Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 21953 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 21953 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 05/08/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 14130/2023 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rapp. p.t., elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME, come da procura speciale in atti.
-ricorrente-
contro
FALLIMENTO RAGIONE_SOCIALE (r. g. fall. n.27/2006) in persona del Curatore p.t.
-intimato- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO DELL’AQUILA n. 732/2023 pubblicata il 18/05/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24/04/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
RILEVATO CHE:
RAGIONE_SOCIALE (in breve, IFRAGIONE_SOCIALE) ha impugnato con un mezzo -con regolamento di competenza e/o, in subordine, con ricorso straordinario ai sensi dell’art.111, comma settimo, della Costituzione – la sentenza n.732/2023 della Corte di appello dell’Aquila che ha dichiarato inammissibile l’appello dalla stessa proposto avverso il decreto del 6 aprile 2021, con cui il Giudice delegato al fallimento RAGIONE_SOCIALE aveva dichiarato inammissibile la domanda di insinuazione tardiva da essa proposta per l’ammissione al passivo in via chirografaria del credito di euro 700.301,15=, oltre spese di insinuazione, in quanto aveva ritenuto la domanda tardivamente depositata per causa imputabile al creditore e, in ogni caso, prescritto il credito. Il fallimento RAGIONE_SOCIALE è rimasto intimato.
La ricorrente ha depositato istanza di trattazione congiunta con il ricorso n.r.g. 13944/2023.
È stata disposta la trattazione camerale.
CONSIDERATO CHE:
2.1.L’unico motivo denuncia l’erronea o falsa applicazione dell’art.161, secondo comma, c.p.c. e dei principi ivi contenuti in materia di nullità dei provvedimenti decisori, nonché dell’art.26 legge fall. e degli artt. 323 e 339 c.p.c. e delle norme in materia di competenza.
La ricorrente si duole che la Corte di appello, all’inizio della sua motivazione, citi la sentenza delle Sezioni Unite n. 9692 del 4.7.2002, ma solo per affermare che è necessario prima di tutto individuare il giudice competente a deci dere sull’impugnazione del decreto del G.D., senza poi considerare la restante parte della decisione citata, dove invece si riconosce implicitamente che il giudice competente è proprio anche la Corte di Appello.
– Preliminarmente il ricorso va qualificato come ricorso ordinario, non integrando lo stesso un regolamento di competenza.
Sempre preliminarmente va respinta la richiesta di riunione ad altro procedimento, non sussistendone i presupposti e non ravvisandosi ragioni di opportunità.
4.1.- Il motivo è infondato e va rigettato.
4.2.- È incontestato che la domanda di insinuazione tardiva sulla quale si è pronunciato il decreto del giudice delegato appellato deve ritenersi soggetta all’art. 101 del regio decreto n.267 del 16 marzo 1942 (legge fall.) nel testo anteriore alla sua integrale sostituzione in forza dell’art. 86 del d.lgs. n.5 del 9 gennaio 2006, entrato in vigore il 16 luglio 2006, ai sensi dell’art. 150 del d.lgs. n. 5/2006.
Nel caso di specie , sulla domanda di insinuazione tardiva proposta dalla RAGIONE_SOCIALE risultava pronunciato un decreto di inammissibilità da parte del giudice delegato -anziché una sentenza collegiale all’esito della istruzione della causa a norma degli artt. 175 e ss. c.p.c., che sarebbe stata necessaria in considerazione della contestazione del credito espressa dai curatori con motivato parere -senza previa fissazione della udienza di cui all’art. 101 legge fall. nel testo applicabile ratione temporis alla procedura.
Avverso tale decreto, ravvisandone l’inesistenza per difformità dal modello legale, RAGIONE_SOCIALE ha proposto appello che è stato dichiarato inammissibile.
La decisione impugnata risulta immune da vizi.
4.3.- Secondo la giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. n. 3810/2022; Cass. n. 9910/2021; Cass. n. 27428/2009) la cd. inesistenza giuridica o la nullità radicale di un provvedimento avente contenuto decisorio, erroneamente emesso da un giudice carente di potere o che emana un provvedimento abnorme, irriconoscibile come atto processuale di un determinato tipo, può essere, infatti, fatta valere in ogni tempo, mediante un’azione di accertamento negativo. Tuttavia, ciò non esclude che la parte
possa dedurre tempestivamente l’inesistenza giuridica con i normali mezzi di impugnazione, stante l’interesse all’espressa rimozione di un atto processuale efficace (in questo senso Cass. n. 10784/1999; v. anche Cass. n. 13171/2004; Cass. n. 26040/2005).
La giurisprudenza ha, infatti, ritenuto che, oltre all’ipotesi espressamente prevista dall’art. 161 c.p.c., secondo comma, (mancanza della sottoscrizione del giudice), è possibile configurare altri casi di cd. inesistenza giuridica della sentenza o di provvedimento decisorio e definitivo ad essa equiparabile, tutte le volte che, o il giudice sia carente di potere, o il provvedimento processuale emesso possa qualificarsi abnorme, perché privo di quel minimo di elementi o di presupposti tipizzanti, necessari per produrre certezza giuridica. Tali vizi, per lo più qualificati come ipotesi d’inesistenza giuridica o di nullità radicale ed insanabile, rilevabili anche d’ufficio, possono, però, essere fatti valere anche con gli ordinari mezzi di impugnazione, nei tempi e nei modi previsti dall’ordinamento, ove ricorra l’interesse della parte ad una. espressa rimozione del provvedimento processuale viziato, anche se materialmente esistente; interesse che coincide con quello del sistema che tende ad espellere dall’ordinamento i provvedimenti processuali errati o abnormi, anche mediante il ricorso nell’interesse della legge (art. 363 c.p.c.).
Nel caso in esame, è evidente che il giudice delegato, investito dell’esame di una domanda di ammissione al passivo tardiva da ritenersi soggetta all’art. 101 del regio decreto n.267 del 16 marzo 1942 (legge fall.) nel testo anteriore alla sua integrale sostituzione in forza dell’art. 86 del d.lgs. n.5 del 9 gennaio 2006, entrato in vigore il 16 luglio 2006, ai sensi dell’art. 150 del d.lgs. n. 5/2006, ha pronunciato un decreto di inammissibilità che risulta inesistente perché abnorme, in quanto in palese violazione di quanto previsto dall’art.101, terzo comma, cit., secondo il quale il giudice delegato decide con decreto l’ammissione del credito, ove non contestato dal
curatore, e altrimenti, nel caso -come il presente -in cui il curatore abbia contestato il credito, «il giudice provvede all’istruzione della causa a norma degli articoli 175 e seguenti del codice di procedura civile.» secondo il testo applicabile ratione temporis alla procedura; in effetti, il giudice delegato, nel presente caso, avrebbe dovuto procedere all’istruzione della causa.
4.5.- Tale provvedimento doveva essere impugnato mediante reclamo ex art.26 legge fall. dinanzi al Tribunale fallimentare – e così RAGIONE_SOCIALE ha anche fatto, come si evince dal procedimento n.r.g. 13944/2023 trattato separatamente nella medesima adunanza camerale dinanzi al medesimo Collegio -come ritenuto dalla Corte aquilana che, rettamente, ha dichiarato inammissibile l’appello.
4.6.- Tale conclusione è confermata dal principio affermato dalle Sezioni Unite n. 9692/2002, secondo il quale «Il decreto con il quale il giudice delegato, a fronte dell’opposizione del curatore, in luogo di provvedere alla istruzione della causa e rimettere la decisione al collegio, direttamente escluda, in tutto o in parte, il credito oggetto della domanda d’insinuazione tardiva al passivo della procedura fallimentare o comunque neghi il rango privilegiato prospettato, è atto radicalmente inesistente, in quanto emesso da un giudice privo di poteri decisori, e pertanto insuscettibile di produrre effetti giuridici; ne consegue che il giudice dinanzi al quale esso venga impugnato con uno dei mezzi previsti dal codice di rito non può pronunciare nel merito ne’ rimettere le parti dinanzi al primo giudice, ma deve limitarsi a dichiarare l’inesistenza del provvedimento impugnato, restituendo le parti nella situazione in cui esse si trovavano prima della pronuncia del provvedimento dichiarato inesistente.». Dalla lettura integrale della sentenza risulta, infatti, evidente che la formula «il giudice dinanzi al quale esso venga impugnato con uno dei mezzi previsti dal codice di rito» intende indicare in maniera omnicomprensiva l’accesso agli
strumenti di gravame al fine di esprimere il principio di diritto focalizzato proprio sull’impugnabilità del provvedimento inesistente e sugli effetti dell’impugnazione, e cioè « dichiarare l’inesistenza del provvedimento impugnato, restituendo le parti nella situazione in cui esse si trovavano prima della pronuncia del provvedimento dichiarato inesistente» , senza che ciò escluda – come rettamente ritenuto dalla Corte di merito -l’applicazione del rimedio impugnatorio proprio, previsto dal diritto fallimentare e costituito dal reclamo ex art.26 legge fall., e senza che ciò imponga di prescindere dal regime processuale proprio, applicabile ai sensi della legge fallimentare, e di fare, invece, ricorso agli strumenti impugnatori del codice di rito.
Del resto, le norme processuali devono essere interpretate in modo da favorire, per quanto possibile, che si pervenga ad una decisione di merito, mentre gli esiti inutili del processo costituiscono un’ipotesi residuale (v. tra le varie, Sez. U., Sentenza n. 27199/2017; Cass. n. 3810/2022), ed è chiaro che una decisione di merito deve essere il frutto anche dei rimedi impugnatori approntati dall’ordinamento.
5. -In conclusione, il ricorso va rigettato.
Non si provvede sulle spese in assenza di attività difensiva dell’intimato.
Raddoppio del contributo unificato, ove dovuto.
P.Q.M.
-Rigetta il ricorso;
-Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello relativo al ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima