Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 34825 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 34825 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 29/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso 2807-2023 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 790/2022 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 28/11/2022 R.G.N. 546/2021; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 30/10/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Oggetto
R.G.N. 2807/2023
COGNOME
Rep.
Ud. 30/10/2024
CC
Rilevato che
il giudice di primo grado, per quel che ancora rileva, respingeva il ricorso di NOME COGNOME inteso alla condanna della datrice di lavoro RAGIONE_SOCIALE al pagamento di somme a titolo di differenze retributive e al risarcimento del danno per mancato rispetto dei riposi giornalieri e settimanali;
la Corte di appello di Bologna, in parziale riforma della sentenza di primo grado, nel resto confermata, ha condannato RAGIONE_SOCIALE al pagamento in favore di NOME COGNOME a titolo di differenze retributive per ore lavorate nel periodo dicembre 2015/maggio 2016, illegittimamente imputate dalla società a ferie e permessi, della somma di € 12.863, 93, oltre accessori ed ha compensato per un terzo le spese di lite ponendo il residuo a carico della società;
2.1. il giudice di appello, con riferimento alla pretesa dello Spinazzola fondata sulla circostanza di avere, nel periodo dicembre 2015/maggio 2016, prestato sempre attività di lavoro laddove dai prospetti paga emessi dalla società datrice emergeva che detto periodo era stato imputato a ferie e permessi, in realtà non goduti, ha ritenuto raggiunta in via presuntiva la prova dello svolgimento nel periodo dedotto di attività di lavoro, secondo quanto desumibile da elementi tratti dall’ istruttoria orale e doc umentale nonché dalla considerazione dell’inverosimiglianza di un’assenza continuativa così ampia e protratta riferita a soggetto con l’importante qualifica di quadro, in difetto di prova di richiesta delle ferie;
per la cassazione della decisione ha proposto ricorso RAGIONE_SOCIALE sulla base di tre motivi; la parte intimata ha resistito con controricorso; il Consigliere delegato dal presidente
di Area ha formulato ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. proposta di definizione del giudizio;
la odierna ricorrente nel prescritto termine ha chiesto la decisione ed il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ai sensi dell’art. 380 -bis.1 cod. proc. civ.;
parte ricorrente ha depositato memoria;
Considerato che
con l’unico motivo di ricorso parte ricorrente deduce ex art. 360, comma 1 . nn. 3 e 5 c.p.c. violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. , errata interpretazione della sentenza di primo grado, omesso esame di un fatto decisivo; la sentenza impugnata è criticata per avere considerato caratterizzati da gravità, precisione e concordanza, elementi indiziari privi di tali connotati e per avere, viceversa, omesso di considerare elementi indiziari che se valutati avrebbero determinato una decisione diversa; in particolare, la società ricorrente si duole della mancata considerazione della circostanza che durante il periodo di riferimento lo Spinazzola non aveva mai contestato l’illegittima qualificazione delle proprie ore di lavoro come ferie o permessi e che la prova orale e documentale, in assenza di adeguata circoscrizione temporale, non assecondava la ricostruzione alla base della decisione; evidenzia, inoltre, l’errore fattuale nel quale sarebbe incorso il giudice di appello nel ritenere non corretta la interpretazione della domanda da parte del primo giudice secondo il quale l’accertamento domandato dallo COGNOME con riguardo alle ore effettivamente lavorate e illegittimamente imputate a ferie/permessi non concerneva l’intero period o ma solo una parte di esso; sostiene che, viceversa, il giudice di primo grado
non aveva mai messo in dubbio il fatto che lo COGNOME avesse chiesto le differenze retributive per tutte le ore segnate come ferie / permessi;
2. il motivo è inammissibile per plurimi profili;
2.1. in primo luogo, esso risulta articolato in violazione dell’art. 366, comma 1 n. 6 c.p.c. in quanto il riferimento agli atti e documenti di causa non è sorretto dalla trascrizione e indicazione degli atti alla base delle censure, come prescritto al fine di consentire al giudice di legittimità la verifica della fondatezza delle censure articolate sulla base della sola lettura dell’atto di impugnazione, senza necessità di ricorrere a fonti integrative (Cass. n. 29093/2018, n. 195/2016, n. 16900/2015, n. 26174/ 2014, n. 22607/2014, Sez. Un, n. 7161/2010);
2.2. in secondo luogo, la deduzione di violazione dell’art. 2967 c.c. non è pertinente alle effettive ragioni della decisione; la violazione dell’art. 2697 c.c. è censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c., soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne fosse onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (Cass., n. 15107/ 2013, Cass., n. 13395/2018), mentre nella sentenza impugnata non è in alcun modo ravvisabile un sovvertimento dell’onere probatorio, interamente gravante sul lavoratore; la decisione è infatti frutto del concreto accertamento, in via presuntiva, della sussistenza del fatto costitutivo alla base della pretesa azionata dallo COGNOME e non scaturisce, viceversa, da ll’applicazione dell’art. 2697 c.c.
quale regola residuale di giudizio in conseguenza della quale la mancanza, in seno alle risultanze istruttorie, di elementi idonei all’accertamento della sussistenza del diritto in contestazione determina la soccombenza della parte onerata della dimostrazione dei relativi fatti costitutivi;
2.3. parimenti inammissibile la critica al ragionamento presuntivo seguito dalla Corte distrettuale la quale mediante inferenze tratte dagli elementi probatori acquisiti e dal comportamento delle parti è pervenuta all’accertamento che effettivamente, nel periodo dedotto, lo COGNOME aveva svolto l’attività di lavoro e che in conseguenza era illegittima la condotta della società che aveva imputato il periodo in oggetto alla fruizione di ferie e di permessi secondo quanto risultante dallo statino stipendiale. Parte ricorrente si limita, infatti, alla mera prospettazione dell’insussistenza dei caratteri di gravità, concordanza e precisione negli elementi indiziari tenuti presenti dal giudice di appello, di talché, come osservato nella motivazione della proposta per la decisione accelerata ex art. 380 bis c.p.c. formulata dalla Consigliera delegata, le doglianze articolate si risolvono in un mero dissenso valutativo alle conclusioni attinte dal giudice di appello, intrinsecamente inidoneo a dare contezza dei rilievi formulati;
2.4. in ogni caso, in sede di legittimità è possibile censurare la violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c. solo allorché ricorra il cd. vizio di sussunzione, ovvero quando il giudice di merito, dopo avere qualificato come gravi, precisi e concordanti gli indizi raccolti, li ritenga, però, inidonei a fornire la prova presuntiva oppure qualora, pur avendoli considerati non gravi, non precisi e non concordanti, li reputi, tuttavia, sufficienti a dimostrare il fatto controverso (Cass n. 3541/2020), ipotesi non ricorrente
nel caso specifico. La valenza indiziaria dei fatti asseritamente omessi non ha carattere decisivo ai sensi dell’art. 360, comma 1 n. 5 c.p.c. . Le presunzioni semplici consistono nel ragionamento del giudice, il quale, una volta acquisita, tramite fonti materiali di prova (o anche tramite il notorio o a seguito della non contestazione) la conoscenza di un fatto secondario, deduce da questo l’esistenza del fatto principale ignoto; l’apprezzamento del giudice di merito circa il ricorso a tale mezzo di prova e la valutazione della ricorrenza dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dalla legge per valorizzare elementi di fatto come fonti di produzione, sono incensurabili in sede di legittimità, l’unico sindacato in proposito riservato al giudice di legittimità essendo quello sulla coerenza della relativa motivazione;
all’inammissibilità del ricorso consegue la condanna della parte soccombente alla rifusione delle spese processuali ed pagamento, nella sussistenza dei relativi presupposti processuali, dell’ulteriore importo del contributo unificato ai sensi dell’art . 13, comma quater d.p.r. n. 115/2002;
la decisione da parte del Collegio in senso conforme alla proposta di definizione accelerata formulata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., conformità sussistente non solo con riguardo all’esito inteso come dispositivo o formula terminativa della deliberazione, ma anche con riguardo alle ragioni che lo sorreggono, comporta, ai sensi dell’art. 96, comma 4 , c.p.c., la condanna della parte ricorrente al pagamento della somma di euro 2.500 in favore della cassa delle ammende. Ciò sulla base della novità normativa (introdotta dall’art. 3, comma 28, lett. g), d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, a decorrere dal 18 ottobre 2022, ai sensi di quanto disposto dall’art. 52, comma 1, del
medesimo d.lgs. n. 149/2022 che contiene, nei casi di conformità tra proposta e decisione finale, una valutazione legale tipica, ad opera del legislatore, della sussistenza dei presupposti per la condanna di una somma equitativamente determinata a favore della controparte (art. 96 terzo comma) e di una ulteriore somma di denaro non inferiore ad euro 500,00 e non superiore ad euro 5.000,00 (art. 96 quarto comma);
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in € 3.000,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge. Condanna parte ricorrente ai sensi dell’art. 96 c.p.c . al pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di € 1.500,00 nonché al risarcimento del danno nei confronti della parte controricorrente che liquida in € 1.500,00.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.
Roma, così deciso nella camera di consiglio del 30 ottobre