Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 15911 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 15911 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 14/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9852/2022 R.G. proposto da : NOME, elettivamente domiciliata in Palermo INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
CURATELA DEL FALLIMENTO SIC ROM DI NOME COGNOME E ROMANO RAGIONE_SOCIALE
-intimata- avverso il decreto del TRIBUNALE di TERMINI IMERESE n. 2823/2019 depositato il 11/03/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29/04/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il G.D. del Tribunale di Termini Imerese ha rigettato l’istanza di insinuazione al passivo del fallimento RAGIONE_SOCIALE di NOME e NOME RAGIONE_SOCIALE proposta da NOME COGNOME per il credito complessivo di € 7.800,00 vantato a titolo di importi indebitamente pagati dall’istante e, segnatamente, quanto ad € 3.000,00 a titolo di acconto per l’esecuzione dei lavori di rifacimento di una terrazza, in realtà, mai eseguiti dalla fallita, e, quanto ad € 4.800,00, per il versamento dell’IVA relativa ad un immobile acquistato dalla società fallita di cui non era stata rilasciata regolare fattura, con la conseguenza che tale spesa era risultata priva di giustificazione.
Il G.D. ha fondato la decisione di rigetto sul rilievo che l’istante non aveva dato prova che i due assegni di € 3.000,00 e di € 4.800, 00, peraltro intestati al fallito e non alla società, fossero stati incassati dallo stesso fallito, mancando, in ogni caso, ogni prova del rapporto sottostante al presunto credito della ricorrente.
Il Tribunale di Termini Imerese ha rigettato l’opposizione allo stato passivo proposta dalla COGNOME osservando che quest’ultima non aveva fornito prova di aver effettivamente versato alla società venditrice la somma di cui chiedeva la restituzione. In particolare, con l’opposizione ex art. 98 L.F., la COGNOME si era limitata a depositare le matrici dei due assegni asseritamente a versati a titolo di acconto per i lavori di rifacimento della terrazza e a titolo di IVA, ma senza dimostrare l’effettivo incasso dei due titoli. Soltanto all’udienza del 9 febbraio 2021, l’opponente aveva tardivamente chiesto di poter depositare la copia integrale degli assegni muniti della firma girata per incasso, peraltro intestati al NOME NOME e non alla fallita,
con la conseguenza che l’opponente era incorso nella decadenza dalla prova.
Avverso il predetto decreto ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME affidandolo a sette motivi.
L’intimata non ha svolto difese.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 99 L.F.. Espone la ricorrente che nel ricorso in opposizione ex art. 98 aveva evidenziato che, alla luce delle ragioni che avevano spinto il G.D. a rigettare l’istanza di ammissione al passivo, aveva provveduto a richiedere alle Poste Italiane copia degli assegni muniti di girata per l’incasso da cui si evinceva che i due titoli erano stati effettivamente incassati. Dunque, i due assegni non erano stati prodotti in originale (che resta in possesso della banca che ne rilascia copia a richiesta) con il ricorso ex art. 98 L.F. perché Banca Poste Italiane non li aveva rilasciati nel brevissimo termine imposto dalla legge per la proposizione dell’opposizione allo stato passivo.
Una volta ricevute le copie degli assegni da Poste Italiane, la ricorrente, alla prima udienza utile, aveva chiesto al Tribunale di autorizzarne la produzione e il Tribunale si era riservato su tale richiesta, non sciogliendo la riserva con un’ordinanza ammissiva o reiettiva della produzione, ma con il decreto conclusivo del procedimento, sorprendendo in tal modo la difesa dell’opponente, che non aveva avuto modo di difendersi sulla mancata ammissione della produzione.
La richiesta di produzione delle copie integrali dei due assegni, esaminata congiuntamente al testo del ricorso, doveva essere interpretata, ove necessario, come richiesta di rimessione in termini.
In ogni caso, non poteva essere dichiarata alcuna decadenza in danno della ricorrente, la quale non aveva immediatamente
prodotto i documenti in oggetto senza sua colpa, non potendoli avere a disposizione se non fossero stati, a loro volta, trasmessi da Poste Italiane, risultando comunque l’avvenuta richiesta.
La decisione del Tribunale aveva integrato la violazione dell’art. 99 L.F., essendo stata comminata una decadenza non prevista dalla norma di legge che prevede che il ricorso debba contenere la mera indicazione dei mezzi istruttori dei quali intenda avvalersi.
In subordine al precedente motivo, è stata dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 153 comma 2° L.F.
Espone la ricorrente che il Tribunale avrebbe dovuto interpretare la richiesta di produzione dei due assegni, formulata all’udienza del 9.2.2021, come implicita istanza di rimessione in termini e, al contempo, ritenere la ricorrenza dei due elementi a tal fine richiesti, ovvero l’esistenza di un fatto ostativo esterno alla volontà della parte, non governabile da quest’ultima, e l’immediatezza della reazione diretta a superarlo (immediata produzione dei titoli alla prima udienza utile non appena pervenuti alla ricorrente).
La ricorrente aveva dimostrato di aver richiesto alle Poste Italiane la copia integrale degli assegni e di non averla ancora ottenuta, con la conseguenza che il giudice di merito aveva comminato la decadenza a fronte di un comportamento non colpevole della ricorrente.
Entrambi i motivi, da esaminarsi unitariamente in relazione alla stretta connessione delle questioni trattate, sono infondati.
Ad avviso della ricorrente, il Tribunale di Imerese, nel ritenere tardiva la produzione in giudizio delle copie integrali degli assegni di cui è causa, contenenti la girata per l’incasso avvenuta all’udienza del 9.2.2021 e non contestualmente al deposito del ricorso ex art. 98 L.F. – e nel pronunciare la decadenza dalle prove, sarebbe incorso nella violazione dell’art. 99 L.F.
In particolare, il Tribunale non avrebbe considerato che l ‘ istanza di autorizzazione alla produzione delle copie integrali dei due assegni,
svolta alla predetta udienza, unitamente alla deduzione già svolta nel ricorso ex art. 98 L.F. che era stato richiesto a Poste Italiane il rilascio dei due assegni, avrebbe dovuto essere interpretata come richiesta implicita di rimessione in termini, ex art. 153 L.F., essendo la mancata tempestiva produzione in giudizio dei due titoli stata dovuta a causa alla stessa non imputabile.
Questo Collegio non condivide l’impostazione della ricorrente.
In primo luogo, non è pertinente il richiamo, contenuto nel primo motivo, al disposto dell’art. 99 L.F., che prevede che il ricorso debba contenere la mera indicazione dei mezzi istruttori dei quali il ricorrente intenda avvalersi e non la loro produzione in giudizio.
Premesso che, come costantemente osservato da questa Corte a partire dall’ordinanza n. 12548/2017 (conf. Cass. n. 5570/2018; Cass. n. 25663/2020; Cass. n. 9593/2021 e molti altri), la norma che impone al ricorrente ex art 98 L.F. l’indicazione specifica dei mezzi di prova di cui intende avvalersi e dei documenti prodotti esonera effettivamente il creditore dal produrre contestualmente all’introduzione del giudizio di opposizione i documenti già allegati alla domanda di insinuazione al passivo (richiedendo soltanto la necessità di elencare, nell’atto introduttivo, i documenti già dimessi e versati agli atti del fascicolo fallimentare), il caso di specie è nel senso che le copie integrali degli assegni di cui è causa, depositati dalla ricorrente all’udienza del 9 febbraio 2021, non erano tra i documenti già prodotti con l’istanza di insinuazione al passivo, ma documenti nuovi.
Orbene, con riferimento a tale tipologia di documenti, in relazione alla ratio di concentrazione processuale che emerge dall’intero dettato dell’art. 99, comma 2, n. 4 legge fall. (che ha indotto il legislatore ad imporre all’opponente ex art. 98 legge fall. di indicare, in via ultimativa ed al momento del ricorso, tutti i mezzi di prova ed i documenti di cui intende avvalersi innanzi al tribunale, sicché è solo quel materiale che ha titolo per restare nel processo),
deve escludersi che, nel corso del giudizio, lo stesso opponente abbia la possibilità di avvalersi di mezzi di prova nuovi o di documenti differenti da quelli già prodotti ed indicati nell’atto introduttivo.
Né la ricorrente può affermare che la mancata produzione tempestiva delle copie integrali degli originali degli assegni di cui è causa fosse stata dovuta a causa alla stessa non imputabile, sul rilievo che Poste Italiane, al momento del deposito del ricorso ex art. 98 L.F. non aveva ancora rilasciato tali copie, nonostante la sua richiesta.
La ricorrente non risulta, in primo luogo, aver formulato nel ricorso ex art. 98 L.F. istanza ex art. 210 c.p.c. di esibizione dell’originale del titolo, né, d’altra parte, ha considerato che la legge fallimentare, e, segnatamente, l’art. 96 comma 2° n. 2, contempla espressamente l’ipotesi in cui il creditore non sia in grado, per fatto allo stesso non riferibile, di produrre il titolo (ovviamente l’originale dello stesso). In particolare, tale norma prevede che il creditore possa chiedere -ed ottenere l’ammissione al passivo con riserva di produzione in un momento successivo dell’originale del titolo.
Nel caso di specie, la ricorrente non ha ritenuto, già dalla fase di verifica dello stato passivo, di avvalersi dell’opportunità, offerta dalla predetta norma della legge fallimentare, di chiedere l’ammissione del proprio credito con riserva della produzione delle copie integrali degli originali degli assegni contenenti la girata per l’incasso.
In tal caso, ove il G.D. avesse eventualmente negato l’ammissione con riserva ex art. 96 comma 2° n. 3 L.F., la ricorrente avrebbe potuto far valere la violazione della predetta norma nel giudizio di opposizione allo stato passivo.
Ne consegue che il creditore che, come nel caso di specie, abbia chiesto l’ammissione al passivo ‘piena’, senza sollevare la questione della mancanza del titolo in originale, e confidando che i
documenti prodotti in sede di insinuazione alla stato passivo giudizio (nel caso di specie, le semplici matrici degli assegni) fossero comunque idonei a provare il proprio credito, non può sollevare questione nel giudizio di opposizione ex art. 98 L.F., chiedendo, inammissibilmente, una rimessione in termini in violazione delle preclusioni di cui all’art. 99 L.F. (sul punto vedi Cass. n 31689/2024, non massimata). Difatti la scelta processuale del creditore di presentare domanda c.d. ‘piena’, e non con riserva della produzione dell’originale del titolo, è senz’altro allo stesso pienamente imputabile.
Deve, pertanto, essere enunciato il seguente principio di diritto:
‘Il creditore che, in sede di verifica di stato passivo, non presenta una domanda di ammissione con riserva di produzione dell’originale del titolo, ex art. 96 L.F., non può, in sede di opposizione ex art. 98 L.F., ove non sia stato prodotto contestualmente con il deposito del ricorso, produrre tale originale nel corso del giudizio, invocando la rimessione in termini ex art. 153 L.F., essendo quella di presentare domanda di insinuazione al passivo c.d. ‘piena’ (anziché con riserva) una scelta processuale direttamente imputabile allo stesso ‘.
Con il terzo motivo è stata è dedotta la nullità della sentenza, a norma dell’art. 360 comma 1° n. 4 c.p.c., per mancanza di motivazione e motivazione apparente.
La ricorrente si duole che il Tribunale ha rigettato l’istanza di insinuazione al passivo della somma di € 4.800,00, pagata dalla ricorrente a titolo di IVA evidenziando la ‘genericità della contestazione’.
Sul punto, la ricorrente deduce che tale motivazione non tiene conto del fatto che l’opponente aveva prodotto, con il ricorso ex art. 98 L.F., l’atto di compravendita dell’appartamento, da cui risultava che il prezzo pagato di € 120.000,00 per l’appartamento non era comprensivo di IVA e che l’IVA non era stata pagata in
seno all’atto, come emergeva dalle clausole del contratto di compravendita e dal totale dei pagamenti che risultavano effettuati, come documentati nello stesso contratto.
In subordine al precedente motivo, con il quarto motivo è stato dedotto l’omesso esame, ex art. 360 comma 1° n. 5 c.p.c., di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.
Espone la ricorrente che il mancato esame del contratto di compravendita e, in particolare degli articoli trascritti nel precedente motivo, integri gli estremi della violazione di cui all’art. 360 comma 1° n. 5 c.p.c.: se il Tribunale avesse rilevato tale fatto, non avrebbe potuto ritenere generica l’opposizione sul punto.
Il terzo ed il quarto motivo, da esaminare unitariamente in relazione alla stretta connessione delle questioni trattate, sono inammissibili per difetto di autosufficienza.
Va osservato che la ricorrente si è limitata a dedurre che, unitamente al ricorso ex art 98 L.F., aveva depositato il contratto di compravendita con la fallita, contenenti numerose clausole, il cui contenuto ha provveduto ad illustrare nel dettaglio nel ricorso per cassazione. Tuttavia, la ricorrente non ha minimamente fatto cenno al ‘come’ e al ‘dove’ avesse illustrato il contenuto di tali clausole nel ricorso ex art. 98 L.F., né come avesse sottoposto al giudice di merito la questione dell’IVA del contratto di compravendita.
Il ricorso è, pertanto, sul punto, privo del requisito della necessaria specificità, con la conseguenza che l’affermazione del decreto impugnato secondo cui la contestazione della ricorrente sulla questione dell’IVA fosse generica resta non sindacabile e il vizio di motivazione del decreto impugnato si palesa insussistente.
Con il quinto motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 98 e 99 L.F., 101, 183, 184, 186, 187, 188, 189 e 190 c.p.c.
La ricorrente lamenta la nullità del provvedimento impugnato sul rilievo che, all’udienza del 9.2.2021, la causa era stata posta in
riserva sulle istanze istruttorie formulate dalla difesa della ricorrente, mentre, inopinatamente, il Tribunale aveva sciolto la riserva decidendo con una pronuncia di rigetto l’intero giudizio e non solo pronunciandosi sulle istanze istruttorie, e quindi senza alcuna scansione processuale tra fase istruttoria e fase decisoria, e senza fissare un’udienza di precisazione delle conclusioni. La ricorrente non era stata quindi posta in condizione di interloquire sul provvedimento di rigetto delle istanze istruttorie, che ben avrebbe potuto riproporre in sede di precisazione delle conclusioni o nella fase conclusiva del procedimento
Ciò aveva determinato un grave pregiudizio del diritto di difesa e un vulnus del principio del contraddittorio, consacrato dall’art. 101 c.p.c.
Il motivo presenta concomitanti profili di inammissibilità ed infondatezza.
Va, in primo luogo, osservato che il motivo difetta del necessario requisito di autosufficienza e specificità nella parte in cui viene affermato che, all’udienza del 9.2.2021, la causa sarebbe stata posta in riserva sulle istanze istruttorie formulate dalla difesa della ricorrente.
Il ricorrente non ha adempiuto al proprio onere di allegazione, non indicando l’esatto contenuto dell’ordinanza del 9.2.2021.
In ogni caso sul merito della doglianza va osservato che il rito fallimentare, per le esigenze di speditezza che lo connotano, non prevede affatto -come, invece, invocato dalla ricorrente – una scansione processuale tra fase istruttoria e fase decisoria, né la fissazione di un’udienza di precisazione delle conclusioni. È soltanto previsto, su istanza di parte, la concessione di un termine per l’eventuale deposito di memorie. Diversamente, il Giudice può immediatamente far discutere la causa e riservarsi di riferire al collegio per la decisione.
Con il sesto motivo è stata dedotta la nullità della sentenza ex art. 360 comma 1° n. 4 c.p.c., per mancanza di motivazione e motivazione apparente, e, in subordine, per violazione degli artt. 147 e 148 L.F.
Espone la ricorrente che il Tribunale aveva rilevato che entrambi gli assegni prodotti non erano intestati alla società, ma tale affermazione, non essendo stata accompagnata da nessuna altra notazione, costituiva un obiter dictum e non entrava a far parte della decisione, tanto è vero che il Tribunale non aveva dichiarato irrilevante la produzione degli assegni a causa della loro intestazione alla società, ma aveva dichiarato inammissibile la produzione documentale.
In denegata ipotesi, la ricorrente rileva che gli assegni erano comunque intestati al socio illimitatamente responsabile NOME, pure lui dichiarato fallito.
Il motivo è inammissibile per carenza di interesse.
Come evidenziato dalla ricorrente, l’affermazione del tribunale secondo cui gli assegni di cui è causa erano ‘ entrambi peraltro intestati al NOME e non alla società fallita’ integra una argomentazione svolta ad abundantiam , e, quindi, priva di effetti giuridici e ininfluente ai fini della decisione, di modo che la parte soccombente non ha l’onere né l’interesse ad impugnarla.
Con il settimo motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 91 c.p.c. sul rilievo che le spese di lite avrebbero dovuto essere poste a carico della curatela che avrebbe dovuto risultare soccombente.
Il motivo è privo di autonomia, contestando la statuizione sulle spese di lite come mera conseguenza dell’esito del ricorso, ed è pertanto inammissibile.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del DPR 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del
ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1° bis dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma il 29.4.2025