Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 9753 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 9753 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 14/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1285/2020 R.G. proposto da: PELLEGRINI NOME PELLEGRINI NOME, PELLEGRINI NOME, PELLEGRINI NOMECOGNOME PELLEGRINI NOMECOGNOME PELLEGRINI NOME PELLEGRINI NOME, DI NOME, DI NOME, in qualità di eredi di NOME COGNOME, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME COGNOME rappresentati e difesi dall’avvocato NOME (CODICE_FISCALE;
– ricorrenti –
contro
COMUNE DI POLIGNANO A MARE, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE;
– controricorrente –
nonché
COGNOME NOME COGNOME, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE, rappresentata e difesa dagli avvocati COGNOME (CODICE_FISCALE, COGNOME (CODICE_FISCALE);
– ricorrente incidentale adesiva –
contro
COMUNE DI POLIGNANO A MARE, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE;
– controricorrente al ricorso adesivo -e nei confronti di
NOME COGNOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME, RAGIONE_SOCIALE nella loro qualità di eredi COGNOME COGNOME;
– intimati –
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO DI BARI n. 2113/2019 depositata il 11/10/2019;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 09/10/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME COGNOME, in proprio e nella qualità di legale rappresentante delle società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Bari il Comune di Polignano a Mare, al fine di accertare e dichiarare in proprio favore l’intervenuta usucapione del terreno censito nel NCT di Bari, alla P.ta
813, foglio 5, p.lla 33, intercluso tra fondi dello stesso proprietario, da decenni utilizzato dall’attore in via esclusiva e, prima di lui, del suo dante causa NOME COGNOME. Il processo, interrotto per il decesso dell’attore, veniva riassunto dal Comune convenuto con la costituzione di NOME COGNOME, sorella dell’attore deceduto, in proprio e in qualità di legale rappresentante della società RAGIONE_SOCIALE e da NOME COGNOME in qualità di erede (vedova) di NOME COGNOME COGNOME e di legale rappresentante della società RAGIONE_SOCIALE
1.1. Il Tribunale adìto dichiarava inammissibile la domanda di usucapione introdotta a proprio titolo da RAGIONE_SOCIALE, rigettava la domanda di usucapione inizialmente proposta da NOME COGNOME COGNOME, condannava NOME COGNOME e NOME COGNOME in proprio e nelle rispettive qualità di rappresentanti legali delle due società, all’immediato rilascio del predetto terreno in favore del Comune di Polignano a Mare, nonché al risarcimento dei danni in favore del convenuto, da liquidarsi in separato giudizio.
La suddetta pronuncia veniva impugnata innanzi alla Corte d’Appello di Bari con distinti appelli, poi riuniti, da NOME COGNOME e dagli eredi di NOME COGNOME odierni ricorrenti.
Il giudice di seconde cure rigettava il gravame, ritenendo (per quel che qui ancora rileva) che dalla valutazione del quadro probatorio acquisito al processo dal Tribunale non risultavano fondate le doglianze espresse dagli appellanti in ordine alla ricorrenza, nel caso di specie, dei requisiti imprescindibili per ravvisare il possesso ad usucapionem in capo a NOME COGNOME COGNOME. A gi udizio della Corte d’Appello, non vi era nitida conferma dal quadro probatorio complessivo della pretesa acquisizione in proprio della particella 33.
La sentenza della Corte d’Appello di Bari v iene impugnata per la cassazione da COGNOME et altri , nella loro qualità di eredi di NOME COGNOME; il ricorso, affidato a due motivi, è contrastato dal Comune di Polignano a Mare.
La sentenza è, altresì, impugnata autonomamente innanzi a questa Corte da NOME COGNOME (ora: dai suoi eredi NOME COGNOME et altri , a séguito del decesso della parte originaria, avvenuto il 22.03.2023), in proprio e nella sua qualità di rappresentante pro tempore della società RAGIONE_SOCIALE (ora: RAGIONE_SOCIALE, a séguito di fusione, come documentato in atti), che ha proposto, altresì, controricorso adesivo al ricorso degli eredi di NOME COGNOME.
Resiste il Comune di Polignano a Mare depositando controricorso per contrastare entrambi i ricorsi, principale e incidentale adesivo.
In prossimità dell’adunanza tutte le parti hanno depositato memorie.
A séguito della proposta di definizione accelerata del Consigliere Delegato dal Presidente di Sezione, i ricorrenti COGNOME et altri -nonché gli eredi di NOME COGNOME e la società RAGIONE_SOCIALE – hanno chiesto la decisione ex art. 380bis .1 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente, il Collegio dà atto che nella proposta di definizione anticipata il Consigliere Designato rilevava l’inammissibilità ovvero l’inefficacia del ricorso proposto in via autonoma da NOME COGNOME in proprio e quale legale rappresentante pro tempore di RAGIONE_SOCIALE in quanto l’impugnazione alla quale esso fa riferimento non risultava dal fascicolo del ricorso in
esame, traendone la conseguenza della mancata iscrizione al ruolo generale.
Dietro istanza della ricorrente del 19.02.2024, il Collegio reputa di dover ritenere ammissibile il ricorso, posto che risulta agli atti l’iscrizione al ruolo.
Sempre in via preliminare, è opportuno precisare che il ricorso proposto da NOME COGNOME, affidato a cinque motivi, deve essere qualificato come ricorso incidentale adesivo: «Nel giudizio di cassazione, il controricorso che non sia volto a “contraddire” il ricorso, ma anzi ad aderire a taluna delle censure in esso contenute, è qualificabile come ricorso incidentale di tipo adesivo, ed è sufficiente che, per la sua proposizione, sia stato rispettato il termine lungo di cui all’art. 327 cod. proc. civ., non trovando applicazione per il ricorrente adesivo l’art. 334 cod. proc. civ.» ( ex multis , di recente: Sez. L – , Ordinanza n. 6154 del 07/03/2024, Rv. 670349 – 01).
Tanto chiarito, si può procedere all’esame dei due ricorsi.
RICORSO NOME COGNOME
Con il primo motivo si deduce nullità della sentenza per violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4) cod. proc. civ., in relazione dell’art. 360, comma 1, n. 4) cod. proc. civ.; omesso esame circa un fatto decisivo della controversia oggetto di discussione tra le parti, in relazione dell’art. 360, comma 1, n. 5) cod. proc. civ. A giudizio dei ricorrenti, la motivazione resa dalla Corte barese appare totalmente illogica e contraddittoria, e dunque censurabile ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ., in quanto la Corte territoriale ha in più punti confermato l’assunto degli appellanti per il quale NOME COGNOME COGNOME ha avuto il possesso materiale ultra ventennale ad usucapionem della particella n. 33 in contestazione, tuttavia pervenendo, poi, alla conferma del rigetto della domanda introduttiva
sulla base della constatazione che tale possesso non sarebbe imputabile in via esclusiva al medesimo, ma a soggetti in parte diversi, ipotizzando una dissociazione tra il compimento di atti materiali di esercizio del possesso da parte del Calderaro De Cillis pacificamente riconosciuto e l’ animus del medesimo, sostenendo cioè che detto possesso sarebbe imputabile a terzi. Di contro, sostengono i ricorrenti che dalle risultanze istruttorie (prove testimoniali e documentali) non emergono elementi di esteriorizzazione di un possesso del COGNOME COGNOME per conto di terzi.
3.1. Il primo motivo si rivela inammissibile sotto diversi profili.
In disparte il profilo di inammissibilità laddove i ricorrenti deducono il vizio di motivazione («motivazione illogica e contraddittoria») secondo un paradigma censorio non più attuale: ciò in quanto le deduzioni aventi ad oggetto la persuasività del ragionamento del giudice di merito nella valutazione delle risultanze istruttorie attengono alla mera sufficienza della motivazione, e cioè ad un profilo non (più) deducibile se non nei più ristretti limiti del n. 5) dell’art. 360, comma 1, cod. proc. civ., nel caso di specie non invocabile ricorrendo l’ipotesi di «doppia conforme». Ipotesi prevista dall’art. 348 -ter , comma 5, cod. proc. civ. (applicabile, ai sensi dell’art. 54, comma 2, del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012, e quindi applicabile anche al giudizio in esame, poiché l’atto di appello è stato notificato il 22.06.2015), in virtù del quale il ricorrente per cassazione, al fine di evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ. per difetto di specificità, deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro div erse ( ex
plurimis : Cass. Sez. 6-2, n. 8320 del 2022-Rv. 664432 – 01; Cass., Sez. 3, 14.07.2022, n. 22244; Cass., Sez. L, 20.07.2022, n. 22782; Cass., Sez. 6-2, 15.03.2022, n. 8320; Cass., Sez. L, 06.08.2019, n. 20994). Nella specie, il ricorrente non ha indicato le ragioni di diversità fra le due pronunce.
3.2. Il motivo è, comunque, inammissibile in quanto propone una rilettura del compendio probatorio.
Occorre premettere che il c.d. possesso mediato -esercitato per mezzo di altra persona, che ha la detenzione della cosa -è un possesso ad usucapionem (ove ne ricorrano i presupposti) non (solo) per affermazione di questa Corte (come sembra argomentare il ricorso: p. 17) ma per espressa disposizione di legge: art. 1140, comma 2.
In ogni caso, la Corte territoriale è pervenuta al suo convincimento a valle di un esame accurato delle risultanze probatorie (testimoniali e documentali), dalle quali ha dedotto la sussistenza di perplessità e lacune in merito all ‘ imputabilità in via esclusiva a NOME COGNOME COGNOME del potere di fatto esercitato sul terreno. A giudizio della Corte territoriale: «l’esecuzione di opere sul terreno in oggetto e il suo utilizzo sono ricondotti ora al COGNOME COGNOME NOME, ora alla sorella COGNOME NOME, ora alla compagine sociale Eredi di NOME COGNOME che, per quanto composta dai fratelli COGNOME, costituiva un’entità soggettiva affatto autonoma e distinta dall’attività imprenditoriale esercitata in proprio da NOME avente ad oggetto l’attività alberghiera successivamente intrapresa».
La ricorrente, invece, propone una rilettura minuziosa (v. ricorso pp. 12-30) di tutto il compendio istruttorio già esaminato e valutato dal giudice di seconde cure.
Né la motivazione della sentenza impugnata risulta viziata da apparenza, ovvero si mostra manifestamente illogica: essa è idonea ad
integrare il cd. minimo costituzionale e a dar atto dell’iter logico -argomentativo seguito dal giudice di merito per pervenire alla sua decisione (per tutte: Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830).
In definitiva, la doglianza si traduce in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito, tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Cass. sez. 2, n. 19717 del 17.06.2022; Cass. Sez. 2, n. 21127 dell’08.08.2019; Sez. 1, Sentenza n. 11511 del 23/05/2014, Rv. 631448 -01; Sez. L, Sentenza n. 13485 del 13/06/2014, Rv. 631330 – 01).
4. Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 278 cod. proc. civ.: in relazione dell’art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ.; nullità della sentenza per violazione dell’art. 132, n. 4, cod. proc. civ.: in relazione dell’art. 360, comma 1, n. 4) cod. proc. civ. In via subordinata al rigetto del primo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata nella parte in cui ha accolto la domanda di condanna generica degli eredi di NOME COGNOME COGNOME (e per esso dei suoi eredi) al risarcimento dei danni da illegittima occupazione del suolo identificato dalla particella n. 33 di cui è causa. Ciò in violazione dell’art. 278 cod. proc. civ., norma che esige l’accertamento dell’ an del diritto in relazione al quale si chiede la condanna generica, come invece non è accaduto nel caso di specie, atteso che non sono stati verificati tutti i presupposti di cui all’art. 2043 cod. civ. (il fatto dell’occupazione e l’illegittimità della stessa). Peraltro, anche sotto tale profilo si lamenta che la motivazione è illogica e contraddittoria, laddove il giudice di seconde cure ha affermato che l’area in discussione è stata posseduta dal COGNOME COGNOME con possesso imputabile a terzi, salvo poi rendere statuizione di condanna generica nei suoi
confronti in proprio, anziché nei confronti dei soggetti a cui l’occupazione sarebbe in tesi imputabile.
4.1. Il motivo è infondato.
Questa Corte ha avuto occasione di chiarire che il danno da occupazione sine titulo rappresenta un’azione lesiva che attinge il diritto pieno di proprietà e che viene in rilievo per la violazione dell’ordine giuridico: è, perciò, un «danno (emergente) normale» o «presunto», purché la richiesta risarcitoria sia stata elevata nella causa petendi della domanda -come accaduto nel caso che ci occupa: v. sentenza impugnata p. 24, 2° – 4° capoverso), unitamente alla richiesta di tutela reale. Il danno risarcibile è rappresentato dalla specifica possibilità di esercizio del diritto di godere che è andata persa, quale conseguenza immediata e diretta (causalità giuridica) della violazione cagionata dall’occupazione abusiva del «diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo» (art. 832 cod. civ.). L’equivalente economico del godimento perduto quale spoliazione della facoltà di godimento indiretto rientra nell’area della perdita subita (danno emergente) e, per tale via. nel c.d. danno in re ipsa .
Stabilito, quindi, che il danno sussiste per la violazione in sé del diritto di godere, il risarcimento spetta al proprietario a prescindere che si denunci il mancato esercizio della facoltà di godere in modo diretto o in modo indiretto, con l’eventuale liquidazione equitativa parametrata sul canone locativo di mercato (Cass. Sez. U, Sentenza n. 33645 del 15/11/2022, Rv. 666193 -02, punti 4.2., 4.5.-4.7.).
II. RICORSO NOME COGNOME
Con il primo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ., violazione dell’art. 1142 cod. civ. in relazione all’art. 1158 cod. civ. Errata applicazione dell’art. 1158 cod. civ., violazione dell’art. 2697 cod. civ. La ricorrente censura la sentenza
impugnata nella parte in cui non ha minimamente preso in considerazione l’esistenza di prove oggettive del possesso da parte di NOME COGNOME COGNOME e della conseguente presunzione di possesso nei periodi intermedi; spettando, peraltro, la prova del l’interruzione a carico del Comune convenuto.
5.1. Il motivo è inammissibile, innanzitutto perché carente di riferibilità alla ratio decidendi della sentenza impugnata, agli effetti dell’art. 366, comma 1, n. 4, cod. proc. civ. (Sez. 3, Ordinanza n. 8247 del 2024; Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 19989 del 10/08/2017, Rv. 645361 – 01).
La Corte d’Appello non è giunta a pronunciarsi sul problema del tempo utile all’usucapione, ma si è arrestata alla non riferibilità all’attore originario dell’esercizio in proprio del potere di fatto sul terreno in contestazione. Tanto basta ad escludere qualsiasi ulteriore indagine temporale in merito alla sussistenza del possesso.
5.2. Un secondo profilo di inammissibilità deriva dalla riproposizione in questa sede di questioni che attengono alla valutazione delle prove. La ricorrente suggerisce, infatti, una diversa lettura delle prove documentali già esaminate dal giudice di seconde cure.
Con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ., violazione degli artt. 2731, 2735 e 2697 cod. civ. A giudizio della ricorrente dai documenti in atti (diffide e deliberazione di G.M.) risulta che il Comune di Polignano a Mare avrebbe reso una confessione stragiudiziale -come tale non liberamente apprezzabile dal giudice, in quanto prova legale – alla parte attrice circa il possesso esercitato da quest’ultima sul suolo di cui trattasi, a partire dal 1991 e sino al 1995.
6.1. Il motivo è infondato.
Alle diffide indirizzate al COGNOME COGNOME (con lettera del Sindaco del Comune di Polignano a Mare del 02.05.1996; delibera della Giunta Municipale del 17.12.1996, aventi ad oggetto il recupero contro il COGNOME COGNOME di 217.899.000 di vecchie Lire per l’occupazione del suolo) la ricorrente attribuisce valore di prova legale non liberamente valutabile dal giudice del merito.
La tesi non può trovare accoglimento, atteso che una dichiarazione è qualificabile come confessione ove sussistano un elemento soggettivo, consistente nella consapevolezza e volontà di ammettere e riconoscere la verità di un fatto a sé sfavorevole e favorevole all’altra parte, ed un elemento oggettivo, che si ha qualora dall’ammissione del fatto obiettivo, il quale forma oggetto della confessione escludente qualsiasi contestazione sul punto, derivi un concreto pregiudizio all’interesse del dichiarante e, al contempo, un corrispondente vantaggio nei confronti del destinatario della dichiarazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 7381 del 25/03/2013, Rv. 625558 -01; più di recente: Cass. Sez. L, Sentenza n. 12798 del 23/05/2018, Rv. 648983 – 01).
Ora: nelle diffide richiamate in ricorso il Comune di Polignano a Mare insorgeva contro l’occupazione sine titulo da parte del COGNOME COGNOME: a tale fatto non può attribuirsi alcuna valenza soggettiva ovvero oggettiva nel senso sopra richiamato, atteso che l ‘accertamento della situazione di occupazione spetta al giudice del merito; il quale, nel caso di specie, ha in effetti escluso la situazione di possesso, e rilevato l’occupazione senza titolo della particella di cui è causa.
7. Con il terzo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5) cod. proc. civ., manifesta implausibilità della motivazione rispetto a tutte le evidenze oggettive; manifesta intrinseca incongruità o contraddittorietà degli argomenti. La ricorrente ritiene illogica la conclusione cui è giunta la Corte d’Appello, laddove ritiene non
raggiunta la prova piena che il possesso sia attribuibile a NOME COGNOME COGNOME e non anche ad altri soggetti. Il ragionamento logico della sentenza impugnata – soprattutto fondato sul fatto che la gestione dello stabilimento balneare fosse affidata alla società RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME, benché l’autorizzazione all’esercizio di detta attività fosse stata rilasciata dal Questore di Bari – non avrebbe considerato che il suolo di cui trattasi era completamente intercluso da fondi di proprietà dell’originario attore, e che quindi soltanto lui o persone da lui autorizzate o delegate potevano esercitare il possesso sul bene.
7.1. Il terzo motivo è inammissibile ricorrendo l’ipotesi di «doppia conforme» (v. supra , punto 3.1.).
Con il quarto motivo si deduce, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ., violazione dell’art. 1140 comma 2, cod. civ. e dell’art. 8 Regio Decreto 18.06.1931, n. 773 (TULPS). Secondo la ricorrente la sentenza è, altresì, illegittima in quanto non tiene conto dell’art. 8 TULPS, a mente del quale le autorizzazioni di polizia sono personali e non possono essere trasmesse a terzi né dar luogo a rapporti di rappresentanza. Tanto basta ad escludere i dubbi evidenziati dal giudice del merito e far ritenere provato il possesso ventennale diretto del titolare della licenza, NOME COGNOME
8.1. Anche il quarto motivo è inammissibile perché carente di riferibilità alla ratio decidendi della sentenza impugnata: la Corte d’Appello non ha messo in dubbio che l’autorizzazione fosse stata concessa a NOME COGNOME COGNOME né ha sostenuto che questi avesse delegato altri alla gestione dello stabilimento balneare e, quindi, all’utilizza zione del fondo di cui è causa. La motivazione della Corte d’Appello , che porta ad escludere l’acquisizione in proprio del terreno , discende dalla valutazione -non sindacabile in questa sede, in quanto
attiene alla ponderazione del complesso probatorio -di circostanze per cui le autorizzazioni amministrative rilasciate formalmente in favore dell’attore originario celavano una situazione di fatto qual è appunto quella possessoria -non corrispondente a quella di diritto, posto che la gestione del lido risultava affidata alla società di fatto dei fratelli COGNOME, poi regolarizzata con atto registrato il 30.06.1981.
Con il quinto motivo si deduce, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5) cod. proc. civ., contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili contenute nella stessa sentenza; motivazione perplessa. Sostiene la ricorrente che la Corte d’Appello si è pronunciata in modo contrastante laddove ha condannato in via solidale tutti gli attori al risarcimento del danno da illegittima occupazione: ciò comporta un accertamento di corresponsabilità che la sentenza stessa esclude nel momento in cui ritiene che non vi sia prova certa delle modalità con cui il bene è stato posseduto e dei soggetti autore del possesso.
9.1. Anche il quinto motivo è inammissibile per doppia conforme (v. supra , punto 3.1.).
In definitiva, il Collegio rigetta sia il ricorso principale, sia il ricorso incidentale adesivo.
Le spese seguono la soccombenza come da dispositivo.
Pur essendo la decisione resa nel procedimento per la definizione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, di cui all’art. 380bis cod. proc. civ. (novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022), con formulazione di istanza di decisione ai sensi dell’ultimo comma della norma citata, ma essendo il giudizio definito non in conformità alla proposta, le parti ricorrenti non sono condannate al pagamento delle ulteriori somme ex art. 96, commi 3 e 4 cod. proc. civ.
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013, stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater D.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte di tutti i ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso principale e il ricorso incidentale adesivo;
condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, in favore del controricorrente, che liquida in €. 3.500,00 per compensi, oltre ad €. 200,00 per esborsi e agli accessori di legge nella misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater D.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte di tutti i ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda