Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 5187 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 5187 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/02/2025
OGGETTO:
appalto
RG. 23422/2023
C.C. 18-2-2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 23422/2023 R.G. proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME c.f. CODICE_FISCALE rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME
con domicilio digitale COGNOMEEMAILpec.ordineavvocativiterbo.it ricorrente
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, p.i. P_IVA, rappresentata e difesa dall’avv. dall’avv. NOME COGNOME e dall’avv. NOME COGNOME elettivamente domiciliata in Roma presso l’avv. COGNOME nel suo studio in INDIRIZZO controricorrente
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE quale titolare dell’omonima ditta individuale intimato avverso la sentenza n. 2612/2023 della Corte d’Appello di Roma, depositata il 12-4-2023,
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18-22025 dal consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.NOME COGNOME ha proposto opposizione al decreto ingiuntivo con il quale il Tribunale di Civitavecchia l’ha condannata a pagare alla ditta individuale COGNOME di NOME COGNOME l’importo di Euro 26.000,00, quale corrispettivo per opere di cantiere svolte dalla ditta, elencate nella fattura n. 1 del 13-1-2010 ; l’opponente ha dedotto di avere pagato Euro 22.000,00 senza ricevere fattura e di non avere corrisposto altre somme per la mancata esecuzione dei relativi lavori.
Il Tribunale di Civitavecchia, concessa la provvisoria esecuzione al decreto ingiuntivo su istanza dell’ingiungente opposto , con sentenza n. 62/2017 depositata il 26-10-2017 ha disposto lo stralcio della documentazione prodotta dall’opponente con allegazione in cartaceo all’udienza di precisazione delle conclusioni e della documentazione depositata telematicamente solo con la comparsa conclusionale e ha rigettato l’opposizione al decreto ingiuntivo.
NOME COGNOME ha proposto appello, che la Corte d’appello di Roma ha integralmente rigettato con sentenza n. 2612/2023 depositata il 12-4-2023.
La sentenza ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva dichiarato inammissibili i documenti -relativi alle dichiarazioni rese al difensore dell’opponente ex art. 391 cod. proc. pen. dai testi non ammessi in sede civileprodotti all’udienza del 9 -6-2016 di precisazione delle conclusioni, in quanto il deposito non era avvenuto nella forma telematica obbligatoria per gli atti endoprocessuali; ha dichiarato ammissibile la produzione dei verbali di interrogatorio di NOME COGNOME e NOME COGNOME eseguiti dalla Guardia di Finanza il 21/22-2-2017, in quanto formati successivamente alla sentenza di primo grado e allegati all’atto di appello in data nella quale non era obbligatorio il deposito telematico in appello.
La sentenza ha altresì confermato la pronuncia di primo grado che aveva ritenuto inammissibile la prova per testi dei pagamenti di Euro 12.000,00 a favore di NOME COGNOME e di Euro 10.000,00 a favore di NOME COGNOME Ha escluso che elementi di prova di quei pagamenti emergessero dai verbali della Guardia di Finanza, in quanto il titolare della ditta aveva ammesso il pagamento in contanti di Euro 12.000,00 per i lavori inizialmente commissionati, ma non aveva reso alcuna dichiarazione confessoria per i lavori successivi e sicuramente NOME COGNOME non aveva ammesso di avere girato alcuna somma al Flumini. Quindi ha concluso che, anche alla luce della nuova documentazione prodotta in appello, non vi era prova del pagamento della somma di Euro 22.000,00 in contanti per l’esecuzione dei lavori indicati nella fat tura e invece, per quanto riguardava l’esecuzione dei lavori di cui era chiesto il pagamento , l’appellante si era limitata a contestare che non risultava provato lo smaltimento dei materiali in discarica, ma non aveva contestato che lo smaltimento fosse stato eseguito.
2.Avverso la sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi.
RAGIONE_SOCIALE quale successore dell ‘impresa individuale RAGIONE_SOCIALE di Flumini NOME ha resistito con controricorso, mentre NOME COGNOME è rimasto intimato.
Il 5-6-2024 il consigliere delegato ha depositato proposta di definizione accelerata del giudizio ex art. 380-bis cod. proc. civ. nel senso di dichiararne l’inammissibilità e il 15 -7-2024 il difensore munito di nuova procura speciale ha chiesto la decisione.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ex art. 380bis.1 cod. proc. civ. e in prossimità dell’adunanza in camera di consiglio entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa.
All’esito della camera di consiglio del 18-2-2025 la Corte ha riservato il deposito dell’ordinanza.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente si dà atto che non sussiste l’incompatibilità del consigliere relatore per essere stato anche l’estensore della proposta di definizione ex art. 380-bis cod. proc. civ., in forza dei principi enunciati da Cass. Sez. U 10-4-2024 n. 9611 (Rv. 670667-01), alla quale è sufficiente in questa sede rinviare.
2.Il primo motivo di ricorso è intitolato ‘ violazione e falsa applicazione artt. 87 disposizioni di attuazione del Codice di procedura civile in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. nonché dell’art. 6 della Convenzione Europea per i diritti dell’Uomo sul giusto ed equo processo’; con essa la ricorrente sostiene che, a fronte della previsione dell’art. 87 disp. att. cod. proc. civ. secondo la quale i documenti possono essere prodotti all’udienza, la Corte d’appello e il Tribunale abbiano errato, violando anche la Convenzione EDU, nello stralciare la documentazione depositata all’udienza di precisazione delle conclusioni e telematicamente solo con la comparsa conclusionale.
2.1.Il motivo è inammissibile per le modalità con le quali è stato formulato.
E’ già stato enunciato il principio secondo il quale la violazione di norme processuali può costituire motivo idoneo di ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 4 cod. proc. civ. solo quando la violazione abbia influito in modo determinante sul contenuto della decisione di merito, ovvero allorché la decisione di merito, in assenza di tale vizio, non sarebbe stata resa nel senso in cui lo è stata; ciò in quanto i vizi dell’attività del giudice non sono posti a tutela di un interesse all’astratta regolarità dell’attività giudiziaria, ma a garanzia dell’eliminazione del pregiudizio concretamente subito dal diritto di difesa in dipendenza del denunciato vizio (Cass. Sez. 3 11-11-2015 n. 22978 Rv. 637775-01, Cass. Sez. 6-3 9-7-2014 n. 15676 Rv. 63227901, Cass. Sez. 3 12-9-2011 n. 18635 Rv. 619534-01). E’ stato
enunciato altresì il principio secondo il quale anche la censura relativa alla violazione dei principi regolatori del giusto processo deve avere carattere decisivo, cioè incidere sul contenuto della decisione e, dunque, arrecare un effettivo pregiudizio a chi la denuncia (Cass. Sez. 3 14-12-2024 n. 32574 Rv. 673114-02, Cass. Sez. 6-L 15-10-2019 n. 26087 Rv. 655459-01, Cass. Sez. 3 26-9-2017 n. 22341 Rv. 64602003). Inoltre, la censura concernente la violazione delle regole processuali ex art. 360 co. 1 n. 4 cod. proc. civ., qualora investa la mancata ammissione in appello di istanze istruttorie, è ammissibile solo in quanto spieghi come e perché le istanze in parola, se accolte, sarebbero state suscettibili di rovesciare l’esito del giudizio di primo grado (Cass. Sez. 3 12-4-2023 n. 9674 Rv. 667395-01).
Nella fattispecie il motivo è inammissibile perché la ricorrente, limitandosi a lamentare la mancata ammissione dei documenti relativi agli atti dell’indagine penale da lei prodotti in primo grado e facendo generico richiamo al loro contenuto confessorio, non ha eseguito il circostanziato riferimento al contenuto di tali documenti, che sarebbe stato necessario al fine di spiegare che quei verbali fossero in grado di rovesciare l’esito del giudizio. Ne consegue che non emerge il pregiudizio concretamente subito al diritto di difesa, perché non si apprezza in quali termini gli atti relativi all’indagine penale non ammessi avrebbero potuto essere valutati diversamente rispetto agli altri indagine dell’indagine penale, di cui la Corte territoriale ha ammesso la produzione nel giudizio di appello e che ha escluso dimostrassero i pagamenti che l’appellante sosteneva di avere eseguito.
3.Il secondo motivo di ricorso è intitolato ‘ violazione e falsa applicazione art. 345 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.’ e con esso la ricorrente lamenta che la sentenza impugnata abbia ammesso la produzione degli atti di indagine formatisi dopo la conclusione del
giudizio di primo grado parzialmente, escludendone la parte relativa alle dichiarazioni rese dalle persone indicate come testimoni in primo grado, la cui testimonianza non era stata ammessa; rileva che il titolare della ditta, il quale aveva negato in sede civile di avere ricevuto somme in contanti, in sede di procedimento penale aveva ammesso la circostanza.
3.1.Il motivo è inammissibile per le ragioni già esposte con riguardo al primo motivo, e cioè perché la ricorrente, non facendo specifico riferimento al contenuto dei documenti, non spiega come e perché tali documenti non ammessi in appello avrebbero potuto rovesciare l’esito del giudizio di primo grado, come richiesto al fine di dedurre con il ricorso per cassazione la mancata ammissione di istanze istruttorie ex art. 345 co. 3 cod. proc. civ. (Cass. 9674/2023, già citata, Cass. Sez. 2 13-7-2017 n. 17399 Rv. 644852-01). Si esclude che il riferimento necessario al contenuto dei documenti sia compiuto nel motivo facendo richiamo alla natura confessoria delle dichiarazioni rese dal titolare della ditta in sede penale, perché non si tratta di riferimento circostanziato al contenuto di quelle dichiarazioni al fine di farne emergere la sostenuta natura confessoria; ciò, a fronte del fatto che la sentenza impugnata ha escluso, con pronuncia non censurata in modo ammissibile dalla ricorrente, che dagli atti di indagine acquisiti emergessero dichiarazioni confessorie della controparte.
4. Con il terzo motivo la ricorrente deduce ‘ violazione e falsa applicazione artt. 2721 e 2726 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 3 e 5 c.p.c.’; lamenta che sia stata eseguita interpretazione letterale della disposizione sul limite di valore all’ammissibilità della prova testimoniale, nonostante il limite ai valori attuali sia irrisorio; evidenzia la peculiarità della vicenda contrattuale, nella quale nessun atto negoziale era stato redatto per iscritto, malgrado l’importanza degli importi, pari a Euro 22.000,00; perciò lamenta la disparità di
trattamento tra le parti, in quanto alla controparte è stato riconosciuto di avere eseguito le opere sulla base di semplice fattura e alla ricorrente è stato negato il diritto di provare il pagamento. Aggiunge che la circostanza che il resistente avesse dichiarato nelle indagini penali di avere ricevuto somme in contanti avrebbe dovuto allertare il giudicante sulla bontà delle dichiarazioni di NOME COGNOME e le avrebbe dovuto consentire di provare per testimoni di avere adempiuto; richiama i principi secondo i quali la fattura non può costituire prova del credito e quindi dichiara che non si comprende in base a quale ragionamento giuridico e logico il giudicante abbia conferito prova certa alla fattura contestata dall’opponente; rileva altresì che vi era in atti la documentazione bancaria dalla quale era evincibile il prelievo delle somme indicate e richiama Cass. Sez. U 16723/2020 al fine di ulteriormente evidenziare che nella fattispecie la prova per testimoni era ammissibile.
4.1.Il motivo è inammissibile in primo luogo per le modalità con le quali è stato formulato, in quanto svolge una serie di considerazioni nelle quali non è consentito individuare con chiarezza le ragioni delle doglianze.
Inoltre, per quanto è dato comprendere, il motivo asseritamente proposto ex art. 360 co. 1 n. 5 cod. proc. civ. è inammissibile ai sensi dell’art. 360 co. 4 cod. proc. civ. , perché la pronuncia di appello conferma la decisione di primo grado per le stesse ragioni inerenti ai medesimi fatti poste a base della decisione impugnata. Per di più, il motivo proposto ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 5 cod. proc. civ. è inammissibile anche perché non individua il fatto o i fatti specifici oggetto di discussione tra le parti e che abbiano avuto carattere decisivo, nei termini richiesti da Cass. Sez. U 7-4-2014 n. 8053 Rv. 629831-01; le deduzioni svolte dalla ricorrente si limitano a lamentare la complessiva valutazione delle risultanze istruttorie in termini a lei
sfavorevoli e perciò si risolve in una richiesta di complessiva rivalutazione dei fatti, in quanto tale inammissibile in fase di legittimità.
Per quanto è ulteriormente dato comprendere, il motivo proposto ex art. 360 co. 1 n. 3 cod. proc. civ. per la violazione e falsa applicazione degli artt. 2721 e 2726 cod. proc. civ. con riguardo alla mancata ammissione delle prove testimoniali, è a sua volta inammissibile ai sensi dell’art. 366 co. 1 n. 6 cod. proc. civ. come novellato dal d.lgs. 149/2022, perché non fa alcun riferimento al contenuto dei capitoli di prova per testi dei quali si lamenta la mancata ammissione.
Inoltre, è stato più volte enunciato il principio secondo il quale, in tema di prova testimoniale, ove il giudice di merito ritenga di non poter derogare al limite di valore previsto, per essa, dall’art. 2721 cod. civ., non è neppure tenuto a esporre le ragioni della pronuncia di rigetto dell’istanza di prova, trattandosi di mantenere quest’ultima entro il suo fisiologico limite di ammissibilità (Cass. Sez. 2 14-3-2022 n. 8181 Rv. 664473-01, Cass. Sez. 3 19-8-2003 n. 12111 Rv. 565942-01 ). E’ stato altresì e nunciato il principio secondo il quale l’ammissione della prova testimoniale oltre i limiti di valore stabiliti dall’art. 2721 cod. civ. costituisce un potere discrezionale del giudice di merito, il cui esercizio o mancato esercizio è insindacabile in sede di legittimità se correttamente motivato (Cass. Sez. 2 9-1-2020 n. 190 Rv. 65682701); specificamente in tema di pagamento, poiché ai sensi dell’art. 2726 cod. civ. le norme stabilite per la prova testimoniale si applicano anche al pagamento e alla remissione di debito, è ammessa la deroga al divieto della prova testimoniale in ordine al pagamento di somme di denaro eccedenti il limite previsto dall’art. 2721 cod. civ., ma la deroga è subordinata a una concreta valutazione delle ragioni in base alle quali, nonostante l’esigenza di prudenza e di cautela che normalmente richiedono gli impegni relativi a notevoli esborsi di denaro, la parte non
abbia curato di predisporre una documentazione scritta (Cass. Sez. 2 20-4-2020 n. 7940 Rv. 657591-01, Cass. Sez.2 25-5-1993 n. 5884 Rv. 482515-01). Nessun principio di segno diverso è posto da Cass. Sez. U 5-8-2020 n. 16723 Rv. 658630-01 richiamata dalla ricorrente, relativa alla questione dell’inammissibilità della prova testimoniale di contratto che deve essere provato per iscritto ai sensi dell’art. 2725 co. 1 cod. civ.
Nella fattispecie la sentenza impugnata ha compiutamente e logicamente esposto le ragioni per le quali ha ritenuto di non potere derogare al limite di valore al fine dell’ammissione della prova del pagamento per testimoni, dichiarando espressamente di considerare a tal fine l’importo della fattura, la qualità delle parti, la mancanza di un qualche principio di prova per iscritto, la mancanza di elementi di prova provenienti dai verbali di interrogatorio avanti alla Guardia di Finanza. Quindi, in applicazione dei principi sopra esposti, la decisione risulta incensurabile in sede di legittimità.
5.In conclusione, il ricorso è integralmente rigettato e, in applicazione del principio della soccombenza, la ricorrente deve essere condannata alla rifusione a favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità.
Inoltre, poiché le ragioni in forza delle quali il ricorso è rigettato sono pienamente conformi a quelle esposte nella proposta formulata ex art. 380-bis cod. proc. civ., devono essere applicati, come previsto dal comma terzo dello stesso art. 380-bis cod. proc. civ., il terzo e il quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ., con la conseguent e condanna della ricorrente al pagamento a favore della controricorrente di somma equitativamente determinata nella misura di cui in dispositivo, nonché al pagamento di ulteriore somma a favore della cassa delle ammende.
Come evidenziato da Cass. Sez. U 27-9-2023 n. 27433 (Rv. 668909-01) e Cass. Sez. U 13-10-2023 n. 28540 (Rv. 669313-01),
l’art. 380 -bis co.3 cod. proc. civ., richiamando, per i casi di conformità tra proposta e decisione finale, l’art. 96 co. 3 e 4 cod. proc. civ., codifica, attraverso una valutazione legale tipica compiuta dal legislatore, un’ipotesi di abuso del processo, giacché non attenersi alla delibazione del proponente che trovi conferma nella decisione finale lascia presumere una responsabilità aggravata.
Infine, in considerazione dell’esito del ricorso, ai sensi dell’art. 13 co. 1-quater d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente alla rifusione a favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 3.000,00 per compensi, oltre 15% dei compensi a titolo di rimborso forfettario delle spese, iva e cpa ex lege;
condanna la ricorrente al pagamento ex art. 96 co. 3 cod. proc. civ. di Euro 1.500,00 a favore della controricorrente ed ex art. 96 co. 4 cod. proc. civ. di Euro 1.000,00 a favore della cassa delle ammende.
Sussistono ex art.13 co.1-quater d.P.R. 30 maggio 2002 n.115 i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del co.1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione