Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 16646 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 16646 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 21/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 7149/2024 r.g., proposto da
COGNOME NOME COGNOME elett. dom.to in presso la Cancelleria di questa Corte, rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME
ricorrente
contro
COGNOME NOME NOME , elett. dom.to in presso la Cancelleria di questa Corte , rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME
contro
ricorrente
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Napoli n. 3117/2023 pubblicata in data 25/09/2023, n.r.g. 257/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 08/04/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME.
RILEVATO CHE
1.- NOME COGNOME sosteneva di aver lavorato alle dipendenze di Volpe NOME NOME presso l’esercizio ‘bar tabacchi’ gestito dal Volpe in Sessa Aurunca, dal 30/09/2009 al 03/06/2012 con mansioni di barista, inquadrabili nel 5^ livello CCNL pubblici esercizi. Assumeva di aver lavorato da lunedì alla domenica dalle ore 04,30 alle ore 12,30 e il martedì per metà giornata.
OGGETTO:
rapporto di lavoro subordinato – prova – documenti prodotti in appello – valutazione di indispensabilità – necessità
Adìva il Tribunale di S. Maria Capua Vetere per ottenere l’accertamento della natura subordinata del rapporto di lavoro e la condanna del Volpe al pagamento della complessiva somma di euro 64.941,44 a titolo di differenze retributive e di t.f.r.
2.- Costituitosi il contraddittorio, assunte le prove testimoniali ammesse, il Tribunale rigettava le domande.
3.Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’Appello rigettava il gravame interposto dal COGNOME.
Per quanto ancora rileva in questa sede, a sostegno della sua decisione la Corte territoriale affermava:
l’appellante non contesta la valutazione dell’istruttoria compiuta dal Tribunale, ma si duole della mancata applicazione del principio di non contestazione, avendo il Volpe ammesso l’esistenza del rapporto di lavoro subordinato seppure con diverse mansioni, diverso orario, differenti date di inizio e fine del rapporto;
dall’esame della memoria difensiva di primo grado del COGNOME non si evince alcuna ammissione dell’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato fra le parti;
invero nella predetta memoria il COGNOME ha dedotto che, ai sensi dell’art. 28, co. 2, L. n. 1293/1957, si è fatto autorizzare dai Monopoli di Stato ad avere come assistente il suocero NOME COGNOME senza facoltà di essere sostituito come titolare durante le assenze dall’esercizio ed ha quindi dedotto che, in virtù di tale autorizzazione, il COGNOME era impegnato per quattro ore al giorno, dalle 08,30 alle 12,30 e che per l’opera prestata aveva ricevuto il pagamento della complessiva somma di euro 19.258,80;
questa prospettazione dei fatti contenuta nella memoria difensiva di primo grado è incompatibile con la sussistenza di un vincolo di subordinazione e quindi implica la contestazione della subordinazione;
del resto il COGNOME era stato definito dal COGNOME come ‘coadiutore’ in quanto rientrante fra i soggetti indicati dall’art. 64 d.P.R. n. 1074/1958 (regolamento di esecuzione), a norma del quale ‘ coadiutore può essere il coniuge, il figlio o altra persona parente del rivenditore entro il quarto grado o affine entro il terzo grado ‘;
quindi la tesi del Volpe è che il rapporto era proprio di un contratto d’opera o comunque di collaborazione familiare, non di lavoro subordinato;
è dunque inammissibile, integrando domanda nuova, la richiesta in appello di pagamento di t.f.r., 13^ e 14^ mensilità rispetto ad un asserito rapporto di lavoro subordinato completamente diverso da quello allegato nel ricorso di primo grado;
parimenti inammissibili sono le richieste di acquisizione documentale (comunicazioni UNILAV su assunzione e licenziamento, estratto contributivo INPS, modello C2/storico) risalenti ad epoca antecedente al deposito del ricorso di primo grado e che quindi dovevano essere prodotti tempestivamente, ma che non lo sono stati in considerazione della diversa prospettazione del rapporto di lavoro contenuta nel ricorso di primo grado;
non può trovare applicazione il principio di ricerca della verità materiale, perché l’acquisizione dei predetti documenti consentirebbe l’ingresso di una prospettazione del rapporto di lavoro completamente diversa;
in ogni caso il predetto principio può operare solo quando vi siano significative ‘piste probatorie’ (Cass. n. 11845/2018), condizione che nella specie non ricorre.
4.- Avverso tale sentenza COGNOME NOME ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
5.- Volpe NOME NOME ha resistito con controricorso.
6.- Entrambe le parti hanno depositato memoria.
7.- Il collegio si è riservata la motivazione nei termini di legge.
CONSIDERATO CHE
1.- In punto di fatto il ricorrente nega di essere mai stato suocero del COGNOME; precisa che un suo figlio ha sposato una sorella del COGNOME peraltro solo in data 06/07/2012, quindi in epoca successiva alla cessazione del rapporto di lavoro con il COGNOME (v. ricorso per cassazione, p. 16).
2.Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3) ( rectius 4), c.p.c. il ricorrente lamenta ‘violazione e falsa applicazione’ degli artt. 420, 421 e 437 c.p.c. per avere la Corte territoriale escluso l’ammissibilità della nuova produzione documentale in appello. Deduce che si trattava di
documenti indispensabili, dei quali aveva già in primo grado chiesto l’acquisizione al Tribunale, senza esito. Assume che quei documenti avrebbero consentito di fugare ogni dubbio sulla natura subordinata del rapporto di lavoro, derivante dal contrasto fra le dichiarazioni rese dai testimoni escussi.
Il motivo è fondato.
Questa Corte ha più volte affermato che nel rito del lavoro costituisce prova nuova indispensabile, ai sensi dell’art. 437, co. 2, c.p.c., quella di per sé idonea ad eliminare ogni possibile incertezza circa la ricostruzione fattuale accolta dalla pronuncia gravata, smentendola o confermandola senza lasciare margini di dubbio, oppure provando quel che era rimasto non dimostrato o non sufficientemente dimostrato, a prescindere dal rilievo che la parte interessata sia incorsa, per propria negligenza o per altra causa, nelle preclusioni istruttorie del primo grado (Cass. ord. n. 16358/2024; Cass. n. 401/2023; Cass. sez. un. n. 10790/2017).
La Corte territoriale non ha compiuto tale valutazione di indispensabilità, sulla base del presupposto per cui il ‘ coadiutore ‘ sarebbe incompatibile con un rapporto di lavoro subordinato.
Tale presupposto è errato.
L’atto amministrativo di natura autorizzatoria, rilasciato dai Monopoli di Stato, in relazione alla figura del ‘coadiutore’ prevista dall’art. 64 d.P.R. n. 1074 cit. attiene al rapporto fra il titolare della rivendita di generi di monopolio e lo Stato, ma è un atto del tutto ‘neutro’, ossia non significativo, rispetto al diverso e distinto rapporto privatistico fra il titolare ed il ‘coadiutore’, che come ogni rapporto avente ad oggetto un’attività umana può atteggiarsi in termini sia di lavoro autonomo che di lavoro subordinato. Dunque quell’autorizzazione contrariamente all’assunto della Corte territoriale non è affatto incompatibile con l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato.
Ne deriva che il contrasto delle deposizioni testimoniali, da un lato, che pur aveva condotto il Tribunale a rigettare le domande, e , dall’altro, l’ammissione del COGNOME circa l’esistenza di un rapporto di lavoro con il COGNOME sia pure come ‘coadiutore’ ex art. 64 d.P.R. n. 1074/1958 rappresentano una sufficiente ‘pista probatoria’ idonea a giustificare l’istanza di ammissione di nuovi documenti in appello.
La dichiarazione di inammissibilità da parte della Corte territoriale viola
dunque l’art. 437 c.p.c. Va al riguardo ribadito che nel rito del lavoro occorre contemperare il principio dispositivo con quello di verità, sicché, ai sensi dell’art. 437, co. 2, c.p.c., il deposito in appello di documenti non prodotti in prime cure non è oggetto di preclusione assoluta ed il giudice può ammettere, anche d’ufficio, detti documenti ove li ritenga indispensabili ai fini della decisione, in quanto idonei a superare l’incertezza dei fatti costitutivi dei diritti in contestazione, purché allegati nell’atto introduttivo, seppure implicitamente, e sempre che sussistano significative “piste probatorie” emergenti dai mezzi istruttori, intese come complessivo materiale probatorio, anche documentale, correttamente acquisito agli atti del giudizio di primo grado (Cass. n. 22907/2024; Cass. ord. n. 11845/2018).
Resta ovviamente ferma la necessità di valutare l’ammissibilità della domanda in relazione a voci retributive e/o a periodi eventualmente diversi da quelli rivendicati e prospettati con il ricorso di primo grado, atteso che il divieto della domanda nuova in appello (art. 437 c.p.c.) non ammette eccezioni nel rito del lavoro. Tale accertamento resta impregiudicato e dovrà essere nuovamente compiuto dalla Corte territoriale, fermo restando tuttavia che, quanto alle mansioni (‘addetto alla cassa’ piuttosto che ‘barista’) evincibili da quei documenti di cui il ricorrente ha chiesto l’ammissione in appello, la loro esatta individuazione rileva non ai fini della domanda di riconoscimento di un rapporto di lavoro subordinato, bensì ai più limitati fini del calcolo delle eventuali differenze retributive.
2.Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3) ( rectius 4) c.p.c. il ricorrente lamenta violazione o falsa applicazione dell’art. 437, co. 2, c.p.c. per avere la Corte territoriale rilevato una novità della domanda in appello rispetto a quella di primo grado invece inesistente.
Con il terzo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. il ricorrente lamenta ‘violazione e falsa applicazione’ degli artt. 2697 c.c. e 64 d.P.R. n. 1074/1958 per avere la Corte territoriale ritenuto sussistente fra le parti in lite un rapporto di affinità entro il terzo grado idoneo ad ottenere l’autorizzazione dei Monopoli di Stato, senza tuttavia che il Volpe avesse dato alcuna prova di tale rapporto.
I due motivi restano assorbiti dall’accoglimento del primo . La sentenza impugnata va pertanto cassata con rinvio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo; dichiara assorbiti il secondo ed il terzo; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Napoli, in diversa composizione, in relazione al motivo accolto, nonché per la regolamentazione delle spese anche del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione lavoro, in data