Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 416 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 416 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 08/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 32026 R.G. anno 2020 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE quale rappresentante di RAGIONE_SOCIALE, mandataria di RAGIONE_SOCIALE , rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
ricorrente
contro
COGNOME NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME domiciliat o presso l’avvocato NOME COGNOME;
contro
ricorrente
avverso la sentenza della Corte di appello di Milano n. 2539/2020, pubblicata il 12 ottobre 2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12 ottobre 2020 dal consigliere relatore NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
─ Il Tribunale di Milano, con sentenza del 7 settembre 2018, ha respinto l’opposizione proposta da NOME COGNOME avverso il decreto ingiuntivo pronunciato nei suoi confronti sul ricorso di Banca Nazionale del Lavoro s.p.a.: decreto emesso per l’importo di euro 200.000,00; l’intimato era stato chiamato a rispondere, quale fideiussore, dell’esposizione debitoria dell’obbligata principale BC&D s.r.l., la quale ammontava da euro 339.566,17 ed era riferita ad un conto corrente e a due conti anticipi.
2 . ─ In sede di gravame è stata sollevata, da parte de ll’appellante COGNOME, la questione relativa alla nullità della fideiussione per contrasto con la normativa antitrust.
La Corte di appello ha riconosciuto il fondamento di tale deduzione, ha dichiarato la nullità della fideiussione prestata e revocato il decreto ingiuntivo opposto.
-Ricorre per cassazione, facendo valere quattro motivi, RAGIONE_SOCIALE, quale rappresentante di RAGIONE_SOCIALE, mandataria di RAGIONE_SOCIALE, cessionaria del credito azionato monitoriamente. Resiste con controricorso COGNOME. La ricorrente ha depositato memoria. Il Procuratore Generale ha concluso per l’accoglimento del primo motivo.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Col primo motivo è denunciata la violazione dell’art. 345 e dell’art. 113 c.p.c., oltre che dell’art. 1 delle preleggi.
Ci si duole che la Corte di appello abbia fondato la propria decisione sul provvedimento della Banca d’Italia n. 55 del 2005, sebbene il documento relativo sia stato prodotto soltanto in appello e fosse inoperante nella fattispecie il principio iura novit curia , visto che l’atto in questione risulta essere privo di carattere normativo.
Col secondo motivo sono denunciate violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 33 l. n. 287 del 1990.
Col terzo si oppone la violazione e falsa applicazione dell’art. 2 l. n. 287/1990, oltre che degli artt. 1418, 1419 e 1345 c.c..
I due mezzi vertono sul medesimo tema. Con essi l ‘istante si duole della declaratoria di nullità dell’art. 6 del contratto di fideiussione rilevando come l’unica forma di tutela esperibile dal prestatore della garanzia, in caso di negozio posto in essere a fronte di intese anticoncorrenziali a monte, sia rappresentata dal rimedio risarcitorio.
Il quarto motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c.. Si lamenta che la Corte di merito abbia pronunciato la nullità della art. 6 del contratto limitandosi a rilevare che la disposizione sia identica a quella contenuta nello schema contrattuale tipo predisposto dall’ABI, preso in considerazione nel nominato provvedimento della Banca d’Italia, «senza che ne risultasse dimostrata l’applicazione uniforme, nonostante il citato provvedimento sanzioni l’uso uniforme -e non già occasionale -di quello schema negoziale».
Il primo motivo è fondato.
3. Fa da sfondo alla vicenda controversa il principio di diritto, enunciato dalle Sezioni Unite di questa Corte, per cui i contratti di fideiussione «a valle» di intese dichiarate parzialmente nulle dall’Autorità Garante, in relazione alle sole clausole contrastanti con gli artt. 2, comma 2, lett. a), della l. n. 287 del 1990 e 101 del TFUE, sono parzialmente nulli, ai sensi degli artt. 2, comma 3 della legge citata e dell’art. 1419 c.c., in relazione alle clausole che riproducono quelle dello schema unilaterale costituente l’intesa vietata -perché restrittive, in concreto, della libera concorrenza -, salvo che sia desumibile dal contratto, o sia altrimenti comprovata, una diversa volontà delle parti (Cass. Sez. U. 30 dicembre 2021, n. 41994).
4 . -La Corte di appello ha ritenuto nulla la clausola di cui all’art. 6 del contratto di fideiussione per cui è causa rilevando che le condizioni di tale negozio, tra cui era ricompresa la richiamata clausola, riproducevano lo schema concordato tra ABI e alcune organizzazioni di
tutela dei consumatori; ha aggiunto che la Banca d’Italia, quale autorità di vigilanza preposta fino all’11 gennaio 2006 all’applicazione della disciplina relativa alle intese restrittive della concorrenza nei confronti delle aziende e degli istituti di credito, aveva adottato in data 2 maggio 2005, su parere conforme dell’AGCM, un provvedimento, a carico di ABI, relativo a tale schema; ha precisato che nell’occasione la Banca d’Italia aveva ritenuto che le clausole di cui agli artt. 2, 6 e 8 del detto schema risultassero essere in contrasto con l’art. 2, comma 2, lett. a), l. n. 287/1990 nella misura in cui fossero state applicate in modo uniforme e che la clausola di cui all’art. 6 dello schema in questione avesse il medesimo contenuto della clausola identificata con lo stesso numero d’ordine nella lettera di fideiussione sottoscritta dall’appellante. La Corte di appello ha aggiunto che il provvedimento della Banca d’Italia possiede un’elevata attitudine a provare la condotta anticoncorrenziale e che il giudice di merito è tenuto a verificare se le disposizioni contenute contrattualmente coincidano con le condizioni dell’intesa restrittiva; ha aggiunto: «Tale verifica, nel caso di specie, ha esito positivo, essendo la clausola n. 6 contenuta nella fideiussione de qua ». In conclusione, secondo la Corte territoriale, stante la nullità della clausola derogativa dell’art. 1957 c.c., doveva darsi atto della decadenza del creditore dal diritto di esigere la prestazione dal suo fideiussore , per l’appunto COGNOME.
5 . -La motivazione della sentenza impugnata si regge, dunque, sul portato dell’accertamento compiuto dalla Banca d’Italia col provvedimento n. 55 del 2005, il cui testo è trascritto in un documento prodotto dall’odierno controricorrente nel giudizio di appello, e sull’affermazione, resa possibile dall’acquisizione di quel documento, che l’intesa restrittiva vietata ricomprendesse anche la previ sione trasfusa in una clausola del contratto di fideiussione per cui è lite.
6 . -Il tema della nullità, estraneo al giudizio di primo grado, poteva, in sé avere ingresso avanti alla Corte distrettuale: il Collegio
reputa difatti non condivisibile il principio, enunciato da Cass. 17 luglio 2023, n. 20713, per cui le nullità negoziali che non siano state rilevate d’ufficio in primo grado sono suscettibili di tale rilievo in grado di appello o in cassazione, a condizione che i relativi fatti costitutivi siano stati ritualmente allegati dalle parti. Il rilievo d’ufficio delle eccezioni in senso lato non è subordinato alla specifica e tempestiva allegazione della parte ed è ammissibile anche in appello, dovendosi ritenere sufficiente che i fatti risultino documentati ex actis , in quanto il regime delle eccezioni si pone in funzione del valore primario del processo, costituito dalla giustizia della decisione, che resterebbe svisato ove anche le questioni rilevabili d’ufficio fossero subordinate ai limiti preclusivi di allegazione e prova previsti per le eccezioni in senso stretto (Cass. Sez. U. 7 maggio 2013, n. 10531; in senso conforme: Cass. 26 febbraio 2014, n. 4548; Cass. 31 ottobre 2018, n. 27998). Ciò significa che un’eccezione in senso lato non può trovare accoglimento in appello se le prove su cui si fonda non sono state acquisite tempestivamente al giudizio. In definitiva, a mmettere in appello l’allegazione (o la rilevazione ufficiosa) di nuove eccezioni in senso lato, secondo quanto consente l’ art. 345, secondo comma, c.p.c. « non significa anche ammettere nuove prove, anche documentali, ancorché dirette a provare i fatti allegati ad oggetto di dette eccezioni » (Cass. 23 febbraio 2024, n. 4867).
7 . -La prova delle eccezioni in senso lato non può dunque essere fornita, per la prima volta in appello, ai sensi dell’art. 345, comma 3, c.p.c., rimettendo in moto una fase procedimentale che deve considerarsi ormai chiusa, in ossequio al principio dell’ordinato svolgimento del processo, desumibile dagli artt. 111, comma 2, Cost. e 6 CEDU (Cass. 1 febbraio 2023, n. 2963). Ciò vale anche per la nullità contrattuale, che costituisce materia di una eccezione dell’indicata natura: infatti, la nullità del contratto è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio, ma a condizione che i relativi presupposti di fatto,
anche se non interessati da specifica deduzione della parte interessata, siano stati acquisiti al giudizio di merito nel rispetto delle preclusioni maturate, non essendo consentito ammettere nuove prove funzionali alla dimostrazione degli stessi (Cass. 23 febbraio 2024, n. 4867, cit.).
8 . -Ora, alla presente causa è applicabile la nuova formulazione dell’art. 345, comma 3, c.p.c., introdotta dal d.l. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 134 del 2012; rileva, infatti, in difetto di un’espressa disciplina transitoria ed in base al generale principio processuale tempus regit actum , che la sentenza conclusiva del giudizio di primo grado sia stata pubblicata dopo l’11 settembre 2012 (per tutte: Cass. 28 luglio 2021, n. 21606).
Nella fattispecie opera quindi il divieto di ammissione, in appello, di nuovi mezzi di prova e documenti, salvo che la parte dimostri di non avere potuto proporli o produrli per causa non imputabile.
In tale versione dell’art. 345, comma 3, c.p.c ., l’unica eccezione al divieto di ammissione di nuove prove costituende e alla produzione di nuovi documenti – a parte il caso del giuramento decisorio, che può essere sempre deferito è quindi legata all’evenienza della causa non imputabile alla parte: occorre, cioè, che ricorra una ipotesi per la rimessione in temini del soggetto processuale che sia incorso in una decadenza processuale relativa all ‘istanza di prova o alla produzione documentale. Può notarsi al riguardo, come alla « causa non imputabile » facciano riferimento sia l’art. 345, comma 3 , c.p.c. che l’art. 153, comma 2, c.p.c.: norma, quest’ultima, che regola, per l’ appunto, la rimessione in termini operante per porre rimedio a ll’inerzia della parte a fronte dello spirare di un termine perentorio.
9 . – Il controricorrente ha sostenuto che la produzione in appello del documento recante il testo del provvedimento della Banca d’Italia sarebbe ammissibile in quanto solo con la sentenza n. 29810 del 12 dicembre 2017 questa Corte di cassazione ha affermato la nullità dei contratti stipulati tra i privati a valle di un’intesa anticoncorrenziale.
L’argomento non può essere condiviso.
Alla nozione di « causa non imputabile » è concettualmente estraneo l’errore derivante dalla scelta processuale della parte (si veda, con riferimento all’opzio ne determinata dall’inter pretazione della norma processuale Cass. Sez. U. 12 febbraio 2019, n. 4135, che sul punto richiama, in motivazione, Cass. 8 marzo 2017, n. 5946, Cass. 19 settembre 2017, n. 21674 e Cass. 22 aprile 2015; nel senso che non sia riconducibile alla causa non imputabile la scelta discrezionale della parte di non opporre u n’eccezione sostanziale, quale è quella di prescrizione, cfr. Cass. 25 marzo 2011, n. 7003). Il fideiussore non può dunque far valere come causa non imputabile dell’ intempestiva produzione documentale il dato della mancata emersione, all’epoca in cui si celebrò il giudizio di primo grado, di un orientamento di giurisprudenza di legittimità stabilizzatosi solo nel periodo successivo. Incombeva al ricorrente, nel quadro della definizione della strategia processuale più idonea a contrastare la pretesa contro di lui azionata, valutare le conseguenze del nominato provvedimento della Banca d’Italia e decidere se proporre difese fondate su di esso, attivandosi, in caso affermativo, nel senso di produrre la pertinente documentazione.
10 . –COGNOME ha pure opposto che la banca non avrebbe eccepito la tardività della produzione documentale, né contestato il contenuto dello scritto.
La deduzione è infondata sotto entrambi i profili.
Per un verso, le norme che prevedono preclusioni assertive ed istruttorie nel processo civile sono preordinate a tutelare interessi generali e la loro violazione è sempre rilevabile d’ufficio, anche in presenza di acquiescenza della parte legittimata a dolersene (per tutte: Cass. 26 giugno 2018, n. 16800; Cass. 18 marzo 2008, n. 7270): la Corte distrettuale, quindi, avrebbe dovuto comunque porsi il problema della tardività della produzione documentale.
Per altro verso, il principio di non contestazione di cui all’art. 115
c.p.c. ha per oggetto fatti storici sottesi a domande ed eccezioni e non può riguardare le conclusioni ricostruttive desumibili dalla valutazione di documenti (Cass. 23 maggio 2024, n. 14399; Cass. 17 novembre 2021, n. 35037) e tantomeno i documenti in sé considerati, rispetto ai quali vi è soltanto l’onere di eventuale disconoscimento, nei casi e nei modi di cui all’art. 214 c.p.c. (Cass. 6 aprile 2016, n. 6606): senza contare che il principio di non contestazione opera unicamente nell’ambito del giudizio di primo grado (Cass. 4 novembre 2015, n. 22461).
11 . -I restanti motivi restano assorbiti.
12 . -In conclusione, la sentenza impugnata va cassata, in quanto, in tema di intese restrittive della concorrenza, la nullità parziale del contratto di fideiussione a «valle» dipendente da intesa restrittiva «a monte» è deducibile e rilevabile d’ufficio in appello, ma non è consentita , in deroga all’art. 345, comma 3, c.p.c., la produzione di nuovi documenti, come anche l’ammissione di nuove prove , diretti a dare dimostrazione della nullità stessa.
La causa è rinviata alla Corte di appello di Milano, che giudicherà in diversa composizione e statuirà pure sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte
accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di appello di Milano, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1ª Sezione