Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 8088 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 8088 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 27/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso 1898 – 2019 proposto da:
NOME COGNOME, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME giusta procura in calce al ricorso, con indicazione degli indirizzi pec;
– ricorrente –
contro
GRANDINETTI DIONESI NOME COGNOME DIONESI NOME COGNOME DIONESI COGNOME NOME, NOME, elettivamente domiciliate in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME rappresentate e difese da ll’ avv. NOME COGNOME giusta procura allegata al controricorso, con indicazione de ll’ indirizzo pec;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 1407/2018 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, pubblicata il 10/7/2018, notificata il 26/10/2018; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 30/5/2024 dal consigliere NOME COGNOME
lette le memorie delle parti.
FATTI DI CAUSA
Con sentenza n. 1594/2013, il Tribunale di Catanzaro accolse l’opposizione proposta da NOME COGNOME COGNOME – poi proseguita dalle sue eredi – avverso il decreto ingiuntivo n. 8/01, con cui era stato ingiunto il pagamento, in favore dell’ing. NOME COGNOME della somma di £.17.252.277, quale corrispettivo per la redazione del piano di lottizzazione di alcuni terreni siti in San Pietro Apostolo, approvato con delibera consiliare n. 9/1995.
Il Tribunale fondò la decisione di revoca del decreto opposto sulla insussistenza di prova del conferimento, da parte di NOME COGNOME COGNOME dell’incarico professionale di cui era stato chiesto il compenso; ritenne che la prova orale articolata sul punto dall’ingegnere NOME dovesse ritenersi rinunciata, perché all’udienza del 12 febbraio 2004, successiva alla scadenza dei termini ex art. 183 cod. proc. civ., non era stata reiterata la richiesta di concessione dei termini di cui all’articolo 184 cod. proc. civ., ma, al contrario, erano state precisate le conclusioni e soltanto dopo sette udienze di rinvio, in data 15 ottobre 2007, era stato chiesto il suddetto termine ex art. 184 c.p.c., quando ormai le richieste istruttorie erano precluse; quindi, rilevò che anche dalla documentazione del giudizio precedentemente intercorso tra le parti e poi dichiarato estinto, acquisito agli atti, trovasse conferma il conferimento del compito per la redazione del progetto di lottizzazione soltanto da parte del terzo NOME COGNOME titolare della agenzia immobiliare RAGIONE_SOCIALE che, a sua volta, era stata incaricata da NOME COGNOME di raccogliere le
proposte di acquisto degli appezzamenti di terreno; infine, dichiarò inammissibile la domanda riconvenzionale formulata dall’opposto ai sensi dell’articolo 2041 cod. civ., non essendo stato allegato, con l’atto di citazione in opposizione, alcun fatto a sostegno della pretesa subordinata.
Avverso questa sentenza, NOME COGNOME propose appello per sette motivi, rappresentando, in particolare, con il primo, che il giudice fosse incorso in errore, ritenendo contestata l’esecuzione della prestazione, nonché, con il secondo, che non fossero stati considerati i documenti acquisiti nel fascicolo del precedente giudizio attestanti l’affidamento del compito professionale, nonché, con il terzo, censurando l’ulteriore parte di sentenza in cui il Tribunale aveva ritenuto di non poter verificare e valutare la “consistenza delle prestazioni eseguite”, nonché, con il quarto, contestando che il libero interrogatorio raccolto nel corso del precedente giudizio potesse provare che l’incarico fosse stato conferito dall’agente immobiliare COGNOME, nonché, con il quinto, riportando di aver dovuto precisare le conclusioni per disposizione del Giudice, nonché, con il sesto, rimarcando che lo stesso opponente aveva posto la questione dell’assenza di beneficio ricevuto dall’incarico e, infine, con il settimo, impugnando la condanna alle spese.
Con sentenza n. 1407/2018, la Corte d’appello di Catanzaro dichiarò inammissibile ogni motivo di appello, rilevando in particolare che la parte appellante non aveva tenuto conto del fatto che il primo Giudice aveva ritenuto che non era stato il proprietario dei terreni, COGNOME a conferire l’incarico, ma l ‘agente immobiliare incaricato di procedere alla lottizzazione e che la domanda ex art. 2041 cod. civ. era stata dichiarata inammissibile in quanto domanda riconvenzionale non conseguente alla difesa di parte opponente.
Avverso questa sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, affidato a sette motivi, a cui gli eredi COGNOME hanno resistito con controricorso; entrambe le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con i primi due motivi, articolati in riferimento ai n. 3, 4 e 5 del comma I dell’art. 360 n. 4 cod. proc. civ., NOME COGNOME ha sostenuto che la Corte d’appello, con motivazione «talmente sintetica da risultare apparente» non avrebbe spiegato, in falsa applicazione dell’art. 342 cod. proc. civ., perché la critica alla sentenza appellata concernente il mancato riscontro dello svolgimento dell’incarico professionale e della consistenza delle prestazioni svolte non fosse ammissibile in quanto formulata in violazione delle prescrizioni dell’art. 342 cod. proc. civ.; la censura, invece, sarebbe stata correttamente proposta per non incorrere nella formazione del giudicato formale sul punto della mancanza di prova dell’effettività e della consistenza della prestazione professionale espletata.
Con il terzo motivo, pure articolato in riferimento ai n. 3, 4 e 5 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., il ricorrente ha lamentato la violazione e falsa applicazione degli artt. 342 e 633, 634, 635, 636, 645 cod. proc. civ. e 2233 e 2697 cod. civ., per avere la Corte d’appello ritenuto inammissibile il motivo concernente la congruità delle somme pretese, laddove sul punto sarebbe stata proposta una censura, ancora una volta, per non incorrere nel giudicato sul punto.
Questi primi tre motivi, che possono essere esaminati congiuntamente per continuità di argomentazione, sono infondati.
La Corte d’appello ha ritenuto l’inammissibilità delle prime tre censure perché «il dato essenziale posto a base del rigetto della richiesta di pagamento formulata dal professionista è stato individuato nella mancata dimostrazione di conferimento dell’incarico da parte
dell’originario opponente». In particolare, ha rilevato che, nella formulazione dell’impugnazione, pareva «difettare la comprensione dei punti nodali della decisione», sicché le tesi svolte non «aggredivano» «in maniera simmetrica il tessuto motivazionale della pronuncia impugnata»: con il primo motivo di gravame l’appellante aveva doviziosamente illustrato di aver svolto l’incarico professionale, in particolare tutte le attività per cui aveva chiesto compenso, laddove «il dato essenziale posto a base del rigetto della richiesta di pagamento formulata dal professionista era stato individuato nella mancata dimostrazione di conferimento dell’incarico da parte dell’originario opponente»; ha sottolineato, quindi, che in nessuna parte della sentenza di primo grado era stata posta la questione della effettività dello svolgimento dell’incarico e della sua consistenza, né della congruità degli importi pretesi, perché il Tribunale si era fermato a rilevare che egli, a fronte della negazione dell’avvenuto conferimento dell’incarico , non aveva fornito alcun elemento probatorio in suo favore; in tal senso, allora, è stata ritenuta inconferente, rispetto alla decisione, l’argomentazione, esplicitata nel secondo dei motivi di appello, secondo cui il Tribunale non avrebbe considerato i documenti acquisiti nel fascicolo del precedente giudizio attestanti l’espletamento dell’incarico; per le stesse ragioni, è stato quindi giudicato inammissibile il motivo relativo alla quantificazione del compenso preteso.
Innanzitutto, allora, deve escludersi che la Corte d’appello abbia reso una motivazione meramente apparente: questa Corte ha, infatti, costantemente puntualizzato che, in seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del «minimo costituzionale» richiesto dall’art. 111, comma 6,
Cost., che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, nel senso della «mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico», ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconcilianti, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, restando così esclusa qualunque rilevanza del semplice «difetto di sufficienza» della motivazione. Ricorre, allora, il vizio denunciato con il secondo motivo quando la motivazione, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (v. tra le tante, in ultimo, Sez. U, n. 2767 del 30/01/2023, in motivazione, con numerosi richiami; Cass. Sez. 1, n. 7090 del 03/03/2022).
Nella specie, invero, non ricorre alcuna delle ipotesi appena descritte: la Corte territoriale ha reso, invece, una motivazione coerente in fatto e in diritto, perché effettivamente il rigetto della domanda era stato fondato dal Giudice di primo grado unicamente sulla mancanza di prova dell’avvenuto conferimento dell’incarico da parte dell’ingiunto opponente, senza alcuna statuizione in merito all’espletamento dell’incarico o alla quantificazione dei compensi.
In senso opposto, non rilevava la necessità, prospettata nei motivi di ricorso in esame, di riproporre le questioni per scongiurare la formazione del giudicato: invero, la nozione di «parte della sentenza» cui fa riferimento l’art. 329, comma secondo, cod. proc. civ., dettato in tema di acquiescenza implicita a cui si ricollega la formazione del giudicato interno, identifica soltanto le «statuizioni minime» costituite dalla sequenza fatto, norma ed effetto, suscettibili di acquisire autonoma efficacia decisoria nell’ambito della controversia; in
conseguenza l’appello, motivato con riguardo a uno soltanto degli elementi della suddetta statuizione minima suscettibile di giudicato, apre il riesame sull’intera questione che essa identifica ed espande nuovamente il potere del giudice di riconsiderarla e riqualificarla anche relativamente agli aspetti che, sebbene coessenziali alla statuizione impugnata, non siano stati singolarmente coinvolti, neppure in via implicita, dal motivo di gravame (cfr. Cass. Sez. 2, n. 16583 del 28/09/2012; Sez. L, n. 2217 del 04/02/2016).
Con il quarto motivo, ancora una volta articolato in riferimento ai n. 3, 4 e 5 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., l’ingegnere ha censurato il rigetto del suo quarto motivo di appello, avente ad oggetto la valutazione delle prove raccolte nel diverso giudizio poi estintosi, in particolare la documentazione amministrativa a firma dell’opponente COGNOME COGNOME e le dichiarazioni da quest’ultimo rese in interrogatorio libero: ancora una volta la Corte d’appello avrebbe reso una motivazione così stringata da risultare apparente, limitandosi ad affermare che «si profila priva di pregio in radice» la tesi secondo cui la prova dell’incarico fosse nell’avere l’opponente firmato i documenti posti a base delle istanze in sede amministrativa.
Con il quinto motivo, pure sussunto nelle stesse tre ipotesi di vizio del precedente, il ricorrente ha censurato la sentenza per avere la Corte d’appello ritenuto non sufficientemente argomentata la censura avverso la dichiarazione di inammissibilità dell’istanza di prova testimoniale sulla sussistenza del vincolo contrattuale con l’opponente proprietario del terreno.
5.1. Il quinto motivo, da esaminarsi, per logica, in precedenza, è fondato.
La Corte d’appello ha disatteso il motivo di impugnazione che aveva censurato la dichiarazione di inammissibilità dell’istanza di prova per testi, ritenendo sul punto, (pag. 7 della sentenza, primo e secondo
cpv), che «difettasse» «la concreta allegazione delle positive conseguenze in tesi ridondanti in caso di emanazione del diverso provvedimento invocato» e che «in altri termini, e pure rilevata la correttezza della determinazione processuale adottata dal giudice di prime cure a fronte della perdurante inerzia istruttoria, la parte appellante non risulta aver sufficientemente specificato i motivi che avrebbero condotto, nell’ipotesi in cui fossero state ammesse le prove genericamente richiamate, a ritenere dimostrata la fondatezza della tesi circa la sussistenza del vincolo contrattuale tra le asserite originarie parti del rapporto professionale».
Così argomentando, la Corte d’appello ha, in effetti, reso una motivazione meramente apparente perché non ha esaminato le ragioni di censura alla dichiarazione di inammissibilità della prova come espressa dal Tribunale, limitandosi ad affermarla come conforme a diritto, senza sindacarne l’effettiva corrispondenza ai principi elaborati da questa Corte sulla proposizione delle istanze istruttorie nei termini ex art. 184 cod. proc. civ., nella formulazione applicabile ratione temporis alla fattispecie (e, cioè, quella introdotta dall’art. 18 l. 26 novembre 1990, n. 353, precedente quella modificata dall’art. 23 lett. c-ter) d.l. 14 marzo 2005, n. 35, conv. con modif., in l. 14 maggio 2005, n. 80, come modificato dall’art. 1, comma 1 lett.b) l. 28 dicembre 2005, n. 263, applicabile soltanto dal 1° marzo 2006).
Sul punto, deve rilevarsi che, come sottolineato da parte ricorrente, lo stesso Giudice di primo grado, con l’ordinanza del 20/3/2003, sciogliendo la riserva formulata sull’istanza di concessione di termini ex art. 184 cod. proc. civ., aveva, invece, invitato le parti a precisare le loro conclusioni esclusivamente sulla questione pregiudiziale di litispendenza del giudizio di opposizione con altro giudizio instaurato tra le stesse parti, dinnanzi alla Sezione stralcio dello stesso Tribunale.
In tal senso, la presunzione di rinuncia fondata dal primo Giudice sulla mancata reiterazione della istanza ex art. 184 cod. proc. civ. in quella udienza di precisazione delle conclusioni non è stata correttamente motivata: come già stabilito da questa Corte, infatti, quando la causa viene trattenuta in decisione per decidere immediatamente una questione pregiudiziale di rito o preliminare di merito, ai sensi dell’art. 187 cod. proc. civ., il solo fatto che la parte non abbia, nel precisare le conclusioni, reiterato le istanze istruttorie già formulate non consente al giudice di ritenerle abbandonate, se una volontà in tal senso non risulti in modo inequivoco (Cass. Sez. 3, n. 8576 del 29/05/2012; Sez. 1, n. 4487 del 19/02/2021).
La Corte d’appello, pertanto, in corretta applicazione dei principi suesposti, avrebbe dovuto provvedere alla rivalutazione della presunzione di rinuncia alle istanze istruttorie come ritenuta dal primo Giudice e allo scrutinio dell’ammissibilità della istanza dell’appellante Cristiano in riferimento ai fatti e ai principi da lui richiamati e cioè, come riportato nella stessa sentenza, alla riproposizione della richiesta sia dopo alcuni «meri rinvii», sia nella udienza di precisazione delle conclusioni in primo grado, sia in atto di appello e, poi, nella precisazione delle conclusioni di secondo grado.
Esclusa la rinuncia all’istanza probatoria , la Corte territoriale avrebbe dovuto, quindi, esprimere un giudizio sulla rilevanza delle circostanze articolate, non subordinandone la valutazione alla sufficienza delle allegazioni sul punto dell’appellante, come invece ha fatto: la prova testimoniale articolata, invero, verteva proprio sul conferimento del mandato, come risulta dalla precisazione delle conclusioni richiamata in ricorso, riportata in sentenza e allegata in copia al ricorso ex art. 369 cod. proc. civ., ai fini della delibazione della decisività come rimessa allo scrutinio di questa Corte.
In accoglimento del motivo, la sentenza impugnata deve, pertanto, essere cassata.
5.1. Dall’accoglimento del quinto motivo consegue logicamente l’assorbimento del quarto motivo in quanto vertente sulla valutazione del materiale probatorio acquisito dall’altro giudizio: questa valutazione dovrà essere, infatti, evidentemente ripetuta in conseguenza della cassazione della sentenza impugnata.
Dall’accoglimento del quinto motivo consegue anche l’assorbimento del sesto motivo, con cui è stata censurata la dichiarazione di inammissibilità della domanda subordinata ex art. 2041 cod. civ.; in conseguenza della cassazione, infatti, la Corte d’appello dovrà provvedere al riesame, in rito e in merito, di ogni questione subordinata all’esame della domanda principale.
Per le stesse considerazioni è assorbito il settimo motivo concernente la statuizione sulle spese di primo grado.
Il ricorso è perciò accolto nel quinto motivo, assorbiti il quarto, il sesto e il settimo e rigettati il primo, il secondo e il terzo; la sentenza impugnata è, perciò cassata con rinvio alla Corte d’appello di Catanzaro, in diversa composizione, che dovrà provvedere in attuazione dei rilievi e dei principi suindicati; decidendo in rinvio, statuirà anche sulle spese di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il quinto motivo di ricorso, assorbiti il quarto, il sesto e il settimo e rigettati il primo, il secondo e il terzo; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Catanzaro, in diversa composizione, anche per le spese di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda