Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 5832 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 5832 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 05/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso 11410-2019 proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME AVV_NOTAIO NOME COGNOME, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 447/2018 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, depositata il 13/02/2019 R.G.N. 44/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17/01/2024 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
RILEVATO CHE
R.G.N. 11410/2019
COGNOME.
Rep.
Ud. 17/01/2024
CC
La Corte di appello di Brescia, con la sentenza n. 447/2018, ha confermato la pronuncia del Tribunale della stessa sede che aveva dichiarato inammissibile la domanda proposta da NOME COGNOME nei confronti della RAGIONE_SOCIALE volta ad ottenere l’accer tamento della natura subordinata del rapporto di lavoro intercorso tra le parti, dal 13.1.2012 all’8.11.2013, e del conseguente diritto a percepire il relativo trattamento economico e previdenziale.
I giudici di seconde cure hanno rilevato che: a) a differenza di quanto ritenuto dal Tribunale, l’azione proposta dal lavoratore non soggiaceva ad un termine di decadenza; b) il rapporto di lavoro era derivato da un contratto a progetto, dal 13.1.2012 al 12.5.2012, poi prorogato fino al 31 dicembre 2012; c) dal maggio 2012 fino all’8.11.2013 il COGNOME aveva ricoperto l’incarico di amministratore unico della RAGIONE_SOCIALE; d) dal maggio del 2012 non erano stati allegati elementi idonei per giungere alla affermazione della sussistenza anche di un rapporto di lavoro subordinato tra le parti: elementi indicati solo tardivamente nell’atto di appello; e) le prove articolate non erano comunque idonee a dimostrare un assoggettamento ad un potere direttivo e di conformazione della sua prestazione lavorativa, esterno all’organo amministrativo della società, organo quest’ultimo rappresentato appunto dallo stesso COGNOME; f) il progetto di cui al primo contratto stipulato tra le parti era individuato e ben specificato e, comunque, non erano state allegate circostanze dirette alla dimostrazione di un effettivo rapporto di lavoro subordinato.
Avverso la suddetta decisione ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME affidato a due motivi cui ha resistito con controricorso la RAGIONE_SOCIALE.
Il ricorrente ha depositato memoria.
Il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei termini di legge ex art. 380 bis 1 cpc.
CONSIDERATO CHE
I motivi possono essere così sintetizzati.
Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, per violazione e falsa applicazione di
norme di diritto. Egli deduce la nullità del giudizio di secondo grado, in relazione alla osservanza del disposto di cui all’art. 245 cpc per essere stata omessa, da parte dei giudici di merito, l’escussione di testimoni, con lesione del diritto di difesa di esso ricorrente che non ha potuto dimostrare la propria qualifica di lavoratore subordinato; lamenta, inoltre, la palese omissione dell’esame delle prove offerte, in assenza di qualsivoglia motivazione, sempre dirette alla dimostrazione della sussistenza di un rapporto di lavoro di natura subordinata, e la erronea valutazione sulla irrilevanza della articolata prova testimoniale in grado di appello.
Con il secondo motivo si censura la violazione dell’art. 360 co. 1 n. 5 cpc, per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, rappresentato dalla mancata autorizzazione della richiesta di prova per testi, in virtù di una valutazione priva di fondamento e frutto di mere supposizioni.
Il primo motivo è inammissibile.
Il provvedimento reso sulle richieste istruttorie è censurabile con ricorso per cassazione per violazione del diritto alla prova, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. allorquando il giudice di merito rilevi preclusioni o decadenze insussistenti ovvero affermi l’inammissibilità del mezzo di prova per motivi che prescindano da una valutazione della sua rilevanza in rapporto al tema controverso ed al compendio delle altre prove richieste o già acquisite, nonché per vizio di motivazione in ordine all’attitudine dimostrativa di circostanze rilevanti ai fini della decisione, con la conseguenza che è inammissibile il ricorso che non illustri la decisività del mezzo di prova di cui si lamenta la mancata ammissione (Cass. n. 30810/2023).
Nella fattispecie, pertanto, a prescindere dalla non corretta articolazione della censura da parte del ricorrente veicolata ex art. 360 co. 1 n. 3 cpc e non ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 4 cpc, deve osservarsi che la Corte territoriale, con una completa ed esaustiva motivazione, sia in relazione al primo periodo del rapporto, formalmente regolato dal contratto di lavoro a progetto, che con riguardo al secondo periodo, ha ritenuto che le allegazioni poste a
fondamento della pretesa (e sulle quali avrebbe dovuto espletarsi la prova testimoniale) erano carenti sulla fondamentale circostanza di essere stato il lavoratore assoggettato al potere direttivo, di controllo e disciplinare di qualcuno della società, diverso da se stesso; inoltre, ha sottolineato che la insufficienza delle allegazioni riguardava sia la prova diretta sulla eterodirezione, sia quella indiretta, quando, cioè la esistenza della natura subordinata del rapporto di lavoro avrebbe potuto essere desunta da altri elementi indiziari.
In particolare, i giudici di seconde cure hanno precisato che, oltre a non essere stato allegato l’assoggettamento al potere direttivo e di controllo della società, il COGNOME non aveva individuato chi avesse esercitato, in concreto, detto potere; non aveva indicato a chi egli avesse dovuto rendere conto; non aveva dedotto che l’orario da lui osservato gli fosse stato imposto in quei termini da qualcuno e non aveva specificato nulla per quanto atteneva alle assenze e all’obbligo di giustificarle: e ciò anche considerando tutto il materiale istruttorio prodotto.
Risolvendosi, pertanto, le censure in un sindacato sulla valutazione di merito sulla specificità delle allegazioni delle parti, tale attività è insindacabile in sede di giudizio di cassazione.
In ordine alla prospettata violazione dell’art. 116 cpc, è opportuno ribadire che, in tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora
consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (Cass. n. 20867/2020).
Nella fattispecie, non vi è stata alcuna violazione delle disposizioni in materia di valutazione delle prove legali ma un esame complessivo di tutte le allegazioni e risultanze istruttorie documentali conformemente al principio in virtù del quale, ai fini della distinzione fra lavoro subordinato e lavoro autonomo, deve attribuirsi maggiore rilevanza alle concrete modalità di svolgimento del rapporto, da cui è ricavabile l’effettiva volontà delle parti (iniziale o sopravvenuta), rispetto al “nomen iuris” adottato dalle parti e ciò anche nel caso di contratto di lavoro a progetto, normativamente delineato come forma particolare di lavoro autonomo, ai sensi dell’art. 61 del d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276 (Cass. n. 22289/2014).
E’ opportuno ribadire che la valutazione delle risultanze delle prove ed il giudizio sull’attendibilità dei testi (art. 244 cpc), come la scelta, tra le varie emergenze probatorie di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, senza essere tenuto ad una esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (Cass. n. 16467 del 2017).
Il secondo motivo è parimenti inammissibile.
Al riguardo, va precisato quanto segue: a) l’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv. in l. n. 134 del 2012, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); pertanto, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, come nel caso di specie relativamente alle
ulteriori asserite cessioni di ramo di azienda, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. n. 27415/2018; Cass. 19881/2014); b) la mancata ammissione della prova testimoniale può essere denunciata per cassazione solo nel caso in cui essa abbia determinato l’omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e, quindi, ove la prova non ammessa ovvero non esaminata in concreto sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi venga a trovarsi priva di fondamento. (Cass. Cass. n. 11457 del 2007; Cass. n. 4369 del 2009; Cass. n. 5377 del 2011): ipotesi quest’ultima non ravvisabile per quanto sopra detto in ordine alla rilevata carenza di allegazioni sulle circostanze oggetto della prova testimoniale.
Alla stregua di quanto esposto il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Alla declaratoria di inammissibilità segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.