Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 6953 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 6953 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 15/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23376/2023 R.G. proposto da :
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME ANGELA, COGNOME NOME, i primi tre rappresentati e difesi dal solo avvocato NOME COGNOME e il quarto dall’avvocato NOME COGNOME unitamente all’avvocato NOME COGNOME
-ricorrenti- contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME, rappresentati e difesi da ll’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) ;
-controricorrenti- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di CATANIA n. 663/2023, depositata il 13/04/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Nel 2016 NOME COGNOME conveniva in giudizio NOME e NOME COGNOME, deducendo: che egli e il padre NOME COGNOME avevano esercitato il possesso pubblico, pacifico e ininterrotto da oltre cinquant’anni su un terreno, dato che sin dagli anni 1950 il padre dell’attore aveva svolto attività di coltivazione, manutenzione e cura del fondo, manifestando l’esercizio della proprietà piena e indisturbata sullo stesso con animus possidendi protrattosi ininterrottamente per oltre quarant’anni e che a seguito del decesso del padre avvenuto nel 1997 l’attore, che già da oltre dieci anni si occupava insieme al padre della cura dei suddetti terreni, era subentrato nel possesso esercitato dal padre, proseguendo l’attività di agricoltore, seminando, curando e raccogliendo i frutti del terreno, senza che il suo possesso fosse mai stato contestato. L’attore chiedeva quindi al Tribunale di Siracusa di accertare l’avvenuto acquisto della proprietà per usucapione del suddetto terreno.
Si costituivano i convenuti NOME e NOME COGNOME deducendo che né NOME COGNOME né NOME COGNOME avevano mai posseduto il terreno.
Con sentenza n. 126 del 2022, il Tribunale di Siracusa ha accolto la domanda e ha dichiarato l’avvenuto acquisto per usucapione della proprietà del terreno da parte di NOME COGNOME e dei suoi eredi.
I COGNOME hanno impugnato la sentenza e la Corte d’appello di Catania, con la sentenza n. 663/2023, in accoglimento del gravame e in riforma della sentenza di primo grado, ha rigettato la domanda dell’originario attore. Sulla base dell’esame ‘approfondito e complessivo delle dichiarazioni dei testi escussi’ la Corte d’appello ha ritenuto la mancanza, nella specie, della prova dei due presupposti fondamentali ai fini dell’accoglimento della domanda, ossia del possesso uti dominus sul bene e dell’ interversio possessionis .
Avverso la sentenza hanno proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, tutti quali eredi di NOME COGNOME.
Hanno resistito con controricorso NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Il Consigliere delegato dal Presidente della sezione ha ritenuto che il ricorso sia inammissibile e/o manifestamente infondato e ha formulato proposta di definizione del giudizio ai sensi dell’art. 380 -bis , comma 1 c.p.c.
Con atto del 25 marzo 2024 il solo NOME COGNOME ha chiesto la fissazione dell’udienza di discussione e la decisione del ricorso, depositando, nell’imminenza dell’adunanza, memoria .
Memoria è stata depositata anche dai controricorrenti.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1 Preliminarmente, rileva la Corte che il ricorso si intende rinunciato da parte di quei ricorrenti che, a seguito della proposta di definizione del giudizio, non hanno chiesto la decisione e pertanto, il giudizio nei loro confronti va dichiarato estinto (cfr. art. 380 bis comma 2 e 391 cpc).
I motivi andranno pertanto scrutinati in relazione alla richiesta di decisione formulata dall’altro ricorrente, NOME COGNOME.
Va subito respinta l’eccezione di giudicato formulata dai controricorrenti. Essi rilevano che il ricorso è stato proposto solo da quattro dei cinque eredi di NOME COGNOME, parti appellate del giudizio di d’appello, il che avrebbe comportato il passaggio in giudicato della sentenza d’appello ‘ avendovi il predetto COGNOME NOME prestato acquiescenza ‘.
L’eccezione è infondata. La sentenza d’appello non è passata in giudicato, essendo stata impugnata da alcuni dei litisconsorti necessari; comunque non vi è l’esigenza di integrare il
contraddittorio nei confronti di NOME COGNOME, stante -cfr. infra -la manifesta infondatezza del ricorso.
Come è stato affermato ripetutamente in giurisprudenza, il rispetto del principio della ragionevole durata del processo impone, in presenza di un’evidente ragione d’inammissibilità del ricorso o qualora questo sia prima facie infondato, di definire con immediatezza il procedimento, senza la preventiva integrazione del contraddittorio nei confronti dei soggetti a cui il ricorso non è stato notificato.
Passando dunque all’esame del ricorso, esso è articolato in cinque motivi.
I primi quattro motivi sono tra loro strettamente connessi e contestano l’accertamento in fatto compiuto dalla Corte d’appello.
a) Il primo motivo denuncia violazione degli artt. 2697 c.c. e 115 c.p.c. ai sensi del n. 4 dell’art. 360 c.p.c.: la Corte d’appello, laddove ha ritenuto decisiva la deposizione del maresciallo dei carabinieri NOME, che recatosi sui luoghi non ha riferito della presenza della casa di cui avevano parlato i testimoni NOME e COGNOME, si è basata su una errata percezione delle risultanze della prova orale resa dal testimone.
Il motivo è infondato.
Ad avviso dei ricorrenti la Corte d’appello, nell’affermare ‘l’inesistenza della casa’, ritenendo ‘decisiva’ al riguardo la deposizione del maresciallo dei carabinieri, sarebbe incorsa nel vizio di travisamento della prova.
L’assunto è errato. Come hanno chiarito le sezioni unite con la sentenza n. 5792/2024, ‘il travisamento del contenuto oggettivo della prova, il quale ricorre in caso di svista concernente il fatto probatorio in sé, e non di verifica logica della riconducibilità dell’informazione probatoria al fatto probatorio, trova il suo istituzionale rimedio nell’impugnazione per revocazione per errore di fatto, mentre, ove il fatto probatorio abbia costituito un punto
controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare, e cioè se il travisamento rifletta la lettura del fatto probatorio prospettata da una delle parti, il vizio va fatto valere, in concorso dei presupposti di legge, ai sensi dell’art. 360, nn. 4 e 5, c.p.c.’. Perché ricorra l’ipotesi di travisamento della prova è pertanto necessario che vi sia stata una svista concernente il fatto probatorio e il fatto probatorio abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare.
Nel caso in esame, invece, non vi è stata una svista concernente il fatto probatorio: la Corte d’Appello ha dato atto che il teste COGNOME, recatosi sui luoghi, ‘ non riferisce della presenza della casa ‘ (v. pag. 2 sentenza) e quindi in tal senso va intesa la successiva affermazione, alquanto imprecisa, fatta al terzultimo rigo ( ‘ inesistenza in esso ‘ -cioè nel terreno, ndr -‘ della casa ‘ ). Per il resto la censura attinge la valutazione delle risultanze istruttorie.
Il secondo motivo allega violazione degli artt. 2697 c.c., 115 e 116 c.p.c. in relazione ai nn. 3 e 5 dell’art. 360 c.p.c.
La Corte d’appello avrebbe omesso di esaminare elementi decisivi per il giudizio che avrebbero portato alla conferma dell’acquisto per usucapione e della sentenza di primo grado: non è stato considerato quanto dedotto nella comparsa di costituzione e risposta di controparte, ossia che tutte le volte in cui NOME COGNOMEsi è recato nel terreno, da qualche anno a questa parte è stato lui stesso impossibilitato a coltivarlo perché sistematicamente ignoti distruggevano i confini del predetto appezzamento di terreno’, circostanza di fatto che evidenzia che i COGNOME avevano realizzato delle opere sul terreno dei COGNOME proprio perché lo utilizzavano da anni, ponendo in essere atti inequivocabili e manifesti di acquisizione e godimento del bene, circostanza confermata dalla dichiarazione del testimone NOME COGNOME; inoltre NOME COGNOME aveva sporto formale querela contro NOME COGNOME e NOME COGNOME per fatti avvenuti tra il 1°
maggio 2012 e il 28 gennaio 2013, denunciando l’invasione del proprio terreno; il giudice d’appello avrebbe poi dovuto considerare anche quanto dichiarato dal testimone COGNOME da un lato e dai testimoni COGNOME e COGNOME dall’altro lato.
c) Il terzo motivo denuncia violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c.: la sentenza d’appello ha errato anche nel considerare inattendibile la testimonianza di NOME COGNOME che era invece stata precisa, chiara e concordante.
d) Il quarto motivo contesta violazione degli artt. 1158, 2697 c.c., 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360, nn. 3 e 5 c.p.c.: i ricorrenti hanno ampiamente fornito la prova del possesso uti dominus e della interversio possessionis ; sotto il profilo probatorio, si ribadisce che il testimone NOME nel parlare di 100 tumuli di terreno è incorso in un errore materiale, che le foto prodotte da controparte possono riferirsi a qualsiasi terreno e che le dichiarazioni rese dai testimoni di controparte erano del tutto generiche.
I motivi sono infondati.
Essi attingono la valutazione delle prove compiuta dalla Corte d’appello e in particolare delle dichiarazioni dei testimoni COGNOME, COGNOME e COGNOME, COGNOME, nonché dei COGNOME in sede di interrogatorio formale. Al riguardo va ricordato che l’esame delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi
tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (in tal senso, ex multis , Cass. n. 16056/2016).
Non sussistono pertanto le violazioni, denunciate nei quattro motivi, degli artt. 2697 c.c. (cfr. al riguardo, per tutte, Cass. n. 17313/2020, che precisa come ‘la violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c. si configura nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era gravata in applicazione di detta norma’), 115 e 116 c.p.c. (v. la pronuncia delle sezioni unite n. 20867/2020, secondo cui ‘per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c.’).
Quanto al secondo motivo, ove si lamenta l’omesso esame di elementi decisivi ai sensi del n. 5 dell’art. 360 c.p.c., va puntualizzato che lo specifico vizio denunciabile per cassazione è relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (v. la pronuncia delle sezioni unite n. 8053/2014). Nel caso in esame la circostanza che nel 2013 -tre anni prima dell’inizio del presente processo controparte avesse denunciato che negli ultimi sei mesi il proprio terreno fosse stato ‘invaso’ e i confini del medesimo fossero stati distrutti è circostanza che, lungi dall’essere decisiva, non prova affatto il possesso da più di vent’anni da parte dell’originario attore. Per il resto poi il motivo si sostanzia in una inammissibile richiesta a questa Corte di rivalutazione delle dichiarazioni testimoniali, come
il quarto motivo e il terzo motivo, che specificamente chiede di rivalutare l’attendibilità di un testimone.
2. Il quinto motivo ed ultimo motivo denuncia violazione dell’art. 91 c.p.c.: al contrario di quanto stabilito dalla sentenza impugnata tutte le spese dovevano essere poste esclusivamente a carico di NOME e NOME COGNOME.
Il motivo è infondato. Correttamente la Corte d’appello, riformata la sentenza di primo grado, ha deciso le spese dei due gradi di giudizio in base all’esito complessivo della lite e ha condannato i ricorrenti applicando la regola della soccombenza.
II. Il ricorso -limitatamente alla posizione di NOME COGNOME – va pertanto rigettato.
Le spese del presente giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
In applicazione dell’art. 380 -bis , ultimo comma, c.p.c., avendo il Collegio definito il giudizio in conformità alla proposta, trovano applicazione, per il solo NOME COGNOME, il terzo e il quarto comma dell’art. 96 c.p.c. (v. al riguardo la pronuncia delle sezioni unite n. 28540/2023, secondo cui, in tema di procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, l’art. 380bis , comma 3, c.p.c., come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022, nel prevedere nei casi di definizione del giudizio in conformità alla proposta una valutazione legale tipica della sussistenza dei presupposti per la condanna ai sensi del terzo e del quarto comma dell’art. 96 c.p.c., ‘codifica un’ipotesi normativa di abuso del processo, poiché il non attenersi a una valutazione del proponente, poi confermata nella decisione definitiva, lascia presumere una responsabilità aggravata del ricorrente’).
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater del d.P.R. n. 115/ 2002, si d à atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte di NOME COGNOME, di un ulteriore importo a
titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara estinto il giudizio nei confronti di COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME; rigetta il ricorso di COGNOME NOME e condanna tutti i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio in favore dei controricorrenti, che liquida in euro 1.700,00 di cui euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali (15%) e accessori di legge;
condanna NOME COGNOME al pagamento in favore dei controricorrenti della somma di euro 1.500,00 ai sensi del comma 3 dell’art. 96 c.p.c. e al pagamento di euro 1.000 ,00 in favore della cassa delle ammende ai sensi del comma 4 dell’art. 96 c.p.c.
Sussistono, ex art. 13, comma 1quater del d.P.R. n. 115/2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte di NOME COGNOME, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella adunanza camerale della sezione