Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 15969 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 15969 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 07/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 20152/2021 R.G. proposto da:
NOME, rappresentata e difesa dagli avvocati COGNOME NOME e COGNOME NOME, presso l ‘ indirizzo di posta elettronica certificata dei quali è domiciliata per legge;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, nella persona del rappresentante legale in atti indicato, rappresentata e difesa dall ‘ avvocato COGNOME NOME, presso l ‘ indirizzo di posta elettronica certificata del quale è domiciliata per legge;
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D ‘ APPELLO di ANCONA n. 541/2021 depositata il 07/05/2021;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22/05/2024 dal Consigliere COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1. Nel 2011 la società RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, in persona del liquidatore NOME, conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Pesaro – Sezione distaccata di Fano la RAGIONE_SOCIALE al fìne di sentirla condannare al pagamento in suo favore della somma di euro 171.493,00, oltre interessi dal 14 ottobre 2008 al saldo, a titolo di indennizzo dei danni derivati al locale Bolero, sito in Fano, a causa di un incendio avvenuto la notte del 27 febbraio 2007.
Si costituiva in giudizio la RAGIONE_SOCIALE convenuta, la quale: in via preliminare, eccepiva il difetto di legittimazione attiva della NOME, in quanto, all’atto della messa in liquidazione della società, era stato nominato liquidatore NOME COGNOME, al quale dunque spettava la rappresentante; e chiedeva la sospensione del procedimento in attesa della definizione del processo penale a carico del COGNOME in relazione al suddetto incendio; nel merito, contestava la domanda attorea, della quale chiedeva il rigetto.
Istruita la causa a mezzo dell’audizione di testi e di acquisizione della documentazione prodotta dalle parti, il giudice di primo grado con sentenza n. 376/2016, in accoglimento della domanda attorea, condannava la RAGIONE_SOCIALE convenuta al pagamento della suddetta somma.
Avverso la sentenza del giudice di primo grado proponeva appello RAGIONE_SOCIALE, quale incorporante la RAGIONE_SOCIALE, la quale: in via preliminare, faceva presente che la società attorea si era nelle more estinta per cancellazione dal registro delle imprese e conseguentemente chiedeva dichiararsi che nulla era dovuto a detta società (non più esistente) e neppure all’unica socia della stessa (la NOME) a seguito di rinuncia al dedotto credito; nel merito, insisteva nell’eccezione di inoperatività della copertura RAGIONE_SOCIALE, trattandosi di incendio doloso commesso dal COGNOME, convivente della NOME e reale titolare della società.
Si costituiva nel giudizio di appello la RAGIONE_SOCIALE, contestando che il diritto azionato si fosse estinto per rinuncia e deducendo che era subentrata nella titolarità del diritto azionato in quanto socia unica della società, nelle more cancellata dal registro delle imprese.
La Corte d’appello di Ancona, con sentenza n. 541/2021, respingeva l’eccezione preliminare sollevata dalla RAGIONE_SOCIALE, nonché il primo motivo di appello, ma, in accoglimento degli altri tre motivi, rigettava la domanda risarcitoria proposta dalla RAGIONE_SOCIALE.
Avverso la sentenza della corte territoriale ha proposto ricorso la RAGIONE_SOCIALE.
Ha resistito con controricorso la RAGIONE_SOCIALE.
Per l’odierna adunanza il Procuratore Generale non ha rassegnato conclusioni e i Difensori delle parti non hanno depositato memorie.
Il Collegio si è riservato il deposito della motivazione nei successivi sessanta giorni.
RAGIONI DELLA DECISIONE
La corte territoriale nella impugnata sentenza, per quanto qui rileva, dopo aver correttamente affermato il valore probatorio delle prove atipiche (e, in particolare, della sentenza n. 4053/2015 con la quale la corte territoriale anconetana ha ritenuto la penale responsabilità del COGNOME per i fatti allo stesso ascritti con riguardo all’incendio del locale Bolero), ad esito di una articolata disamina delle acquisite risultanze istruttorie, ha ritenuto provato che: a) la polizza RAGIONE_SOCIALE contro il rischio di incendio, in essere tra le parti, escludeva l’indennizzo nel caso di incendio doloso; b) doloso era stato l’incendio che aveva distrutto il locale gestito dalla società del COGNOME; c) proprio quest’ultimo era stato colui che aveva commissionato l’incendio; d) il COGNOME era stato compagno convivente della NOME sino all’anno 2010 ed era il reale proprietario della società e del locale colpito dall’incendio.
NOME articola in ricorso quattro motivi.
2.1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia: <>.
2.2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia: <>.
2.3. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia: <>.
2.4. Con il quarto motivo la ricorrente denuncia: <>.
Il ricorso non è fondato.
3.1. Inammissibile è il primo motivo.
Invero, la ricorrente propone la sua censura come vizio di «omesso esame circa un fatto decisivo», in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., ma tale norma (nella formulazione risultante dalle modifiche introdotte dal d.l. n. 83 del 2012, conv. dalla l. n. 143 del 2012, applicabile ratione temporis), riferisce l’omesso esame ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico naturalistico (Cass. Sez. U, 8053/2014, Cass. 24035/2018), non assimilabile in alcun modo a ‘questioni’ o ‘argomentazioni’ (Cass. 2268/2022, 22397/2019, 14802/2017).
Affinché una simile censura sia rituale deve quindi trattarsi di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Con la conseguenza, tra l’altro, che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, tale vizio, qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. 27415/2018, 7472/2017); rimane peraltro estranea dall’ambito del vizio in questione qualsiasi censura volta a criticare il ‘convincimento’ che il giudice si sia formato in esito all’esame del materiale istruttorio (Cass. 20553/2021).
Nel caso di specie, la ricorrente non ha specificamente indicato alcun fatto storico, avente le caratteristiche sopra indicate, del quale sia stato omesso l’esame da parte del giudice di merito.
In ogni caso, il Collegio rileva, da un lato, che il giudice di primo grado esaminò i documenti prodotti dalla RAGIONE_SOCIALE (cfr. p. 4 della relativa sentenza), ma non li ritenne idonei a dimostrare la tesi dalla stessa sostenuta (e cioè che l’evento incendio non era indennizzabile, in quanto provocato dal COGNOME, reale titolare delle quote della società RAGIONE_SOCIALE e compagno convivente della NOME, apparente titolare delle quote medesime); e, dall’altro, che la corte territoriale ha implicitamente riconosciuto nell’impianto motivazionale della sentenza impugnata il riconoscimento del dovere del giudice di primo grado di prendere in considerazione le produzioni documentali effettuate dalla RAGIONE_SOCIALE convenuta.
2.2. Infondato è il secondo motivo.
Dando seguito a Cass. n. 14661/2019, occorre ribadire il principio per cui <>.
Orbene, contrariamente a quanto affermato dalla ricorrente, di tale principio di diritto ha fatto corretta applicazione la corte territoriale là dove ha ritenuto che, in assenza di specifiche osservazioni della odierna ricorrente, i documenti prodotti da parte convenuta erano da considerarsi ritualmente acquisiti al materiale probatorio utilmente scrutinabile. Invero, come risulta dalla comparsa conclusionale presentata nel giudizio di primo grado dalla società RAGIONE_SOCIALE (si cfr. p. 3), quest’ultima, a fronte della produzione documentale della RAGIONE_SOCIALE convenuta, eccepì soltanto <> (e non la inammissibilità) della produzione in esame. D’altronde la stessa società RAGIONE_SOCIALE depositò a sua volta atti della stessa indagine penale.
2.3. Inammissibile è il terzo motivo.
Infatti, come le Sezioni Unite di questa Corte hanno precisato (sent. n. 16598/2016), per dedurre la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. è necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioè abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma, il che significa che per realizzare la violazione deve avere giudicato o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioè dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio, fermo restando il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio, previsti dallo stesso art. 115 c.p.c.
D’altra parte (tra le tante, Sez. U. n. 34474/2019, con richiami pure a Cass. n. 13960/2014, ovvero a Cass. n. 26965/2007), la violazione dell’art. 116 cod. proc. civ. è riscontrabile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza
probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo «prudente apprezzamento», pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore, oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), nonché, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia invece dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento.
Nulla di tutto questo nel caso di specie, nel quale la ricorrente, richiamando l’art. 115 c.p.c., si duole sostanzialmente che il giudice ha valutato le prove attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dal paradigma dell’art. 116 cod. proc. civ., che non a caso è dedicato alla valutazione delle prove; Cass. Sez. U. 05/08/2016, n. 16598), mentre, richiamando l’art. 116 c.p.c., si duole sostanzialmente che il giudice ha solamente male esercitato il suo prudente apprezzamento della prova.
In definitiva, la ricorrente, con il motivo in esame, denuncia inammissibilmente: sia il vizio di violazione di legge, in quanto sollecita una nuova e diversa valutazione delle risultanze istruttorie, preclusa in questa sede; sia il vizio di omesso esame, in quanto nella specie non ricorrono affatto i gravissimi vizi motivazionali individuati dalle Sezioni Unite di questa Corte con sentenze nn. 8053 e 8054 del 2014; e senza considerare che non si indicano adeguatamente le prove che si allega essere state pretermesse, mentre avrebbe rilevato, ai fini del decidere, solo il carattere doloso dell’incendio.
2.4. Infondato è il quarto motivo.
È consolidato nella giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. n. 25067/2018) il principio per cui <>
Peraltro, è stato da tempo precisato che, anche se non ricorrono i presupposti per l’applicabilità dell’art. 654 c.p.p. (in tema di efficacia nel giudizio civile della sentenza penale di condanna o di assoluzione), il giudice di merito può legittimamente trarre argomenti di prova anche dalle risultanze di un procedimento estinto (Cass. n. 16372/2005, n. 22200/2010) o dalle prove raccolte in un giudizio penale conclusosi con sentenza penale irrevocabile (Cass. n. 10055/2010) sempre che espliciti il procedimento di formazione del proprio libero convincimento nella motivazione della sentenza, attraverso l’indicazione degli elementi di prova e delle circostanze sui quali esso si fonda.
Invero, nel vigente ordinamento processuale, manca una norma di chiusura sulla tassatività tipologica dei mezzi di prova, con la conseguenza che il giudice può legittimamente porre a base del proprio convincimento anche prove atipiche, sempre che queste non siano smentite dal raffronto critico – riservato al giudice di merito e non censurabile in sede di legittimità, se immune dai gravissimi vizi motivazionali indicati dalle Sezioni Unite di questa Corte con le già citate sentenze nn. 8053 e 8054 del 2014 – con le altre risultanze del processo.
Orbene, contrariamente a quanto dedotto dalla ricorrente, di tali principi di diritto ha fatto corretta applicazione la corte territoriale nell’esaminare, oltre alla sentenza n. 4053/2015 (con la quale la corte anconetana ha ritenuto il COGNOME responsabile del reato di incendio doloso del locale Bolero), anche le dichiarazioni rese in sede di sommarie informazioni, il rapporto dei Vigili del Fuoco e la informativa CC; le dichiarazioni rese dall’imputato COGNOME e dai coimputati COGNOME e COGNOME; le deposizioni testimoniali assunte nel processo penale.
3. Al rigetto del ricorso consegue la condanna di parte ricorrente alla rifusione delle spese sostenute dalla parte resistente, nonché la
declaratoria della sussistenza dei presupposti processuali per il pagamento dell’importo, previsto per legge ed indicato in dispositivo, se dovuto (Cass. Sez. U. 20 febbraio 2020 n. 4315).
P. Q. M.
La Corte:
rigetta il ricorso;
condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, spese che liquida in euro 5900 per compensi, oltre, alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200 ed agli accessori di legge;
ai sensi dell ‘ art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera di parte ricorrente, al competente ufficio di merito, dell ‘ ulteriore importo a titolo di contributo unificato a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 22 maggio 2024, nella camera di consiglio