Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 11916 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 11916 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 06/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso 23130-2021 proposto da:
COGNOME in proprio e quale legale rappresentante di “RAGIONE_SOCIALE, domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME;
– ricorrente –
contro
I.T.L. – ISPETTORATO TERRITORIALE DEL LAVORO DI
COGNOME in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla INDIRIZZO
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 79/2021 della CORTE D’APPELLO di GENOVA, depositata il 21/04/2021 R.G.N. 323/2020;
Oggetto
Opposizione ordinanza ingiunzione
R.G.N. 23130/2021
COGNOME
Rep.
Ud. 11/03/2025
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 11/03/2025 dal Consigliere Dott. NOMECOGNOME
RILEVATO CHE
la Corte di Appello di Genova, con la sentenza impugnata, ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva respinto il ricorso proposto da NOME COGNOME in proprio e quale legale rappresentante de RAGIONE_SOCIALERAGIONE_SOCIALE, avverso l’ordinan za con cui era stato ingiunto dalla Direzione Territoriale del Lavoro di Imperia il pagamento di euro 33.970,00, in solido con la società, ‘a titolo di sanzioni amministrative per violazioni inerenti la posizione non regolarizzata di due lavoratori, COGNOME NOME e NOME nei periodi specificati in atti’;
in sintesi, la Corte ha preliminarmente disatteso il primo motivo di appello con cui si censurava il Tribunale che aveva ritenuto tardive le richieste istruttorie formulate solo con la memoria depositata all’udienza del 20 giugno 2017; ha argomentato che, ai sensi dell’art. 6 del d. lgs. n. 150 del 2011, il procedimento era regolato dalle norme sul rito del lavoro, per cui l’opponente avrebbe dovuto indicare le prove richieste nel ricorso ex art. 414 c.p.c., mentre l’appellante non aveva ‘neppure allega to quali fossero gli elementi di novità emergenti dagli atti depositati dall’ITL, rispetto a quelli già portati a sua conoscenza con la notifica dei verbali e dell’ordinanza opposti nonché a seguito della richiesta di accesso dallo stesso formulata il 20.2.2014. Anzi, i sei capitoli di prova orali inerenti il merito dedotti con la memoria, , hanno ad oggetto le medesime circostanze già prospettate dallo COGNOME con gli scritti difensivi presentati nel corso del procedimento amministrativo
all’ITL nel febbraio 2013, ed erano pertanto tempestivamente deducibili con il ricorso in opposizione ai sensi dell’art. 414 c.p.c.’;
la Corte, poi, in base alla complessiva valutazione delle risultanze istruttorie, ha ritenuto provata l’esistenza dei due rapporti di lavoro con la società, valutando ‘l’ultroneità dell’espletamento dell’attività istruttoria ai sensi dell’art. 421 c.p.c. e l’insussistenza del beneficio della insufficienza di prove, invocate dall’appellante negli ultimi due motivi di appello, che vanno pertanto disattesi’;
per la cassazione di tale sentenza, ha proposto ricorso il soccombente con tre motivi; ha resistito con controricorso l’amministrazione convenuta; all’esito della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di sessanta giorni;
CONSIDERATO CHE
i motivi di ricorso possono essere sintetizzati come di seguito; 1.1. il primo denuncia, ai sensi del n. 3 dell’art. 360 c.p.c., la violazione dell’art. 111 Cost. e la violazione e falsa applicazione dell’art. 6 d. lgs. n. 150 del 2011, lamentando il pregiudizio al diritto di difesa per la mancata ammissione della prova orale richiesta in primo grado;
1.2. il secondo motivo denuncia: ‘Violazione dell’art. 360 n. 3) c.p.c. Violazione dell’art. 360 n. 5) c.p.c. Violazione dell’art. 111 Cost., comma II. Omesso esame di un punto decisivo dell’appello. Omesso esame dei motivi nn. 5) e 6) dell’appello’; si eccepisce che, contrariamente a quanto affermato in sentenza, la società ‘RAGIONE_SOCIALE‘ non era cessata ma, ancorché in liquidazione, risultava ancora esistente, per cui i due motivi
di appello concernenti il mancato ricorso ai poteri officiosi ex art. 421 c.p.c. e i presupposti per l’applicazione del beneficio della ‘insufficienza di prove’ avrebbero dovuto essere esaminati;
1.3. il terzo motivo denuncia la ‘incostituzionalità dell’art. 6 n. 8) d. lgs. n. 150/2011, in riferimento agli artt. 3, 111, commi 2 e 4, nella parte in cui non prevede per il ricorrente di dedurre e produrre a seguito del deposito di atti e documenti effettuato dall’Autorità che ha emesso il provvedimento’;
il ricorso non può trovare accoglimento;
2.1. il primo e il terzo motivo possono essere esaminati congiuntamente per connessione;
le censure, con cui si lamenta la mancata ammissione di prove richieste all’udienza del 20 giugno 2017, non solo sono inammissibili perché non riportano i contenuti delle istanze istruttorie disattese, al fine di valutarne la decisività, ma neanche confutano adeguatamente l’articolata motivazione della Corte territoriale che esclude che i documenti depositati dall’Ispettorato territoriale dieci giorni prima dell’udienza di discussione contenessero elementi non conosciuti in precedenza dall’op ponente, evidenziando piuttosto che la prova orale tardivamente richiesta riproduceva le medesime circostanze già prospettate dallo COGNOME in sede di procedimento amministrativo, per cui ben potevano essere articolate nel ricorso in opposizione ex art. 414 c.p.c.;
l’inammissibilità delle censure rende priva di rilevanza la questione di legittimità costituzionale prospettata col terzo mezzo;
2.2. il secondo motivo è da respingere;
ci si duole dell’omesso esame di motivi di appello erroneamente prospettando il vizio di cui ai numeri 3 e 5 dell’art. 360 c.p.c., quando l’omessa pronuncia su un motivo di gravame integra la
violazione dell’art. 112 c.p.c., deducibile ai sensi del n. 4 dell’art. 2360 c.p.c., e non già l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., in quanto il motivo di impugnazione non costituisce un fatto principale o secondario, bensì la specifica domanda sottesa alla proposizione dell’appello (cfr. Cass. n. 6835 del 2017 tra molte); inoltre la doglianza è anche infondata perché, come ricordato nello storico della lite, la sentenza gravata ha esplicitamente disatteso gli ‘ultimi due motivi di appello’, per cui di omissione di pronuncia non è dato parlare;
pertanto, il ricorso deve essere rigettato nel suo complesso, con spese che seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo;
ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, occorre altresì dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13 (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese liquidate in euro 3.500,00 per compensi professionali, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.