Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 11081 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 11081 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso 3998-2020 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA DELLA RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 686/2019 della CORTE D’APPELLO di TORINO depositata il 29/10/2019 R.G.N. 78/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 08/01/2025 dal Consigliere Dott. COGNOME
FATTI DI CAUSA
Oggetto
Mansioni pubblico impiego
R.G.N.3998/2020
COGNOME
Rep.
Ud.08/01/2025
CC
Con ricorso del 2/8/2017 NOME COGNOME conveniva in giudizio ARPA Piemonte esponendo di aver presentato domanda per partecipare alla selezione interna per l’attribuzione di incarichi di funzione di posizione organizzativa e di coordinamento della dur ata di 18 mesi a decorrere dall’1/1/2014 riservato al personale non dirigente di categoria D in servizio presso ARPA Piemonte con contratto a tempo indeterminato. La graduatoria avrebbe disposto erroneamente il collocamento della ricorrente in seconda posizione, senza considerare gli incarichi pregressi a lei affidati (incarico P092) di coordinamento delle attività di tutela per le problematiche di contaminazione del suolo acqua aria e amianto, riconducibili al codice B5.05.
Inoltre, la COGNOME contestava cha ad altra concorrente fosse stato affidato un doppio incarico in violazione del divieto di cumulo ex art. 53 T.U. pubblico impiego, con danno nei suoi confronti derivante dalla circostanza che avrebbe potuto verosimilmente ottenere la posizione organizzativa di Responsabile del Nucleo operativo per la sede di Biella, assegnata all’altra concorrente.
La ricorrente chiedeva, pertanto, che fosse accertato:
l’illegittimità delle graduatorie; il diritto al posizionamento al primo posto delle due graduatorie (20/12/2013-24/12/2013), con conseguente condanna di ARPA al conferimento della posizione e al risarcimento del danno corrispondente all’indennità annua non percepita e al danno non patrimoniale.
Il Tribunale respingeva la domanda ritenendo corretto l’operato della amministrazione che aveva ritenuto che l’incarico precedentemente ricoperto dalla ricorrente quale ‘specialista di ambito tecnico per il controllo delle pressioni ambientali’ non potesse essere considerato ai fini del riconoscimento del punteggio per l’anzianità di funzione. Ad avviso del Tribunale la predetta funzione catalogabile nell’ambito del requisito B5.05 non era riconducibile neanche parzialmente alla posizione individuata, come richiesto ai fini del riconoscimento del punteggio, in quanto requisito generico rispetto all’incarico da ricoprire , che richiedeva una specifica conoscenza dei cicli relativi agli impianti industriali e civili, quale quello del tematismo sovra provinciale delle emissioni in atmosfera.
Interponeva appello la COGNOME chiedendo l’accertamento dell’illegittimità della graduatoria del 20/12/2013, l’accertamento del diritto al posizionamento al primo posto in graduatoria con condanna al risarcimento del danno.
La corte distrettuale accoglieva l’appello.
In primo luogo, la corte rilevava che, sebbene la direzione del personale avesse attribuito inizialmente il punteggio per l’incarico ricoperto in quanto afferente al tematismo emissioni in atmosfera, la commissione di valutazione escludeva l’assegnazione d el punteggio motivando testualmente: ‘ A seguito di verifica di pertinenza anche parziale dell’incarico di funzione con il tematismo in oggetto si è provveduto a rivalutare l’assegnazione del punteggio per l’anzianità di funzione indicato dall’ufficio del personale’.
Ad avviso della corte di merito, a fronte della sostanziale assenza di motivazione da parte della Commissione di valutazione, nella memoria di primo grado ARPA avrebbe dovuto prendere specifica posizione sul punto, laddove si era limitata ad argomentare affermando che l’amministrazione non aveva ritenuto di per sé valutabile il requisito catalogabile come B5.05 ‘in quanto troppo generico rispetto all’incarico da ricoprire’.
Solo in appello e, quindi, tardivamente la amministrazione avrebbe integrato la propria prospettazione difensiva con argomentazioni (mutamenti nell’organizzazione dell’ente, valutazione del contenuto sostanziale delle attività in precedenza svolte dalla COGNOME, competenze richieste allo ‘specialista in ambito sovra provinciale’) che non si rinvengono nella graduatoria elaborata dalla Commissione di valutazione in cui il punteggio inizialmente attribuito dall’ufficio del personale è stato espunto, senza al cuna motivazione, in violazione dei criteri di buona fede e correttezza contrattuale.
Conseguentemente, la Corte riconosceva che in virtù del punteggio per anzianità di funzione la ricorrente sarebbe stata collocata al primo posto in graduatoria con conseguente riconoscimento del risarcimento del danno per perdita della chance di conseguire il compenso previsto per la posizione organizzativa.
La sentenza è stata impugnata da ARPA Piemonte, con ricorso per Cassazione, affidato a sei motivi, cui la COGNOME ha resistito con controricorso.
Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. per omessa valutazione di un fatto decisivo ex art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c..
In particolare, il ricorrente censura la sentenza nella parte in cui non avrebbe tenuto conto di alcuni fatti decisivi, e in particolare delle ragioni espresse dall’Arpa in ordine alla mancata attribuzione di punteggio relativo alla anzianità di funzione quale PO ricoperta dalla ricorrente ed emergenti da alcuni documenti, in particolare della relazione dell’Arpa allegata alla compara di risposta nel giudizio di primo grado.
La censura è inammissibile.
Va premesso che l’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., nell’attuale testo modificato dall’art. 2 del d.lgs. n. 40 del 2006, riguarda un vizio specifico denunciabile per cassazione relativo all’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, da intendersi riferito a un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico.
Nel caso di specie, le deduzioni svolte in appello da ARPA in ordine alla diversa valutazione operata dalla Commissione relativamente alla mancata attribuzione del punteggio sono state ritenute tardive dalla Corte distrettuale che, pertanto, non le ha utilizzate ai fini della decisione.
Ed invero, ad avviso della Corte di merito la amministrazione avrebbe integrato solo in appello e quindi tardivamente la propria posizione difensiva con argomentazioni ulteriori rispetto a quelle elaborate dalla Commissione di valutazione in cui il punteggio, attribuito inizialmente dall’ufficio del personale, è stato espunto.
Ciò posto, è da rilevarsi come la doglianza avrebbe dovuto riguardare la asserita erroneità della decisione in ordine alla tardività delle deduzioni difensive di ARPA sub specie di error in procedendo , piuttosto che quale omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.
A ciò deve aggiungersi un evidente difetto di autosufficienza del motivo nella parte in cui, pur trascrivendo la relazione di Arpa Piemonte circa i fatti di causa, la ricorrente non trascrive la comparsa di risposta, impedendo così di apprezzare le deduzioni difensive e la loro tempestività, a fronte di una motivazione della Corte secondo cui esse sarebbero state svolte solo in appello ‘sottraendo al contraddittorio elementi fattuali e argomentazioni che non si rinvengono nella graduatoria elaborata dalla C ommissione di valutazione’.
Con il secondo motivo si deduce la violazione o falsa applicazione degli artt. 1175 e 1375 c.c., nonché del DLGS. 155/2010, DLGS. 152/2006 e art 97 Cost. in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c..
La commissione di valutazione ha valutato correttamente l’esperienza della lavoratrice in un’ottica di esercizio della propria discrezionalità. La preparazione della Saracino sarebbe di tipo generalista, mentre quella richiesta per la P.O. è specificamente in tema di emissioni, piuttosto che di inquinamento atmosferico riconducibile al codice B5.05.
Anche il secondo motivo è inammissibile.
Va premesso che secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte è da ritenere “inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito” (Cass. Sez. U, 34476/2019). (Cassazione civile sez. I, 19/02/2021, (ud. 04/11/2020, dep. 19/02/2021), n.4627).
Nel caso di specie, il motivo è finalizzato a far riesaminare a questa Corte l’accertamento in fatto operato dal giudice di merito in ordine alla attribuzione del punteggio per l’espletamento di attività ‘riconducibile, anche parzialmente, alla posizione individuata’. Le allegazioni e deduzioni svolte in appello integrative della assenza di motivazione della Commissione di valutazione in quanto tardive non hanno potuto trovare ingresso nel giudizio di merito con conseguente insindacabilità dell’accertamento in fatto operato sulla scorta delle allegazioni versate nel giudizio di primo grado.
Con il terzo motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1175 e 1375 c.c., nonché del DLGS 165/2001 e art 97 cost. in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c.
Ad avviso della ricorrente l’assegnazione dell’incarico resta, comunque, rimessa alla discrezionalità del datore di lavoro ai sensi dell’art. 5, comma 3, Dlgs. 165/2001.
Inoltre, per le selezioni interne di personale si rileva come la selezione è frutto di una scelta comparativa di carattere non concorsuale senza compilazione di una graduatoria finale (nel caso di specie è stato utilizzato un elenco piuttosto che una graduatoria).
La censura, oltre ad affrontare questione mai sollevata nel giudizio di merito, è infondata.
Giova al riguardo rammentare che questa Corte ha reiteratamente chiarito che, in tema di pubblico impiego contrattualizzato, il lavoratore è bensì titolare di un diritto soggettivo all’effettivo e corretto svolgimento delle operazioni valutative e può esercitare l’azione di esatto adempimento, al fine di ottenere la ripetizione della valutazione, nonché agire per il risarcimento del danno anche da perdita di ‘chance’, ma non può domandare al giudice di sostituirsi al datore di lavoro quanto alle valutazioni discrezionali, con la conseguenza che l’attribuzione del bene al quale il dipendente aspira sarà possibile solo qualora la graduatoria da formare all’esito della procedura selettiva sia la risultante di criteri fissi e predeterminati ai quali il datore di lavoro, pubblico e privato, per autonoma iniziativa o pattiziamente, abbia vincolato la propria discrezionalità, rapportando il punteggio in maniera fissa al ricorrere di un titolo o, più in generale, di un determinato presupposto fattuale (Cass. Sez. L -Ordinanza n. 22029 del 12 luglio 2022; Cass. Sez. L -Ordinanza n. 26615 del 18 ottobre 2019).
A tali principi la sentenza impugnata si è pienamente conformata, avendo, anzi, fatto di essi specifica applicazione, richiamando sia la regola di sindacabilità secondo buona fede e correttezza, sia l’obbligo di preventiva disciplina della procedura di sel ezione, sia l’obbligo di motivazione del provvedimento conclusivo e giungendo, sulla scorta di questi corretti parametri, alla conclusione per cui la procedura di selezione non era stata correttamente seguita e la decisione finale non adeguatamente motivata.
Con il quarto motivo si lamenta la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c..
La Corte di merito avrebbe condannato l’amministrazione al risarcimento del danno senza pronunciarsi sulla domanda di accertamento della illegittimità della graduatoria e del diritto della Saracino al posizionamento al primo posto formulate dalla dipendente.
Il motivo è infondato. La Corte di appello ha in modo implicito ritenuto l’illegittimità della graduatoria nella misura in cui ha riconosciuto alla COGNOME il diritto al risarcimento del danno. Peraltro, è da osservarsi come l’amministrazione sia priva di interesse alla declaratoria di illegittimità della graduatoria la cui pronuncia non riveste alcuna utilità per la stessa.
Con il quinto motivo si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1218 e 1223 c.c. in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c.
Ad avviso della ricorrente la mancata motivazione circa l’esclusione del punteggio relativo all’anzianità di funzione non è da ritenersi causa diretta ed immediata del danno subito dalla lavoratrice poiché, anche qualora essa fosse stata elaborata dalla Commissione di valutazione, la stessa non avrebbe condizionato in alcun modo il punteggio finale della graduatoria non facendo sussistere alcun diritto al risarcimento del danno.
Inoltre, la ricorrente contesta la quantificazione del danno atteso che la proroga dell’incarico non avrebbe comportato necessariamente il rinnovo della posizione eventualmente assegnata alla Saracino.
Orbene tale censura è inammissibile in quanto non aggredisce la specifica ratio decidendi della sentenza impugnata che ha ritenuto come l’accertamento del vizio di motivazione della Commissione di valutazione relativamente all’espunzione del punteggio abbia comportato necessariamente l’attribuzione alla dipendente del punteggio aggiuntivo per l’anzianità di servizio , con conseguente diritto alla posizione organizzativa negata ed il riconoscimento del danno da perdita di chance.
Con il sesto motivo si contesta la violazione delle norme di cui agli artt. 91 e 92 c.p.c. in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c.
La ricorrente in secondo grado ha rinunciato alla domanda relativa alla graduatoria del 24/12/2013 con implicita soccombenza sul punto.
Il motivo è infondato.
La Corte distrettuale ha correttamente condannato la parte appellata in quanto soccombente al pagamento delle spese di lite.
Va rilevato che in tema di spese processuali, il principio della soccombenza va inteso nel senso che soltanto la parte interamente vittoriosa non può essere condannata, nemmeno per una minima quota, al pagamento delle spese stesse e il suddetto criterio non può essere frazionato secondo l’esito delle varie fasi del giudizio ma va riferito unitariamente all’esito finale della lite, senza che rilevi che in qualche grado o fase del giudizio la parte poi soccombente abbia conseguito un esito a lei favorevole. Con
riferimento al regolamento delle spese il sindacato della Corte di cassazione è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa, con la conseguenza che esula da tale sindacato e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, e ciò sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca, sia nell’ipotesi di concorso con altri giusti motivi (Cass., 19613/2017).
Conclusivamente, il ricorso va respinto con condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese di lite, con distrazione in favore del procuratore anticipatario.
P.Q.M.
La Corte rigetta ricorso. Condanna la parte ricorrente al pagamento in favore della controricorrente costituita delle spese di lite che liquida in € 4.000,00 per compensi professionali oltre € 200,00 per esborsi, nonché al rimborso forfetario delle spese generali, nella misura del 15%, ed agli accessori di legge, con distrazione.
Ai sensi dell’art.13, comma 1 quater del DPR 115/2002, dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma del comma 1 bis dello stesso art.13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Lavoro della Corte Suprema