Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 966 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 966 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 10/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso 24105-2019 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME, domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME;
– controricorrente –
Oggetto
RETRIBUZIONE
RAPPORTO PRIVATO
R.G.N. 24105/2019
COGNOME
Rep.
Ud. 09/11/2023
CC
avverso la sentenza n. 1881/2018 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 23/01/2019 R.G.N. 1297/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 09/11/2023 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
1. con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di Appello di Catanzaro, in riforma della pronuncia del Tribunale di Cosenza, ha accolto la domanda di NOME COGNOME proposta nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE per il pagamento di differenze retributive dovute allo svolgimento, in qualità di cuoca, di un orario superiore a quello contrattualmente pattuito, e in particolare pari a 6-8 ore giornaliere per un totale di 180 ore mensili (anzichØ 4 ore giornaliere, per un totale di 20 ore settimanali, con due giorni di riposo settimanali) e condannato la società al pagamento di complessivi euro 6.419,00, oltre accessori di legge e spese di lite.
2. la Corte territoriale ha, per quel che interessa, sottolineato che il capitolo di prova testimoniale articolato dalla lavoratrice era sufficientemente circostanziato (facendo riferimento a un rapporto di lavoro a tempo pieno, anzichØ a tempo parziale, a fronte della domanda giudiziale che concerneva proprio lo svolgimento di un orario di lavoro superiore a quello pattuito) e che i testimoni avevano confermato l’osservanza di un orario di lavoro ben piø ampio di quello dedotto in ricorso; ha aggiunto che la richiesta di esibizione dei cartellini marcatempo non aveva carattere
esplorativo (in quanto la lavoratrice aveva dedotto in ricorso che sottoscriveva quotidianamente tali cartellini e la circostanza non era stata contestata dalla controparte) e che il consulente contabile aveva detratto, dai conteggi effettuati, somme piø ampie di quelle risultanti dalle buste paga.
Avverso tale sentenza ricorre il lavoratore con cinque motivi, e la società resiste con controricorso.
Al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei successivi sessanta giorni.
CONSIDERATO CHE
Con il primo e il secondo motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 116 c.p.c. e 244 c.c., ex art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., avendo, la Corte distrettuale, errato nel ritenere ammissibili i capitoli di prova testimoniale ove non era indicato, in dettaglio, l’orario di lavoro concretamente svolto e avendo trascurato che la deposizione del teste COGNOME era nulla in quanto teste de relato actoris ; nØ la Corte distrettuale avrebbe potuto chiedere l’esibizione dei cartellini marca tempo, contestati dalla società e inutilizzabili a fini probatori.
Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3, c.p.c., avendo, la Corte distrettuale, commesso un vizio di extrapetizione nella misura in cui ha riconosciuto la sussistenza di lavoro straordinario che Ł oggetto diverso da quello richiesto consistente
nell’accertamento di un rapporto di lavoro di tipo full time.
Con il quarto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 432 c.p.c., 1226 e 1227 c.c. per avere, la Corte distrettuale, quantificato equitativamente le differenze retributive in presenza di contestazione specifica e di prova sull’an, ove ha ritenuto provato lo svolgimento di un orario giornaliero pari ad almeno 11 ore ‘essendo notorio che l’orario serale dei ristoranti si protrae quanto meno sino alle 23:00/23:30’.
Con il quinto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 91, 92, 93 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., avendo, la Corte distrettuale, condannato la società alle spese di lite nonostante la soccombenza reciproca evidenziata dal fatto che la sentenza impugnata ha rilevato che, nonostante la lavoratrice avesse dedotto di aver percepito importi inferiori a quelli indicati nelle buste paga, non era stata tratta alcuna conseguenza in ordine al quantum richiesto.
I primi due motivi di ricorso sono inammissibili per plurimi motivi.
5.1. Preliminarmente, difetta la necessaria riferibilità delle censure alla motivazione della sentenza impugnata, in quanto la Corte territoriale ha affermato che il riferimento, effettuato nel capitolo di prova testimoniale, all’osservanza di un orario full time andava ricollegato alle deduzioni poste a sostegno dell’unica domanda giudiziale sviluppata nel ricorso introduttivo del giudizio,
domanda che era chiaramente volta all’accertamento dello ‘svolgimento di un orario di lavoro di gran lunga superiore alle pattuite venti ore settimanali’, senza conseguente profilo di incertezza e genericità delle circostanze oggetto della fonte di prova testimoniale; la Corte territoriale ha escluso, inoltre, la natura ‘esplorativa’ della istanza di esibizione dei cartellini marcatempo, rilevando che il ricorso introduttivo del giudizio illustrava tale modalità di controllo datoriale dell’osservanza dell’o rario di lavoro e ‘la circostanza non è stata contestata’ nella memoria di costituzione, argomentazioni con cui il ricorrente per cassazione non si misura. 5.2. Inoltre, questa Corte ha già affermato che spetta in via esclusiva al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, assegnando prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, nonchØ la facoltà di escludere anche attraverso un giudizio implicito la rilevanza di una prova, dovendosi ritenere, a tal proposito, che egli non sia tenuto ad esplicitare, per ogni mezzo istruttorio, le ragioni per cui lo ritenga irrilevante ovvero ad enunciare specificamente che la controversia può essere decisa senza necessità di ulteriori acquisizioni (Cass. n.
13485 del 2014).
5.3. Infine, nessuna nullità si profila con riguardo alla deposizione del teste COGNOME avendo la Corte distrettuale accertato che il teste era stato un ex collega di lavoro della lavoratrice, con mansioni che lo portavano a collaborare strettamente con la stessa (svolgendo mansioni di cameriere), che aveva prestato l’attività in periodo sovrapponibile a quello della ricorrente, che ‘non risulta in alcun modo interessato all’esito del giudizio, ha una conoscenza diretta dei fatti di causa e la sua deposizione, del tutto priva di contraddizioni, risulta pienamente credibile’, con ciò sottolineando che il teste ha riferito su fatti e circostanze apprese direttamente.
6. Il terzo motivo di ricorso Ł inammissibile.
6.1. Il vizio di “ultra” o “extra” petizione ricorre quando il giudice pronuncia oltre i limiti delle pretese e delle eccezioni fatte valere dalle parti, ovvero su questioni estranee all’oggetto del giudizio e non rilevabili d’ufficio, attribuendo un bene della vita non richiesto o diverso da quello domandato, fermo restando che egli Ł libero non solo di individuare l’esatta natura dell’azione e di porre a base della pronuncia adottata considerazioni di diritto diverse da quelle prospettate, ma pure di rilevare, indipendentemente dall’iniziativa della parte convenuta, la mancanza degli elementi che caratterizzano l’efficacia costitutiva o estintiva di una data pretesa, in quanto ciò attiene all’obbligo inerente all’esatta applicazione della legge (Cass. n. 20932 del 2019).
6.2. Nel caso di specie la Corte distrettuale non ha sostituito i fatti costitutivi della pretesa e non
ha emesso un provvedimento diverso da quello richiesto ( petitum immediato ), avendo accertato, come richiesto dalla lavoratrice, lo svolgimento in concreto – di un orario di lavoro superiore rispetto a quello pattuito tra le parti ed avendo condannato il datore di lavoro al pagamento delle relative differenze retributive, nella misura esattamente richiesta con i conteggi attorei.
Il quarto motivo di ricorso Ł inammissibile.
7.1. La censura non coglie la ratio decidendi perchØ la società ricorrente insiste sulla quantificazione equitativa effettuata dalla Corte distrettuale delle differenze retributive pretese dalla lavoratrice ma nulla deduce sulla precisazione effettuata dalla sentenza impugnata in ordine all’importo d elle somme riconosciute alla lavoratrice, che corrispondono esattamente a quelle richieste (tramite consulenza contabile di parte) nel ricorso introduttivo del giudizio sulla base dello svolgimento di 180 mensili (ossia 40 ore settimanali, quota oraria ben inferiore a quella di 55 ore settimanali che la Corte distrettuale ritiene di aver accertato, anche tramite il ricorso al fatto notorio); la censura si presenta, pertanto, priva di decisività, in quanto la Corte distrettuale, pur dando atto di aver accertato l’osservanza di un orario di lavoro elevato (pari a 55 ore settimanali, che riportate in un ambito mensile corrispondono a 237 ore) si Ł mantenuta nei limiti della domanda, riconoscendo le differenze retributive corrispondenti a 180 ore mensili.
Il quinto motivo di ricorso non Ł fondato.
8.1. La sentenza impugnata ha precisato che la domanda giudiziale aveva ad oggetto la condanna ad un importo economico corrispondente all’espletamento di un orario di lavoro full time (nonostante la lavoratrice avesse altresì dedotto di aver percepito somme inferiori a quelle indicate nelle buste paga), importo che Ł stato integralmente accolto dal giudice, con conseguente integrale soccombenza della società, la quale non ha neppure ritenuto di proporre appello al rigetto, statuito dal giudice di prime cure, della sua domanda riconvenzionale di risarcimento di danni.
8.2. Va, inoltre, rammentato che -nei casi in cui ricorre una soccombenza di entrambe le parti – la valutazione delle proporzioni della soccombenza reciproca e la determinazione delle quote in cui le spese processuali debbono ripartirsi o compensarsi tra le parti, ai sensi dell’art. 92, comma 2, c.p.c., rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito, che resta sottratto al sindacato di legittimità, non essendo egli tenuto a rispettare un’esatta proporzionalità fra la domanda accolta e la misura delle spese poste a carico del soccombente (Cass. n 30592 del 2017).
In conclusione, il ricorso va rigettato e le spese di lite seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 cod.proc.civ.
L a domanda di condanna ai sensi dell’art. 96, terzo comma, c.p.c. va respinta, non essendo emersa la concreta presenza di malafede o colpa grave della parte soccombente (cfr. sui requisiti necessari per configurare detta responsabilità, da ultimo, Cass. n. 19948 del 2023).
11. sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R.115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità liquidate in euro 2.500,00 per compensi professionali e in euro 200,00 per esborsi, oltre il 15% per spese generali ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 20012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della