima indagine ed i testi della normativa contrattuale individuati nella seconda;
12. l’accertamento della natura delle mansioni concretamente svolte dal dipendente, ai fini dell’inquadramento del medesimo in una determinata categoria di lavoratori, costituisce giudizio di fatto riservato al giudice del merito ed è insindacabile, in sede di legittimità, se sorretto da logica ed adeguata motivazione (così Cass. n. 28284/2009; tra le molte successive conformi, v. Cass. n. 8589/2015, n. 18943/2016, n. 14413/2024);
13. nel caso di specie, tale procedimento trifasico è stato svolto e adeguatamente motivato sulla base di elementi probatori congrui e conseguenti, tenuto conto delle peculiarità della fattispecie concreta, e in rapporto alle declaratorie ed
esemplificazioni della normativa contrattuale collettiva applicata al rapporto riportate nella motivazione, valorizzando le circostanze di fatto rilevanti ai fini del richiamato e imprescindibile procedimento trifasico, che, peraltro, non richiede che il giudice si attenga pedissequamente alla ripetizione di una rigida e formalizzata sequenza delle azioni fissate dallo schema procedimentale, ove risulti che ciascuno dei momenti di accertamento, di ricognizione e di valutazione abbia trovato concreto ingresso nel ragionamento decisorio, concorrendo a stabilirne le conclusioni (cfr. Cass. n. 30580/2019, n. 10485/2023, n. 21296/2024);
14. del resto, non è consentita in questa sede di legittimità la rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (cfr. Cass. S.U. n. 34476/2019), in contrasto con il principio secondo cui la denuncia di violazione di legge non può surrettiziamente trasformare il giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi o valutare elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi (cfr. Cass. n. 20814/2018, n. 640/2019, n. 15568/2020, n. 7187/2022);
15. infatti, il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logicoformale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare i fatti sottesi, dando liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei
mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (Cass. n. 331/2020; cfr. altresì Cass. n. 11892/2016);
il terzo, quarto e quinto motivo sono inammissibili;
rileva il Collegio che la Corte d’Appello ha confermato integralmente le statuizioni di primo grado, così realizzandosi ipotesi di cd. doppia conforme rilevante ai sensi dell’art. 348 -ter c.p.c. (ora art. 360, comma 4, c.p.c.) e dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c.; quando la pronuncia di appello conferma la decisione di primo grado per le stesse ragioni, inerenti ai medesimi fatti posti a base della decisione impugnata, il ricorso per cassazione può essere proposto esclusivamente per i motivi di cui all’art. 360, primo comma, nn. 1), 2), 3), 4), c.p.c.; ricorre l’ipotesi di «doppia conforme», con conseguente inammissibilità della censura ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., non solo quando la decisione di secondo grado è interamente corrispondente a quella di primo grado, ma anche quando le due statuizioni sono fondate sul medesimo iter logico-argomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa, non ostandovi che il giudice di appello abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione già assunta dal primo giudice (v. Cass. n. 29715/2018, n. 7724/2022, n. 5934/2023, n. 26934/2023); con specifico riferimento al quinto motivo si rileva uno specifico e ulteriore profilo di inammissibilità attesa la mancata trascrizione, in violazione dell’art. 366, comma 1 n. 6 c.p.c., delle circostanze capitolate in relazione alle quali si denunzia la mancata ammissione;
è inammissibile anche il sesto motivo;
i giudici di merito hanno ritenuto superflue le prove testimoniali ai fini dell’accertamento oggetto di causa; spettano al giudice di merito la selezione e valutazione delle prove a base
della decisione, l’individuazione delle fonti del proprio motivato convincimento, l’assegnazione di prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, la facoltà di escludere, anche attraverso un giudizio implicito, la rilevanza di una prova, senza necessità di esplicitare, per ogni mezzo istruttorio, le ragioni per cui lo ritenga non rilevante o di enunciare specificamente che la controversia può essere decisa senza necessità di ulteriori acquisizioni; infatti, il giudizio di Cassazione non è strutturato quale terzo grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi, al fine di un loro riesame (v. Cass. n. 27415/2018, n. 29730/2020, n. 20553/2021); inoltre parte ricorrente non si confronta con la affermazione della Corte di merito in punto di carenza di allegazioni in domanda che rende inutile la prova sulle circostanze capitolate;
20. in ragione della soccombenza parte ricorrente deve essere condannata alla rifusione delle spese del presente giudizio in favore di parte controricorrente, liquidate come da dispositivo;
21. al rigetto dell’impugnazione consegue il raddoppio del contributo unificato, ove dovuto nella ricorrenza dei presupposti processuali;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio, che liquida in € 4.500 per compensi, € 200 per esborsi, spese generali al 15%, accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a
titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto. Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale del 14 gennaio 2025.