Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 26889 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 26889 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 16/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18252/2020 R.G. proposto da : COGNOME NOME, COGNOME NOME, domiciliati ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrenti- contro
RAGIONE_SOCIALE, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME (CODICE_FISCALE)
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO NAPOLI n. 1506/2019 depositata il 18/03/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 09/10/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
Premesso che:
1.NOME COGNOME e NOME COGNOME ricorrono, con due motivi avversati dal Comune di Benevento con controricorso, per la cassazione della sentenza della Corte di Appello di Napoli, n.1506 del 18 marzo 2019. Con questa sentenza la Corte di Appello di Napoli ha respinto l’appello di essi ricorrenti contro la sentenza del Tribunale di Benevento reiettiva della domanda originaria di accertamento dell’acquisto per usucapione di un fondo in INDIRIZZO (INDIRIZZO). La Corte di Appello ha ricordato che il giudice di primo grado aveva, da un lato, condiviso la tesi del Comune per cui il fondo, ceduto volontariamente al Comune medesimo dai proprietari NOME e NOME COGNOME con atto del 20 marzo 1998, era stato acquisito al patrimonio indisponibile dell’ente, dall’altro, ritenuto ‘che gli elementi costitutivi dell’usucapione non fossero stati adeguatamente comprovati’. La Corte di Appello ha ribadito che gli allora appellanti non avevano ‘spiegato come avevano acquisito l’asserito possesso’, ha ritenuto, in particolare, che ‘l’asserito inizio del possesso nel 1982 appariva contrastato’ dalle risultanze dell’atto datato 20 marzo 1998 secondo le quali il fondo era già nel possesso del Comune ‘dalla data del verbale di consistenza e presa di possesso’, risalente al 1982, ha poi affermato che, in ogni caso, avendo l’atto di cessione volontaria, ‘al pari del decreto di esproprio, l’effetto di fare acquistare all’espropriante la proprietà a titolo originario’ ed importando detto atto ‘l’estinzione di diritti incompatibili con tale acquisto’, non avrebbe potuto ‘configurarsi possesso ad
usucapionem, nel periodo che va dal 1982 sino alla data di cessione volontaria (20.3.1988)’ ed ha infine affermato, in relazione all’accertata non utilizzazione del fondo per la costruzione della scuola, che gli appellanti non avevano dimostrato di aver posseduto il fondo neppure per il periodo successivo alla scadenza del termine previsto per il compimento dei lavori nella dichiarazione di pubblica utilità dell’opera; per il periodo successivo ‘perché con l’espropriazione il bene oggetto di lite è entrato a far parte del patrimonio indisponibile dell’ente’;
la causa perviene al RAGIONE_SOCIALE a seguito di richiesta di decisione formulata dai ricorrenti ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. in relazione alla proposta di definizione del giudizio per inammissibilità o comunque manifesta infondatezza dei due motivi di ricorso;
i ricorrenti hanno depositato memoria;
considerato che:
1.con il primo motivo di ricorso si lamenta la violazione degli artt. 1140 e 1142 c.c. e la ‘violazione del procedimento espropriativo’. Si deduce che la Corte di Appello ha errato nel ritenere che il Comune avesse conseguito il possesso del fondo ‘dalla data del verbale di consistenza e presa in possesso’ malgrado che tale verbale fosse stato solo evocato nell’atto di cessione ma non fosse mai stato prodotto dal Comune e malgrado che, a causa della mancata produzione, fosse anche rimasto indimostrato che l’eventuale immissione in possesso fosse avvenuta entro il termine di tre mesi, stabilito dall’art . 20 della l. 20 ottobre 1971m 865, di efficacia del decreto di occupazione di urgenza. Si deduce che la prova del possesso, pacifico, pubblico e incontestato del fondo, da parte dei ricorrenti, fino dagli ‘anni ottanta’, era stata data mediante una relazione descrittiva dei luoghi depositata in primo grado e mediante le dichiarazioni di tre testi;
2. con il secondo motivo di ricorso si lamenta la violazione degli artt. 12 e 14 della l. 22 ottobre 1971, n. 865. Si deduce che la
Corte di Appello ha errato nel ritenere l’atto di cessione volontaria del terreno equiparato al decreto di esproprio sotto il profilo dell’effetto estintivo, in realtà riconducibile solo al decreto e non all’atto di cessione volontaria, di qualsiasi situazione di diritto e di qualsiasi situazione possessoria incompatibile con il diritto dell’espropriante. Si sostiene inoltre che lo specifico atto stipulato dai proprietari del fondo con il Comune era da considerarsi un normale contratto di compravendita dato che era stato stipulato oltre i termini di efficacia della dichiarazione di pubblica utilità e senza il rispetto delle cadenze procedimentali imposte dall’art. 12 della l.865/1971. Si deduce infine che tale atto, proprio perché ordinario atto di compravendita, neppure poteva produrre l’effetto di far entrare il fondo nel patrimonio indisponibile del Comune;
3. i due motivi di ricorso, che possono essere esaminati assieme, sono inammissibili per difetto di interesse (art. 100 c.p.c.) dato che essi non colgono la ratio della decisione impugnata esaurendosi, il primo quasi esclusivamente e il secondo esclusivamente, in una contestazione di quanto dalla Corte di Appello affermato, ritenuto, argomentato circa il possesso del Comune, laddove la ratio della decisione è espressa dalla affermazione con cui la Corte di Appello ha manifestato di condividere la statuizione del Tribunale di Benevento per la quale i ricorrenti non avevano provato di aver posseduto il fondo in modo da usucapirlo. Chi agisce per far accertare il proprio acquisto di un bene per usucapione deve dare prova dei fatti costitutivi del titolo acquisitivo (art. 2697 c.c.). Escludere il possesso altrui sullo stesso bene non equivale ad assolvere all’onere.
Nel primo motivo di ricorso viene anche dedotto che da una relazione di parte e dalle dichiarazioni di alcuni testi emergeva la prova del possesso. La deduzione è fine a se stessa. I ricorrenti non tentano neppure di collegarvi una denuncia di omesso esame di fatti ex art. 360, primo comma, n.5. Tale tentativo sarebbe
andato a scontrarsi con l’art. 348 bis c.p.c. che preclude, in ipotesi di ‘doppia conforme’, la possibilità di ricorrere in Cassazione ‘per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti’.
Né ovviamente chiedono a questa Corte di legittimità di rivedere le valutazioni e il convincimento dei giudici di merito sulla non concludenza di tale relazione e di quelle dichiarazioni. Simile richiesta sarebbe andata a scontrarsi con la natura e i fini del giudizio di cassazione (Cass. SU n.24148/2013);
in definitiva, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile;
le spese seguono la soccombenza;
la trattazione è stata chiesta ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ. a seguito di proposta di inammissibilità o comunque infondatezza del ricorso e poiché la Corte ha deciso in conformità alla proposta, va fatta applicazione del terzo e del quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ., in assenza di indici che possano far propendere per una diversa applicazione della norma;
sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
la Corte dichiara il ricorso inammissibile;
condanna i ricorrenti al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio che liquida in € 3.000,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% e altri accessori di legge se dovuti;
condanna i ricorrenti al pagamento, ai sensi dell’art. 96, comma terzo, cod. proc. civ., della somma di € 3 .000,00 in favore del controricorrente nonché, ai sensi dell’art. 96, comma quarto, cod.
proc. civ., di un’ulteriore somma di € 3 .000,00 in favore della cassa delle ammende.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 9 ottobre 2024.