Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 8545 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 8545 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 28/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17387/2020 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, PUZONE CONSIGLIA, domiciliate presso l’avvocato NOME COGNOME EMAIL), che le rappresenta e difende giusta procura speciale a margine del ricorso.
–
ricorrenti – contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (EMAIL), che la rappresenta e difende, giusta procura speciale in calce al controricorso.
–
contro
ricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Napoli n. 6286/2019 depositata il 23/12/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22/01/2024
dal Consigliere dr.ssa NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
COGNOME NOME e COGNOME NOME propongono ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo articolato in due censure, avverso la sentenza n. 6286/2019 del 23 dicembre 2019, con cui la Corte d’Appello di Napoli ha rigettato il loro appello avverso la sentenza dell’11 gennaio 2013 del Tribunale di Napoli, Sezione distaccata di Casoria, che aveva a sua volta rigettato, per difetto di legittimazione attiva stante la mancata prova della qualità di eredi, la loro domanda di pagamento dell’indennizzo stipulata dal de COGNOME a copertura dell’incendio, poi verificatosi, del proprio autoveicolo.
Resiste con controricorso la compagnia assicurativa.
La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 -bis.1, cod. proc. civ.
Le ricorrenti hanno depositato memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con un unico motivo, articolato in due censure, le ricorrenti denunciano: ‘V iolazione e/o falsa applicazione degli artt. 183 cod. pro. civ., 24 Cost., art. 345 cod. proc. civ. e art. 2697 cod. civ. (motivo di ricorso di cui all’art. 360 n. 3 cod. proc. civ.); Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in ordine alla prova della legittimazione attiva in applicazione dell’art. 183 sesto comma cod. proc. civ. (motivo di ricorso di cui all’art. 360 n. 5 cod. proc.
civ.) ‘ .
Lamentano che la corte d’appello avrebbe errato in quanto: ‘gli attuali ricorrenti hanno fornito la prova della loro legittimatio ad causam in maniera tempestiva, perché la sig.ra NOME COGNOME ha dimostrato la sua qualità di erede con il deposito del certificato di morte del marito sig. NOME COGNOME, depositato nel primo termine ex art. 183 cod. proc. civ. in data 10.11.2010, dal quale è dato coerentemente desumere quel rapporto di parentela con il de COGNOME che legittima alla successione ai sensi degli artt. 565 ss. cod. civ. (Cass., 04/05/1999 n. 4414, Cass., 10/02/1995, n. 1484; Cass., 05/12/1978, n. 5730). Sotto questo profilo la sentenza impugnata integra una violazione/o falsa applicazione dell’art. 183 sesto comma cod. proc. civ. collegato all’art. 360 n. 3 e 5 cod. proc. civ.’ (p. 28 del ricorso).
Ed ancora le ricorrenti aggiungono, richiamando alcuni precedenti di legittimità, che, contrariamente a quanto sostenuto dalla corte d’appello , in violazione o falsa applicazione di legge, in materia di prova della legittimazione processuale in generale, oltre che in ispecie quando essa attenga alla qualità di erede, non scattano le ordinarie preclusioni istruttorie.
Il motivo è infondato, in entrambe le censure.
2.1. Va anzitutto premesso che l’impugnata sentenza rileva che, in difetto di impugnazione sul punto, si è formato il giudicato interno sulla circostanza per cui le odierne ricorrenti ed originarie attrici hanno prodotto la documentazione dello stato civile, attestante i presupposti di fatto della delazione ereditaria (decesso del de COGNOME ), nonché i relativi stati di coniugio e di filiazione, soltanto in occasione del deposito dalla terza memoria, deputata alla indicazione della prova contraria.
2.2. Ciò posto, va rilevato che per costante orientamento di questa Corte:
-la delazione, ovvero la chiamata all’eredità susseguente
all’apertura della successione, rappresenta un mero presupposto dell’assunzione della qualità di erede, ma non è sufficiente di per sé sola a fare assumere al chiamato tale qualità, giacché la legge non prevede alcuna presunzione in tal senso; così come la prova della qualità di erede non può conseguire neppure dalla presentazione della dichiarazione di successione, che ha valore di atto di natura meramente fiscale, com’è pacifico nell’orientamento di questa Corte (Cass. n. 13639/2018 e Cass. n. 8053/2017; Cass., n. 30761, depositata il 19 ottobre 2022; Cass., 30/04/2021, n. 11478);
-pertanto, il soggetto che promuove l’azione nella asserita qualità di erede di un altro soggetto, indicato come originario titolare del diritto fatto valere, deve allegare la propria legittimazione e deve dimostrare sia il decesso della parte originaria sia l’asserita qualità di erede, di tal che -in difetto di una prova siffatta- resta indimostrato uno dei fatti costitutivi del diritto ad agire o a contraddire (Cass., 30/08/2018, n. 21436: l’onere della prova della qualità di erede incombe sulla parte attrice, rappresentando la qualità di erede un elemento costitutivo del diritto azionato nei confronti del soggetto evocato in giudizio, in applicazione del principio generale di cui all’art. 2697 cod. civ.; v. inoltre Cass., 26/06/2018, n. 16814, secondo cui nel caso di azione proposta da un soggetto che si qualifichi erede in virtù di un determinato rapporto parentale o di coniugio, la produzione del certificato dello stato di famiglia è idonea a dimostrare l’allegata relazione familiare e, dunque, la qualità di soggetto che deve ritenersi chiamato all’eredità, ma non anche la qualità di erede, posto che essa deriva dall’accettazione espressa o tacita, non evincibile dal certificato).
2.3. Orbene, la corte territoriale ha mostrato di applicare correttamente i suindicati principi, ritenendo le attrici gravate dall’onere della prova della loro qualità di eredi, cui altresì
consegue la necessità della sua rituale deduzione entro le preclusioni di rito e dunque, nel caso in esame, con la seconda e non con la terza memoria di cui all’art. 183, comma 6, cod. proc. civ.
Ai sensi dell’art. 183, comma 6, cod. proc. civ., se richiesto dalle parti, il giudice concede “1) un termine di ulteriori trenta giorni per il deposito di memorie limitate alle sole precisazioni o modificazioni delle domande, delle eccezioni e delle conclusioni già proposte; 2) un termine di ulteriori trenta giorni per replicare alle domande ed eccezioni nuove, o modificate dall’altra parte, per proporre le eccezioni che sono conseguenza delle domande e delle eccezioni medesime e per l’indicazione dei mezzi di prova e produzioni documentali; 3) un termine di ulteriori venti giorni per le sole indicazioni di prova contraria”.
Come questa Corte ha avuto modo di affermare (Cass., 17/05/2013, n. 12119), la citata disposizione, complessivamente considerata, esibisce dunque una distinzione di attività, assistite queste da un termine perentorio, là dove l’indicazione di “prova contraria” è solo “eventuale” e, quindi, viene suscitata unicamente come “controprova” in relazione alle richieste probatorie ed al deposito di documenti da controparte, correlandosi dunque alle “prove” e non già alle allegazioni fattuali, delle quali la norma non fa cenno alcuno.
Il tenore letterale dell’art. 183 cod. proc. civ. comma 6, n. 3, reca l’inciso ‘sole’ indicazioni di prova contraria, ed in tal modo evidenzia che la memoria ivi prevista è unicamente funzionale alle indicazioni di prova contraria, rispetto alle indicazioni istruttorie contenute nella seconda memoria.
L’orientamento di questa Corte è inoltre consolidato nel senso per cui le preclusioni processuali non sono nella disponibilità delle parti e vanno rilevate d’ufficio dal giudice, anche in caso di accettazione del contraddittorio della domanda o dell’eccezione
della controparte (tra le tante, v. Cass., 31/05/2017, n. 13769; Cass., 30/10/2020, n.24127).
La sentenza impugnata va soltanto corretta, ex art. 384 cod. proc. civ., là dove nella motivazione fa riferimento alla legitimatio ad causam , riferimento per il quale le odierne ricorrenti censurano la decisione di appello per non aver rilevato d’ufficio la loro qualità di eredi.
Invero, le Sezioni Unite di questa Corte (Cass., Sez. Un., 16/02/2016, n. 2951) hanno avuto modo di chiarire che mentre la legittimazione ad agire attiene al diritto di azione, che spetta a chiunque faccia valere in giudizio un diritto assumendo di esserne titolare, e la sua carenza può essere eccepita in ogni stato e grado del giudizio e può essere rilevata d’ufficio dal giudice, la titolarità della posizione soggettiva vantata in giudizio -come nel caso di specie la qualità di erede- attiene invece al merito della causa, in quanto elemento costitutivo del diritto fatto valere; e la positiva esistenza di tale titolarità va allegata e provata da colui che agisce in giudizio.
Anche l’ulteriore censura, secondo cui la corte territoriale avrebbe errato nel non considerare la produzione del certificato di morte in allegato alla prima memoria ex art. 183, comma 6, cod. proc. civ., è infondata.
Intanto perché propone per la prima volta nella presente sede contestazioni che non sono state proposte in appello, per cui -si ribadisce- è sceso il giudicato sulla considerazione per cui le attrici hanno effettuato le produzioni documentali soltanto con la terza memoria, deputata alla prova contraria.
Inoltre perché, per consolidato orientamento di questa Corte, il certificato di morte non dimostra la qualità di erede, dato che è idoneo soltanto a provare il diverso evento del decesso del de COGNOME , ma non dimostra affatto quali e quanti eredi egli abbia lasciato, né se i vocati alla successione abbiano accettato
l’eredità (Cass., 04/12/2019, n. 31695).
In conclusione, il ricorso deve essere respinto.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna le ricorrenti in solido al pagamento, in favore della società controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 3.500,00 per compensi, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento, esborsi, liquidati in euro 200,00, ed accessori di legge.
Ai sensi dell ‘ art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall ‘ art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell ‘ ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza