Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 32979 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 32979 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 17/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12286/2021 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona dell’amministratore, NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, pec:
EMAIL;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE Gruppo Ferrovie dello Stato ItalianeRAGIONE_SOCIALE in persona del Responsabile della Direzione Legale, NOME COGNOME rappresentata e difesa, congiuntamente e disgiuntamente, dagli avvocati NOME COGNOME (CODICE_FISCALE e NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO
-controricorrente-
avverso la sentenza della Corte d’appello di Perugia n. 599/2020, depositata in data 28/12/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La domanda della RAGIONE_SOCIALE avente ad oggetto la condanna di RAGIONE_SOCIALE al pagamento della somma di euro 16.400,00, quale costo per la bonifica della sede stradale e lo smaltimento del carico riversatosi sulla stessa a seguito di un incidente stradale, sostenuto nell’interesse della convenuta, nella qualità di ente gestore di tale tratto stradale, obbligato a provvedere alla pulizia delle strade e delle loro pertinenze, veniva rigettata dal Tribunale di Terni, il quale, con la sentenza n. 439/2018, riteneva sfornito di prova l’avvenuto pagamento nei confronti della RAGIONE_SOCIALE che, per conto dell’attrice, aveva provveduto al trasporto e allo smaltimento del carico di pesce surgelato che si era riversato sulla SS3 Flaminia a seguito del sinistro stradale che aveva causato il ribaltamento dell’autoarticolato che lo trasportava, e per le cui prestazioni la RAGIONE_SOCIALE aveva emesso la fattura n. E001744 del 25-09 2007. Il tribunale rigettava anche la domanda ex art. 2041 cod. civ., formulata in via subordinata, non risultando provata la diminuzione patrimoniale subita dall’attrice.
All’esito del giudizio di appello promosso dalla RAGIONE_SOCIALE, la Corte di Appello di Perugia, con la sentenza n. 599/2020, depositata in data 28/12/2020 , ha rigettato l’appello e confermato la sentenza impugnata, ritenendo che il pagamento alla RAGIONE_SOCIALE NOME non potesse essere provato per testimoni, ex art. 2721 cod. civ., e che «il mancato assolvimento dell’onere probatorio circa l’effettività del pagamento priverebbe di rilievo anche l’azione di arricchimento, avanzata in subordine da parte appellante, la quale, in ogni caso, si pone già, ex ante , come inammissibile, per il suo carattere di assoluta sussidiarietà e residualità in astratto, che ne impedisce la proposizione, per l’appunto in subordine, unitamente ad altra domanda astrattamente proponibile».
RAGIONE_SOCIALE ricorre ora per la cassazione di detta sentenza, formulando tre motivi.
Resiste con controricorso RAGIONE_SOCIALE
È stata disposta la trattazione in Camera di Consiglio, in applicazione degli artt. 375 e 380bis 1 cod. proc. civ.
Il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza decisoria nei sessanta giorni dalla data della camera di consiglio.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo del ricorso si denunzia «Violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., degli artt. 2721, comma 1, e 2726 c.c.».
La censura investe la statuizione con cui il giudice a quo , applicando l’art. 2721 cod. civ., ha ritenuto che non potesse essere provato per testimoni l’avvenuto pagamento alla RAGIONE_SOCIALE della somma richiesta in giudizio. La ricorrente adduce che i limiti legali di prova di un contratto per il quale sia richiesta la forma scritta ‘ ad substantiam ‘ o ad ‘ probationem ‘ , così come i limiti di valore previsti dall ‘ articolo 2721 cod. civ. per la prova testimoniale, operano esclusivamente quando il suddetto contratto sia invocato in giudizio come fonte di reciproci diritti ed obblighi tra le parti contraenti e non anche quando se ne evochi l ‘ esistenza come semplice fatto storico influente sulla decisione del processo ed il contratto risulti stipulato non tra le parti processuali, ma tra una sola di esse ed un terzo (Cass. n. 3336/2015), ed inoltre che i limiti probatori indicati nelle due norme citate dalla c orte d’appello (gli artt. 2722 e 2726 cod. civ.) riguardano soltanto i rapporti tra le parti del contratto, « non i rapporti tra i contraenti ed i terzi con cui essi siano entrati in contatto in forza di rapporti connessi a quello contrattuale » (Cass. n. 20257/14). In aggiunta, la società ricorrente evoca Cass. n. 7090/2015, la quale ha precisato che l’art. 2726 cod. civ., estendendo al pagamento i limiti alla prova testimoniale, intende « riferirsi all’estinzione del debito nascente dalla fonte contrattuale » , allo scopo di dimostrare che la fattispecie dedotta in giudizio, in cui il pagamento non aveva ad oggetto
l’estinzione del debito nascente dalla fonte contrattuale, ma il pagamento delle somme spettanti ad un terzo (nella specie, RAGIONE_SOCIALE) non era sottoposto ai limiti della prova testimoniale.
Con il secondo motivo si denunzia «Violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c. dell’art. 2721, 2° comma».
Premesso che in appello aveva denunciato che la prova per testi del pagamento in questione era stata ammessa con l’ordinanza riservata del 13/01/2016, senza che ne fosse rilevata alcuna inammissibilità, ed era stata espletata all’udienza del 9 marzo 2016, e che, quindi, il giudice aveva in ogni caso fatto uso del potere discrezionale, concesso dalla norma di cui al 2° comma dell’art. 2721 cod. civ., di ammettere la prova testimoniale nonostante i limiti di valore, la ricorrente si duole del rigetto del motivo di appello da parte della corte distrettuale, giustificato con il fatto che l’ordinanza di ammissibilità della prova testimoniale non vincolava il giudice, il quale anche dopo l’escussione dei testi nel corso del giudizio era libero quanto alla valutazione di attendibilità e di idoneità della testimonianza espletata ai fini della prova del pagamento.
La corte d ‘appello avrebbe erroneamente ritenuto corretto l’ iter decisionale del giudice di prime cure che, dopo avere ammesso ed espletato la prova testimoniale, e nonostante non ne avesse il potere, in mancanza dell’eccezione di parte, aveva affermato che il pagamento, eccedendo gli euro 2,58, non poteva essere provato tramite testimoni, in quanto l’inammissibilità della prova per testi per superamento del limite di valore può essere affermata dal giudice soltanto se rilevata da controparte in primo grado: ipotesi non concretizzatasi nel caso di specie, atteso che RAGIONE_SOCIALE era rimasta volontariamente contumace. I limiti alla prova testimoniale, infatti, non attengono all’ordine pubblico, ma sono dettati nell’esclusivo interesse delle parti private e, qualora la prova
venga ammessa in primo grado oltre i limiti predetti, essa deve ritenersi ritualmente acquisita se la parte interessata non ne abbia tempestivamente eccepito la inammissibilità in sede di assunzione o nella sua prima difesa successiva nell’ambito dello stesso grado di giudizio. Ne consegue che la relativa nullità, essendo rimasta sanata, non avrebbe potuto essere eccepita e fatta valere per la prima volta in sede di appello neppure dalla parte rimasta contumace volontaria nel giudizio di primo grado ed a maggior ragione non avrebbe potuto essere eccepita per la prima volta in sede di legittimità (Cass. n. 3959/12; Cass. n. 21443/13 e Cass., Sez. Un., n. 16723/2020).
La ricorrente aggiunge che il principio secondo cui «la nullità per violazione dei limiti di ammissibilità della prova testimoniale sanciti dagli artt. 2721 c.c. e ss. rimane sanata, se non tempestivamente eccepita dalla parte interessata, non interferisce con il generale potere giudiziale di revoca delle ordinanze istruttorie attribuito dall’art. 177 c.p.c., né con il controllo affidato al collegio in sede di decisione della causa ai sensi dell’art. 178 comma 1, c.p.c., non essendo comunque tali strumenti esercitabili al fine di rilevare inammissibilità o nullità di cui il giudice non può disporre».
I primi due motivi di ricorso, che possono essere esaminati unitariamente, poiché attengono entrambi alla statuizione con cui la corte d ‘ appello ha ritenuto non utilizzabile la prova testimoniale, sono inammissibili.
La motivazione della decisione impugnata è articolata in due autonome rationes decidendi , ciascuna delle quali idonea a sorreggere la decisione: a) l’inammissibilità della prova per testi del pagamento; b) l’inidoneità probatoria della deposizione testimoniale resa da NOME COGNOME, dipendente della società qui ricorrente.
È pacifico, nella giurisprudenza di legittimità, l’assunto secondo cui ove una sentenza (o un capo di questa) si fondi su più ragioni,
tutte autonomamente idonee a sorreggerla, è necessario -per giungere all’annullamento della pronunzia non solo che ciascuna di esse abbia formato oggetto di specifica censura, ma anche che il ricorso abbia esito positivo nella sua interezza con l ‘ accoglimento di tutte le censure, affinché si realizzi lo scopo stesso dell ‘impugnazione. Questa, infatti, è intesa all’annullamento della sentenza in toto , o in un suo singolo capo, id est di tutte le ragioni che autonomamente sorreggano l ‘ una o l ‘ altro. È sufficiente, pertanto, che anche una sola delle dette ragioni non formi oggetto di censura, ovvero che sia respinta la censura relativa anche ad una sola delle dette ragioni, perché il motivo di impugnazione debba essere respinto nella sua interezza, divenendo inammissibili, per difetto di interesse, le censure avverso le altre ragioni (in tale senso, cfr. tra le pronunce massimate, più recenti Cass. 26/02/2024, n. 15102 ).
Ora, il giudice a quo ha ritenuto insufficiente ai fini della prova dell’avvenuto pagamento della fattura oggetto di controversia la testimonianza resa dalla teste COGNOME limitatasi a riferire di aver provveduto al pagamento, e ha sorretto detta valutazione con una motivazione – «in quanto non sufficientemente circostanziata, priva dei necessari riscontri fattuali» – che non presta il fianco a critiche, essendo conforme all’indirizzo di questa Corte che rimette al giudice del merito la valutazione discrezionale della prova testimoniale sia quanto agli elementi di natura oggettiva (la precisione e completezza della dichiarazione, le possibili contraddizioni, ecc.) sia quanto ai profili di carattere soggettivo (la credibilità della dichiarazione in relazione alle qualità personali, ai rapporti con le parti ed anche all’eventuale interesse ad un determinato esito della lite), con la precisazione che anche uno solo degli elementi di carattere soggettivo, se ritenuto di particolare rilevanza, può essere sufficiente a motivare una valutazione di
inattendibilità (Cass. 18/04/2016, n. 7623; Cass. 09/08/2019, n . 21239; Cass. 30/09/2021, n. 26547 ).
La ratio decidendi con cui il giudice a quo ha ritenuto inattendibile la suddetta deposizione testimoniale resiste alle critiche della società ricorrente, rendendo privo di interesse lo scrutinio della censura che ha attinto l’altra ragione giustificativa -l’inammissibilità della prova per testi – che indipendentemente dalla sua fondatezza non porterebbe alla cassazione della pronuncia impugnata sul punto.
Con il terzo motivo si denunzia «Violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., dell’art. 2042 c.c.».
Ad essere oggetto di confutazione è la statuizione con cui la Corte distrettuale ha ritenuto inammissibile l’azione di arricchimento, avanzata in subordine da parte appellante, «per il suo carattere di assoluta sussidiarietà e residualità in astratto, che ne impedisce la proposizione, per l’appunto, in subordine, unitamente ad altra domanda astrattamente proponibile».
La tesi del ricorrente è che la natura generale e sussidiaria dell’azione di arricchimento senza causa non impone la sua proposizione in via principale, al contrario essa può ben essere proposta in via subordinata per il caso in cui «venga negata l’esistenza di altra azione, fondata su titolo specifico, proposta in via principale». Quando le domane si riferiscono alla medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio, attengono al medesimo bene della vita, tendenzialmente inquadrabile in una pretesa di contenuto patrimoniale «sono legate da un rapporto di connessione ‘di incompatibilità’, non solo logica ma addirittura normativamente prevista, stante il carattere sussidiario dell’azione di arricchimento, ai sensi dell’art. 2042 cod. civ., e tale nesso giustifica ancor di più il ricorso al simultaneus processus » (Cass., Sez. Un., n. 22404/2018).
Il motivo è, per alcuni versi, inammissibile, per altri, infondato.
La ragione di inammissibilità è da individuare nella inefficace censura della mancata prova dell’avvenuto pagamento.
Sul principio di residualità e di sussidiarietà -risolvendo il contrasto di giurisprudenza esistente sul tema -si sono pronunciate le Sezioni Unite di questa Corte (Cass., Sez. Un., 5/12/2023, n. 33954/2023), enunciando il seguente principio di diritto: « ai fini del rispetto della regola di sussidiarietà di cui all’art. 2042 c.c., la domanda di ingiustificato arricchimento (avanzata autonomamente ovvero in via subordinata rispetto ad altra domanda principale) è proponibile ove la diversa azione -sia essa fondata sul contratto ovvero su una specifica disposizione di legge ovvero ancora su clausola generale -si riveli carente ab origine del titolo giustificativo, restando viceversa preclusa ove quest ‘ ultima sia rigettata per prescrizione o decadenza del diritto azionato o per carenza di prova del pregiudizio subito o per nullità derivante dall ‘ illiceità del titolo contrattuale per contrasto con norme imperative o con l ‘ ordine pubblico » .
Il Collegio ritiene che il senso dell ‘ arresto appena citato, per quanto qui di interesse, sia che il requisito della sussidiarietà (e quindi l ‘ ammissibilità) dell ‘ azione debba escludersi quando l ‘ azione principale non sia accolta per fatto sostanzialmente imputabile all ‘ attore che si assuma impoverito, il quale abbia tenuto un comportamento inerte o non abbia assolto «qualche onere cui la legge subordinava la difesa di un suo interesse» (§ 6).
In questa ipotesi, non vi è carenza del titolo ab origine fondante la domanda principale, sì da dar luogo ad un concorso solo apparente di norme, ma un concorso che chiama in causa l’art. 2042 cod. civ. e che deve essere risolto precludendo alla parte che si sia vista rigettare la domanda proposta in via principale per difetto di prova di agire per ottenere lo stesso bene della vita ai sensi dell’art. 2041 cod. civ.
Pertanto, la corte territoriale, ritenendo inammissibile la domanda ex art. 2041 cod. civ., non è incorsa nel vizio che le è stato imputato, avendo accertato in concreto l’assenza del carattere della sussidiarietà.
5, Il ricorso va, in definitiva, rigettato.
Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui all’art. 13, comma 1 quater , del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la società ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità in favore della società controricorrente, liquidandole in complessivi euro 2.300,00, oltre a euro 200,00 per esborsi, nonché alle spese generali ed accessori di legge.
Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui all’art. 13, comma 1 quater , del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, per il versamento al competente ufficio di merito, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso (se dovuto e nei limiti in cui lo stesso sia dovuto), a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile, in