Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 6354 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 6354 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 08/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso 24582-2020 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
NOME;
– intimata – avverso la sentenza n. 413/2020 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 20/07/2020 R.G.N. 268/2020; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/12/2023 dal AVV_NOTAIO.
Oggetto
Licenziamento -reintegrazione -prova requisito dimensionale
R.G.N. 24582/2020
COGNOME.
Rep.
Ud. 13/12/2023
CC
RILEVATO CHE
la Corte d’Appello di Firenze ha respinto il reclamo proposto dalla società RAGIONE_SOCIALE nei confronti della sentenza del Tribunale di Pisa (a sua volta di rigetto dell’opposizione avverso l’ordinanza resa in esito alla fase sommaria nel rito cd. Fornero) dichiarativa dell’illegittimità del licenziamento intimato in data 9.8.2016 ad NOME COGNOME, dipendente dal 2011 con qualifica di operaia liv. IV CCNL terziario, addetta al controllo strutturale e morfologico dei prodotti metallici, in esito a procedimento disciplinare, con applicazione della tutela reintegratoria e risarcitoria ai sensi dell’art. 18, comma 4, legge n. 300/1970;
in particolare, la Corte d’Appello ha confermato la decisione di primo grado reclamata, riconducendo la mancanza contestata (fallimento di 4 o 5 controlli sul totale di circa 4.000 al giorno da effettuare) a negligenza punibile con sanzione conservativa; ha ritenuto, ai fini della tutela reintegratoria, la mancata dimostrazione da parte del datore di lavoro dell’insussistenza del requisito dimensionale previsto dall’art. 18 legge n. 300/1970, e la tardività della produzione sul punto di documentazione in fase di reclamo, trattandosi di questione già emersa nella fase di merito e integrabile in fase di opposizione, così non giustificandosi l’esercizio di poteri officiosi;
la società propone ricorso per cassazione con 3 motivi, illustrati da memoria; non si è costituita nel presente giudizio la lavoratrice intimata; al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza;
CONSIDERATO CHE
con il primo motivo di ricorso per Cassazione la società deduce violazione degli artt. 360, n. 5, e 112 c.p.c. per omessa pronuncia sulla domanda proposta in controversia se il reiterato mancato controllo di qualità affidato alla lavoratrice su particolari metallici destinati alle catene di produzione automotive o aeromobili costituisca giustificato motivo di licenziamento;
il motivo è inammissibile;
la Corte di merito non ha omesso la pronuncia sul punto, ma ha espressamente valutato che la mancanza contestata non costituiva giusta causa di licenziamento, perché punibile con sanzione conservativa; detta valutazione è stata congruamente motivata, in una situazione di conferma integrale in appello delle statuizioni di primo grado, che integra ipotesi di cd. doppia conforme rilevante ai sensi dell’art. 348-ter c.p.c. (ora 360, comma 4, c.p.c.) e dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., nel senso che, qualora la pronuncia di appello confermi la decisione di primo grado per le stesse ragioni, inerenti ai medesimi fatti posti a base della decisione impugnata, il ricorso per cassazione può essere proposto esclusivamente per i motivi di cui all’art. 360, primo comma, nn. 1), 2), 3), 4), c.p.c.; ricorre l’ipotesi di «doppia conforme», con conseguente inammissibilità della censura di omesso esame di fatti decisivi ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., non solo quando la decisione di secondo grado è interamente corrispondente a quella di primo grado, ma anche quando le due statuizioni siano fondate sul medesimo iter logico-argomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa, non ostandovi che il giudice di appello abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione già assunta
dal primo giudice (v. Cass. n. 26774/2016, n. 29715/2018, n. 20994/2019, n. 8320/2021, n. 7724/2022, n. 5934/2023, n. 5947/2023, n. 26934/2023);
con il secondo motivo viene dedotta violazione degli artt. 360, n. 3, 420, co. 6, 437, co. 2, c.p.c., 111 Cost., per avere la sentenza impugnata escluso l’ammissibilità di nuovi documenti indispensabili ai fini della decisione della causa, anche a fronte delle allegazioni precedentemente e ritualmente acquisite e già complete sul punto;
con il terzo motivo, si deduce violazione degli artt. 360, n. 3, 421 c.p.c., per avere la sentenza impugnata ritenuto di non procedere all’integrazione o assunzione d’ufficio della prova documentale fondata su scrittura obbligatoria del datore di lavoro indispensabile ai fini del definitivo accertamento della dimensione occupazionale della sede di Fauglia, dove lavorava controparte;
i motivi, da trattare congiuntamente per connessione, non sono fondati;
la Corte di merito ha, in proposito, richiamato in primo luogo i principi generali in tema di riparto dell’onere probatorio, ai fini dell’applicazione della tutela reale o obbligatoria al licenziamento di cui sia accertata l’invalidità; i fatti costitutivi del diritto soggettivo del lavoratore a riprendere l’attività e, sul piano processuale, dell’azione di impugnazione del licenziamento sono esclusivamente l’esistenza del rapporto di lavoro subordinato e l’illegittimità dell’atto espulsivo, mentre le dimensioni dell’impresa, inferiori ai limiti stabiliti dall’art. 18 legge n. 300/1970, costituiscono, insieme al giustificato motivo del licenziamento, fatti impeditivi che devono, perciò, essere provati dal datore di lavoro, anche per la finalità di non rendere troppo difficile l’esercizio del diritto del lavoratore, il quale, a differenza del datore di lavoro, è privo della “disponibilità” dei fatti idonei a provare il numero dei
lavoratori occupati nell’impresa (Cass. n. 9867/2017); quindi, l’eccezione datoriale di inapplicabilità della tutela reale, ai sensi dell’art. 18 cit., ha natura di eccezione in senso lato, sicché è nella facoltà del giudicante rilevarla d’ufficio e, nell’esercizio dei suoi poteri officiosi ex art. 421 c.p.c., con riferimento ai fatti allegati ed emersi dal contraddittorio, ammettere le prove indispensabili per decidere la causa sul punto (Cass. n. 12907/2017, n. 11940/2019);
tale disciplina deve essere coordinata con i principi di tempestività delle produzioni documentali e di conseguente preclusione di produzioni tardive, ove non giustificate dalla formazione o disponibilità successiva della documentazione in capo alla parte interessata;
nel rito del lavoro, il ricorrente che denunci in cassazione il mancato esercizio dei poteri istruttori di ufficio nel giudizio di merito, deve riportare in ricorso gli atti processuali dai quali emerge l’esistenza di una “pista probatoria” qualificata, ossia l’esistenza di fatti o mezzi di prova, idonei a sorreggere le sue ragioni con carattere di decisività, rispetto ai quali avrebbe potuto e dovuto esplicarsi l’officiosa attività di integrazione istruttoria demandata al giudice di merito, ed allegare, altresì, di avere espressamente e specificamente richiesto tale intervento nel predetto giudizio (cfr. Cass. n. 22628/2019 e giurisprudenza ivi richiamata);
tale necessaria specificazione risulta carente quanto al primo grado di giudizio, non risultando chiarita la localizzazione della sollecitazione di attività istruttoria officiosa sul punto in base a documenti prodotti in tale fase non univoci e che necessitavano di essere integrati;
tale integrazione, poi, è stata ritenuta tardiva nella fase di appello; nel rito del lavoro, la produzione di documenti successivamente al deposito degli atti introduttivi è
ammissibile solo nel caso di documenti formati o giunti nella disponibilità della parte dopo lo spirare dei termini preclusivi ovvero se la loro rilevanza emerga in ragione dell’esigenza di replicare a difese altrui, dovendo, altrimenti, la questione essere definita secondo la regola sull’onere della prova; e l’attivazione dei poteri istruttori d’ufficio del giudice del lavoro non può mai essere volta a superare gli effetti inerenti ad una tardiva richiesta istruttoria delle parti o a supplire ad una carenza probatoria totale, in modo da attribuire al giudice una funzione sostitutiva degli oneri di parte; tanto premesso, all’utilizzo dei poteri officiosi del giudice deve sempre presiedere il principio di imparzialità, e tale potere non può tradursi in una pura e semplice rimessione in termini o in una sanatoria di decadenze (cfr. Cass n. 33393/2019, n. 23605/2020), a maggior ragione in grado di appello;
a tali regole di contemperamento della possibilità di esercizio di poteri officiosi con il regime di preclusioni e con il dovere del convenuto di prendere tempestiva e precisa posizione sui fatti affermati da controparte e di proporre tempestivamente le eccezioni processuali e di merito rilevanti, caratterizzante il rito del lavoro, si è conformata la sentenza gravata, che pertanto resiste alle censure proposte in questa sede dalla società ricorrente;
non vi è luogo a provvedere sulle spese del grado per la mancata costituzione della lavoratrice;
ricorrono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale del 13