Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 26054 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 2 Num. 26054 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 04/10/2024
SENTENZA
sul ricorso n. 18616/2021 R.G. proposto da:
NOME MAGGIO GENNARO, c.f. CODICE_FISCALE, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO e dall’AVV_NOTAIO , elettivamente domiciliato in Roma presso l’AVV_NOTAIO nel suo studio in INDIRIZZO
ricorrente
contro
COGNOME NOME, c.f. CODICE_FISCALE, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO COGNOME e dall’AVV_NOTAIO, con domicilio digitale pecEMAIL e pec.EMAIL controricorrente
avverso la sentenza n.151/2021 della Corte d’Appello di Lecce sezione distaccata di Taranto, depositata il 27-4-2021, udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19-92024 dal consigliere NOME COGNOME,
OGGETTO:
mutuo
RG. 18616/2021
P.U. 19-9-2024
udito il AVV_NOTAIO Ministero, nella persona del AVV_NOTAIO, il quale ha concluso chiedendo l’accoglimento del nono motivo di ricorso, con dichiarazione di inammissibilità o comunque reiezione dei restanti motivi, udita l’AVV_NOTAIO per il ricorrente
FATTI DI CAUSA
1.NOME COGNOME ha citato NOME COGNOME avanti il Tribunale di Taranto, esponendo che a settembre 2006 gli COGNOME prestato, in ragione del rapporto di amicizia tra loro esistente, Euro 30.000,00 per riavviare la sua attività commerciale; il convenuto si era obbligato a restituire la somma ricevuta tramite rilascio di assegno bancario dell’importo di Euro 30.000,00 e il 26 -11-2009 COGNOME restituito la somma di Euro 7.000,00, per cui prova del riconoscimento del debito e della restituzione della somma di Euro 7.000,00 era data anche dalla dichiarazione sottoscritta da NOME COGNOME e riportata sul retro dell’assegno; quindi, poiché non era stata restituita la restante somma di Euro 23.000,00, ne ha chiesto il pagamento.
Si è costituito il convenuto NOME COGNOME, dichiarando che la sua ditta individuale era cessata nel 1992 e da allora egli era stato lavoratore dipendente; nel 2007 COGNOME ricevuto dall’attore un prestito di Euro 15.000,00, in riferimento al quale COGNOME rilasciato assegno di Euro 30.000,00, pari al doppio della somma mutuata; quindi, avendo già restituito Euro 7.000,00, residuava solo il debito di Euro 8.000,00, il cui pagamento offriva in via conciliativa e a tacitazione di ogni pretesa, chiedendo in difetto il rigetto della domanda.
Con sentenza n. 942/2017 pubblicata il 30-3-2017 il Tribunale di Taranto ha accolto la domanda e ha condannato NOME COGNOME alla restituzione a NOME COGNOME della somma di Euro 23.000,00, oltre al pagamento delle spese processuali.
2.NOME COGNOME ha proposto appello principale e NOME COGNOME ha proposto appello incidentale, che la Corte d’appello di Lecce sezione distaccata di Taranto ha deciso con sentenza n. 151/2021 depositata il 27-42021. La sentenza ha accolto l’appell o principale e, per l’effetto, ha dichiarato che il credito di NOME COGNOME nei confronti di NOME COGNOME era di Euro 8.000,00 e ha condannato NOME COGNOME a pagare tale somma, con gli interessi dalla data della messa in mora del 13-2-2012; ha altresì condannato NOME COGNOME alla rifusione a favore di NOME COGNOME delle spese di lite di primo grado per la quota della metà, compensando la residua metà; ha condannato NOME COGNOME al pagamento delle spese di lite di secondo grado a favore dello Stato, stante l’ammissione di NOME COGNOME al patrocinio a spese dello Stato.
3.Avverso la sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato a nove motivi, i primi sette volti a censurare la sentenza impugnata per avere rigettato la domanda come da lui proposta, gli ultimi due relativi al riparto delle spese di lite del grado di appello.
NOME COGNOME ha resistito con controricorso.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione per la pubblica udienza del 19-9-2024, nei termini di cui all’art. 378 cod. proc. civ. il AVV_NOTAIO Ministero ha depositato memoria con le sue conclusioni e il controricorrente ha inviato a mezzo posta memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Preliminarmente deve essere rilevata l’inammissibilità della memoria illustrativa del controricorrente, in quanto depositata a mezzo posta il 31-52024, nonostante l’art. 196 -quater disp. att. cod. proc. civ. imponga il deposito degli atti processuali anche nei procedimenti avanti alla Corte di Cassazione esclusivamente con modalità telematica
e la disposizione si applichi a decorrere dal I-1-2023, ai sensi dell’art. 35 co.2 d.lgs. 10-10-2022 n. 149, anche ai giudizi pendenti a quella data.
2.Il primo motivo è intitolato ‘nullità della sentenza per violazione del principio della domanda e della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato; violazione degli artt. 99 e 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c. Nullità della sentenza per violazione dell’art. 161 c.p.c., in relazione all’art. 360 comma 1 n.4 c.p.c. Nullità della sentenza per la violazione del principio del contraddittorio sulla questione dell’ammissibilità della pr ova rilevata d’ufficio; violazione dell’art. 101 comma 2 c.p.c. in relazione all’art. 360 comma 1 n.4 c.p.c.’. Con esso il ricorrente censura la sentenza impugnata per avere dichiarato che la circostanza di tempo di metà settembre 2006 -della richiesta del prestito e della consegna di Euro 30.000,00- era stata indicata solo dalla testimone NOME COGNOME ma era mancante nei capitoli di prova, così come erano assenti le circostanze di luogo di accadimento dei fatti oggetto di prova, con la conseguente inammissibilità della prova ex art. 244 cod. proc. civ.
Il ricorrente evidenzia che l’appellante non COGNOME lamentato la violazione dell’art. 244 cod. proc. civ., per cui la Corte d’appello non poteva rilevarla, dopo che la prova era stata regolarmente espletata senza opposizioni in primo grado, in quanto si verteva in ipotesi di nullità relativa o di inammissibilità, che doveva essere eccepita dalla parte interessata. In via subordinata, il ricorrente sostiene la nullità della sentenza per la mancata assegnazione di un termine per dedurre sulla questione dell’inammissibilità della prova, rilevata d’ufficio; evidenzia che, se fosse stato posto in condizione di contraddire, avrebbe esposto le ragioni a sostegno del rispetto dell’art. 244 cod. proc. civ., che espone in ricorso.
3 .Il secondo motivo è intitolato ‘ nullità della sentenza per motivazione apparente; violazione e falsa applicazione dell’art. 132 comma 1 n. 4 c.p.c. e dell’art. 118 comma 1 disp. att. c.p.c. in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c.” e con esso il ricorrente sostiene che, dopo il rilievo officioso della questione dell’inammissibilità della prova testimoniale per la sua genericità, la Corte d’appello avrebbe dovuto astenersi dal valutare l’attendibilità delle testimonianze; perciò sostiene che la motivazione della sentenza sia meramente apparente per contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili.
4.Il primo motivo è inammissibile per carenza di interesse.
E’ vero che la sentenza contiene l’affermazione di cui si duole il ricorrente, laddove, a pag. 5 in alto, tra parentesi dichiara che i capitoli di prova erano inammissibili ex art. 244 cod. proc. civ. in quanto non contenenti l’indicazione del luogo di accad imento dei fatti oggetto di prova. Si tratta però di un mero obiter dictum, come risulta non tanto dal fatto che l’affermazione è riportata tra parentesi, ma dal fatto che a tale affermazione non ha fatto seguito alcuna conseguenza, in quanto la sentenza ha esaminato nel merito il contenuto delle testimonianze e ha esposto le ragioni per le quali, sulle base del contenuto delle testimonianze, è giunta alla conclusione che non era stata provata la dazione della somma di Euro 30.000,00. Quindi, ricorrono i presupposti per applicare alla fattispecie il principio già posto da Cass. Sez. 6-2 113-2022 n. 7995 (Rv. 664430-01) e Cass. Sez. 6-2 18-12-2017 n. 30354 (Rv. 647172-01) che, nell’ipotesi analoga in cui la sentenza impugnata COGNOME dichiarato inammissibile l ‘impugnazione e poi l’COGNOME esaminata nel merito, ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso per carenza di interesse, in quanto quello che era stato un mero obiter dictum non COGNOME influito sulla decisione; in effetti la sentenza, nel momento in cui ha esaminato il contenuto delle testimonianze, ha superato la propria precedente affermazione sulla loro inammissibilità,
per cui il ricorrente non ha ragione di porre la questione che non ha avuto incidenza sulla decisione, dovendo comunque applicarsi anche il principio secondo il quale l’interesse a impugnare discende dalla possibilità di conseguire un risultato pratico favorevole.
5.Dalle considerazioni esposte consegue che è infondato il secondo motivo di ricorso.
Infatti, non si verte in ipotesi di contrasto insuperabile tra affermazioni inconciliabili, che comporta la nullità della sentenza (cfr. Cass. Sez. U 7-4-2014 n. 8053 Rv. 629830-01): la stessa sentenza non ha tratto conseguenze dal proprio rilievo su ll’inammissibilità della prova, ma ha proceduto a esaminare le dichiarazioni dei testimoni, così dimostrando che il precedente rilievo era un mero obiter dictum che non ha inciso sul contenuto della decisione.
6.Con il terzo motivo il ricorrente deduce ‘ nullità della sentenza per motivazione apparente; violazione e falsa applicazione dell’art. 132 comma 1 n.4 c.p.c. e dell’art. 118 comma 1 disp. att. c.p.c. in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4 e n. 5 c.p.c.’ e lamenta che la sentenza abbia affermato che l’attendibilità dei testimoni COGNOME, COGNOME e COGNOME era esclusa dalle contraddizioni in cui gli stessi erano incorsi; aggiunge che il giudicante non avrebbe dovuto utilizzare le dichiarazioni del teste COGNOME in ordine alla sua presenza al momento del prestito, perché si trattava di circostanze non ammesse con i capitoli di prova; rileva che la testimonianza di COGNOME è stata anche travisata, perché il teste non COGNOME dichiarato di essere stato presente all’interno del negozio nel quale era avvenuta la richiesta, ma di essere stato nel reparto di lavoro, sufficientemente vicino da sentire quanto accadeva. Sostiene che sia stata travisata anche la testimonianza del teste COGNOME, perché lo stesso COGNOME dichiarato di avere accompagnato COGNOME soltanto lui, ma non che non ci fossero altre persone presenti nell’occasione; aggiunge che è stata travisata anche la testimonianza
di NOME COGNOME, in quanto la sentenza ha fatto coincidere il momento della richiesta del prestito con quello della consegna del denaro.
7.Con il quarto motivo, rubricato come il terzo, il ricorrente lamenta che la sentenza abbia dichiarato l’inverosimiglianza della richiesta di un prestito di Euro 30.000,00, in modo meramente assertivo, in quanto la stessa sentenza ha dato per pacifico che tra le parti vi era stato un rapporto di mutuo, anche se ne era controversa l’entità, ed era stata provata la consegna di assegno di Euro 30.000,00. Ove la sentenza avesse voluto collegare l’inverosimiglianza al giudizio di inattendibilità dei testimoni, il ricorrente sostiene la violazione dell’art. 116 cod. proc. civ., in quanto l’inverosimiglianza di un fatto non può costituire ragione per disattendere la testimonianza che lo attesta.
8.Con il quinto motivo, rubricato come il terzo, il ricorrente sostiene che la motivazione sia meramente apparente, laddove ha affermato l’inverosimiglianza della conversazione tra le parti avente a oggetto la consegna dell’assegno e la richiesta di non mett erlo all’incasso, in quanto conversazione su fatti privati avvenut a nel luogo di lavoro dove c’era la presenza di altre persone. Come per il quarto motivo, ove la sentenza avesse voluto collegare l’inverosimiglianza al giudizio di inattendibilità di tutti i testimoni, sostiene la violazione dell’art. 116 cod. proc. civ., in quanto l’inverosimiglianza di un fatto dichiarato dal testimone non può essere ragione per disattendere la testimonianza.
9.Con il sesto motivo, rubricato come il terzo, il ricorrente lamenta che la Corte d’appello abbia affermato che l’attendibilità dei testimoni COGNOME, COGNOME e COGNOME era esclusa dalle contraddizioni nelle quali erano incorsi con riguardo alla loro presenza alla richiesta del prestito e alla consegna della somma, con enunciazione apodittica e facendone arbitrariamente e immotivatamente conseguire l’inattendibilità di tutti
i testimoni; evidenzia che, diversamente, la sentenza avrebbe dovuto mettere a confronto le deposizioni e valutare la credibilità dei testimoni sulla base degli elementi soggettivi e oggettivi.
10.I motivi dal terzo al sesto, esaminati unitariamente per la stretta connessione, sono infondati per le ragioni di seguito esposte.
In primo luogo, si esclude nella sentenza impugnata qualsiasi vizio che ne determini nullità in quanto, essendo circoscritto il sindacato di legittimità sulla motivazione al rispetto del minimo costituzionale, comporta nullità della sentenza solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (Cass. Sez. U 8053/2014, già citata, Cass. Sez. 1 3-3-2022 n. 7090 Rv. 664120-01, per tutte). In particolare, la motivazione è apparente quando, benché graficamente esistente, non renda percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a fare conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del suo convincimento, non potendosi lasciare all’int erprete il compito di integrarla con le più varie e ipotetiche congetture (Cass. Sez. 6-1 1-32022 n. 6758 Rv. 664061-01, per tutte). Specificamente in tema di valutazione delle prove il giudice di merito è tenuto a dare conto, in modo comprensibile e coerente rispetto alle evidenze processuali, del percorso logico compiuto, dovendosi ritenere viziata per apparenza ex art. 360 co.1 n. 4 cod. proc. civ. la motivazione meramente assertiva o riferita solo complessivamente alle produzioni in atti (Cass. Sez. 3 30-5-2019 n. 14762 Rv. 654095-01, nello stesso senso, per tutte, Cass. Sez. L 14-2-2020 n. 3819 Rv. 656925-02, nel caso della mancanza nella sentenza di qualsiasi esplicitazione sul quadro probatorio, che comporta obiettiva carenza nell’indicazione del cri terio
logico che ha condotto il giudice alla formazione del suo convincimento).
Nella fattispecie non sussiste il vizio lamentato, in quanto la Corte d’appello ha esplicitato il percorso logico -argomentativo in forza del quale è giunta alla conclusione della mancanza di prova che il contratto di mutuo avesse avuto a oggetto l’importo di Euro 30.000,00 e di conseguenza che il mutuo dovesse essere ritenuto esistente limitatamente all’importo di Euro 15.000,00 , che il convenuto COGNOME riconosciuto di avere ricevuto.
Specificamente, la sentenza ha premesso che l’attore COGNOME chiesto di provare il rapporto fondamentale sotteso all’assegno, per cui COGNOME rinunciato alla relevatio ab onere probandi esistente a favore del destinatario della promessa di pagamento e doveva subire le conseguenze dell’eventuale fallimento della prova offerta. Di seguito la sentenza ha dichiarato che l’attendibilità dei testimoni era esclusa dalle contraddizioni nelle quali erano caduti con riguardo alla loro presenza al momento della richiesta del prestito e in quello della consegna della somma di Euro 30.000,00 e anche con riguardo alle modalità di consegna del denaro. Di seguito ha esaminato le dichiarazioni dei testimoni NOME COGNOME, moglie dell’attore , COGNOME e COGNOME, dipenden ti dell’attore ; ha considerato il fatto che la teste COGNOME COGNOME dichiarato di essere stata presente, oltre che alla consegna del denaro allorché COGNOME contato i soldi insieme al marito e li COGNOME confezionati in una busta di plastica, anche alla richiesta del prestito; ha considerato che il teste NOME COGNOME COGNOME dichiarato che in occasione della richiesta era presente solo lui insieme a COGNOME e COGNOME, mentre il teste COGNOME COGNOME dichiarato a sua volta di essere stato presente, lavorando nel dep osito del negozio adiacente all’ufficio , insieme a COGNOME e alla moglie di COGNOME. La sentenza di seguito ha considerato sia il fatto che il COGNOME e il COGNOME non COGNOMEno
dichiarato di essere stati presenti alla dazione della somma di Euro 30.000,00, sia il fatto che COGNOME COGNOME dichiarato di avere contato i soldi con la moglie di COGNOME e che i soldi erano stati consegnati in una busta di carta, senza specificarne il tempo e il luogo, sia l’inverosimiglianza del dato che i fatti privati fossero avvenuti alla presenza di terzi; ha aggiunto che la circostanza che fosse stato dimostrato il passaggio di denaro non comportava la prova che il denaro fosse stato consegnato nell’importo di Euro 30.000,00 , evidenziando altresì che il convenuto non COGNOME reso l’interrogatorio formale, diversamente da quanto ritenuto dalla sentenza di primo grado. Quindi, la motivazione non è meramente assertiva neppure laddove rileva l’inverosimiglianza della richiesta di un prestito di Euro 30.000,00, perché la sentenza non ha affermato l’inverosimiglianza della richiesta in sé, ma ha affermato (pag.6) che era inverosimile che la richiesta fosse stata eseguita sul luogo di lavoro e alla presenza di diverse persone, richiamando sul punto la testimonianza del teste COGNOME; in questo modo, ha esplicitato sia la ragione del giudizio di inverosimiglianza, sia la fonte della relativa informazione probatoria.
La sentenza non incorre neppure nel vizio di travisamento della prova lamentato dal ricorrente, perché trascrive testualmente il contenuto della dichiarazione del teste COGNOME, il quale ha riferito di non essere stato presente nel negozio dove era avvenuta la richiesta del prestito, ma nel reparto adiacente dove stava lavorando; è evidente che il ricorrente, sostenendo che il teste, non presente nella stessa stanza, potesse sentire quanto ivi vi si diceva, non fa emergere alcun travisamento, ma continua soltanto a proporre la sua personale lettura delle dichiarazioni testimoniali. La sentenza ha anche testualmente trascritto le dichiarazioni del teste COGNOME, che effettivamente ha dichiarato di essere stato l’unica persona presente al momento della richiesta del prestito; quindi, il tentativo del ricorrente volto a
sostenere che la dichiarazione dovesse essere letta nel senso che il COGNOME fosse l’unico ad avere accompagnato l’COGNOME e non nel senso che egli fosse stato l’unico presente alla richiesta non trova fondamento nel contenuto testuale della dichiarazione, perché evidentemente il teste, laddove ha dichiarato di essere stato presente ‘nella circostanza’ non COGNOME ragione di riferirsi al fatto di avere accompagnato l’COGNOME, irrilevante, ma al dato della presenza al l’episodio di cui gli si chiedeva. La sentenza non ha travisato neppure le dichiarazioni della testimone NOME, perché ha espressamente dichiarato di prescindere dalla considerazione del luogo di richiesta del prestito (testualmente, a pag. 7 ‘pur a prescindere dalla confusa indicazione da parte della NOME del luogo della richiesta del prestito’) .
Nessuna delle ulteriori affermazioni del ricorrente è idonea a fare emergere violazioni di legge nella sentenza impugnata, in primo luogo perché la circostanza che il testimone COGNOME abbia riferito una circostanza non oggetto del capitolo di prova non rende di per sé la relativa dichiarazione inutilizzabile . E’ già stato affermato che, in sede di assunzione della prova testimoniale, il giudice di merito non è un mero registratore passivo di quanto dichiarato dal testimone, ma soggetto attivo partecipe dell’escussione, al quale l’ordinamento attribuisce il poteredovere non solo di sondare con zelo l’attendibilità del testimone, ma anche di acquisire dallo stesso tutte le informazioni indispensabili per una giusta decisione (Cass. Sez. 1 3-11-2022 n. 32456 Rv. 666126-01, Cass. Cass. Sez. 6-3 28-8-2020 n. 17981 Rv. 658759-01); quindi, nel caso in cui il giudicante abbia preso atto e verbalizzato dichiarazioni del testimone esulanti dal contenuto dei capitoli di prova, è evidente che ha ritenuto tali informazioni rilevanti, sia per valutare l’attendibilità del testim one sia per acquisire le informazioni indispensabili alla decisione.
Non è pertinente neppure la lamentata violazione dell’art. 116 cod. proc. civ. in quanto, secondo il principio posto anche a Sezioni Unite, in tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell’art. 116 cod. proc. civ. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o una risultanza probatoria, non abbia operato, in assenza di diversa indicazione normativa, secondo il suo prudente apprezzamento, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce a una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, il valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta a una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento (Cass. Sez. U 30-9-2020 n. 20867 Rv. 659037-02). Invece, sono riservate al giudice di merito l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, il controllo dell’attendibilità e della concludenza delle prove e la scelta, tra le risultanze probatorie, di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, nonché la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento; è insindacabile in sede di legittimità il peso probatorio di alcune testimonianze rispetto ad altre, in base al quale il giudice di secondo grado sia pervenuto a un giudizio logicamente motivato, diverso da quello formulato dal primo giudice (Cass. Sez. 2 8-8-2019 n. 21187 Rv. 655229-01, Cass. Sez. L 10-62014 n. 13054 Rv. 631274-01, Cass. Sez. 2 28-1-2004 n. 1554 Rv. 569765-01) Nella fattispecie, nessuno degli argomenti svolti dal ricorrente è utile a fare emergere la violazione dell’art. 116 cod. proc. civ., essendo invece tutte le deduzioni finalizzate a ottenere una diversa ricostruzione del materiale probatorio in termini estranei al giudizio di legittimità.
La sentenza si sottrae a tutte le critiche del ricorrente anche in ordine alla valutazione sull ‘attendibilità dei testimoni. Infatti, nel
momento in cui ha evidenziato non solo le contraddizioni tra le dichiarazioni dei diversi testimoni, ma la mancanza di precisione nelle dichiarazioni, con riguardo al tempo e al luogo dei fatti, alle persone presenti, all’importo consegnato e alle modalità di consegna, la sentenza non COGNOME ragione di indagare oltre, per accertare se e quale dei testimoni fosse attendibile al fine di preferire la sua versione dei fatti. Ciò perché la sentenza in sostanza ha espresso giudizio di inattendibilità relativamente a tutti i testimoni, con riguardo all’inidoneità del contenuto delle loro dichiarazioni ad attestare la consegna del denaro nell’importo di Euro 30.000,00, in ragione delle contraddizioni nelle quali ognuno era caduto e in ragione della mancanza di precisione delle dichiarazioni; ciò poteva fare, in quanto è acquisito il principio secondo il quale l’attendibilità del teste afferisce alla veridicità della deposizione, che il giudice deve discrezionalmente valutare alla stregua di elementi di natura oggettiva (la precisione e completezza della dichiarazione, le possibili contraddizioni, ecc.) e di carattere soggettivo (la credibilità della dichiarazione in relazione alle qualità personali, ai rapporti con le parti e anche all’eventuale interesse a un determinato esito della lite) (Cass. Sez. 2 9-8-2019 n. 21239 Rv. 655201-01, Cass. Sez. 3 30-3-2010 n. 7763 Rv. 612273-01).
11 .Con il settimo motivo il ricorrente deduce ‘ nullità della sentenza per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c., ossia la dichiarazione di versamento di un acconto di Euro 7.000,00 sottoscritta dall’COGNOME sul retro dell’assegno portante la somma di Euro 30.000,00 , in relazione all’art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c. Nullità della sentenza per travisamento della prova in relazione all’art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c.’. Il ricorrente evidenzia di avere dedotto che, sul retro dell’assegno di Euro 30.000,00 , era stato annotato il ricevimento dell’acconto di Euro 7.000,00, con la dichiarazione
‘26.11.2009. Ricevo acconto 7.000’, sottoscritta sia dal COGNOME che dall’COGNOME; sostiene che tale dichiarazione, in quanto riportata sull’assegno bancario e allo stesso intimamente collegata, costituiva ammissione che la somma mutuata di Euro 30.000,00 non era stata restituita che per l’importo di Euro 7.000,00.
11.1.Il motivo è infondato.
La sentenza, dichiarato che l’attore COGNOME rinunciato al vantaggio della dispensa dal l’onere d i provare il rapporto fondamentale e che l’acquisizione della prova del passaggio di denaro, ritenuta anche dal giudice di primo grado, non dimostrava che l’importo mutuato fosse pari a Euro 30.000,00 come sostenuto dall’attore, ha ritenuto la prova dell’importo mutuato nei limiti in cui era stata ammessa dal convenuto, e perciò per la somma di Euro 15.000,00; ha altresì considerato che COGNOME COGNOME pagato l’acconto di Euro 7.000,00 e infatti ha ac certato il diritto di credito dell’appellante alla restituzione del residuo importo mutuato di Euro 8.000,00. Quindi, posto che la pronuncia in ordine alla rinuncia al vantaggio della dispensa dall’onere della prova non è stato oggetto di motivo di ricorso e non si pone alcuna questione sul punto, è evidente che la sentenza ha considerato il fatto dell’avvenuto pagamento dell’acconto, tanto che lo ha scomputato dall’importo che ha accertato oggetto di mutuo pari a Euro 15.000,00. L’ulteriore tesi del ricorrente, secondo la quale la dichiarazione del l’avvenuto pagamento dell’acconto di Euro 7.000,00 era stata apposta sul retro dell’assegno di Euro 30.000,00 e perciò attestava che il debito residuo era di Euro 23.000,00 non comporta la fondatezza del motivo, in quanto non si verte nell’ ipotesi del vizio di cui all’art. 360 co.1 n. 5 cod. proc. civ., relativo all’ omesso esame di fatto decisivo, e cioè di fatto che -se esaminato- avrebbe determinato un diverso esito al giudizio (cfr. Cass. Sez. U 7-4-2014 n. 8053 Rv. 629831-01). Si rimane nell’ambito di una mera risultanza probatoria, di per sé equivoca, in
quanto è evidente che la circostanza del l’attestazione del ricevimento dell’acconto, sottoscritta sia dal mutuante che dal mutuatario sul retro dell’assegno di Euro 30.000,00, risulta ugualmente compatibile con il dato, sostenuto dal convenuto, che l’assegno fosse stato consegnato a garanzia dell’importo mutuato di Euro 15.000,00.
12. Con l’ottavo motivo il ricorrente deduce ‘ nullità della sentenza per motivazione apodittica; violazione e falsa applicazione dell’art. 132 comma 1 n. 4 c.p.c. e dell’art. 118 comma 1 disp. att. c.p.c. in relazione all’art. 360 comma 1 n.4 c.p.c.’ e con esso il ricorrente censura la sentenza impugnata per averlo integralmente condannato al pagamento delle spese del giudizio di appello, dichiarandolo ‘soccombente’; ciò, nonostante l’accoglimento del suo appello incidentale in ordine al pagamento degli interessi moratori, sui quali il primo giudice non si era pronunciato, per cui vi era la soccombenza d ell’appellante COGNOME sul punto.
12.1.Il motivo è infondato.
La motivazione della sentenza impugnata, laddove ha dichiarato di porre le spese di lite del grado di appello a carico dell’appellato COGNOME ‘soccombente’, ha soddisfatto il requisito del rispetto del minimo costituzionale, in quanto ha esplicitato il concetto di avere ritenuto l’appell ato COGNOME soccombente; ciò per il fatto che l’appello della controparte è stato accolto e l’importo da restituire in forza del mutuo è stato ridotto a quello che lo stesso appellante COGNOME riconosciuto di dovere pagare già dal primo grado. Non è vero che, nel valutare la soccombenza, la sentenza non abbia considerato l’accoglimento dell’appello incidentale, rel ativo al riconoscimento degli interessi : l’appello incidentale è stato parzialmente accolto, in quanto gli interessi erano stati richiesti dal 30-9-2007, data di emissione dell’assegno e sono stati riconosciuti dal 13 -2-2012, data della messa in mora . Quindi, valutata tale circostanza e il dato dell’integrale
accoglimento dell’appello principale, la sentenza impugnata ha ritenuto la maggiore soccombenza in capo all’appella to, senza che gli argomenti del ricorrente siano volti a censurare in modo specifico e pertinente tale statuizione.
13.Con il nono motivo, svolto in via gradata, il ricorrente deduce ‘nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c. in relazione all’art. 360 comma 1 n.4 c.p.c.’ e lamenta che le spese di lite del secondo grado non siano state compensate, a fronte della soccombenza reciproca determinata dall’accoglimento dell’appello incidentale.
13.1.Il motivo è inammissibile in quanto, in tema di spese processuali, il sindacato della Corte di cassazione è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa; esula da tale sindacato, rientrando nel potere discrezionale del giudice di merito, la valutazione dell’opportunità di compensare le spese in tutto o in parte , sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca che in quella di concorso di altri motivi che giustifichino la compensazione (Cass. Sez. 6-3 17-10-2017 n. 24502 Rv. 646335-01, Cass. Sez. 5 31-3-2017 n. 8421 Rv. 643477-02, Cass. Sez. 5 19-6-2013 n. 15317 Rv. 62718301).
14.In conclusione il ricorso è integralmente rigettato e, in applicazione del principio della soccombenza, il ricorrente deve essere condannato alla rifusione a favore del controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, in dispositivo liquidate.
In considerazione dell’esito del ricorso, ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello previsto per il ricorso ai sensi del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente alla rifusione a favore del controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi, Euro 3.000,00 per compensi, oltre 15% dei compensi a titolo di rimborso forfettario delle spese, iva e cpa ex lege.
Sussistono ex art.13 co.1-quater d.P.R. 30 maggio 2002 n.115 i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del co.1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione