Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 1751 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 1751 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 16/01/2024
Responsabilità professionale –
Oggetto Consulente fiscale
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3922/2021 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dall’ AVV_NOTAIO (p.e.c. indicata: EMAIL) e dall’AVV_NOTAIO COGNOME (p.e.c. indicata: EMAIL) con domicilio eletto presso lo RAGIONE_SOCIALE del secondo in Roma, INDIRIZZO;
-ricorrente –
contro
NOME NOME, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO
(p.e.c. indicata: EMAIL), domicilio eletto presso il suo RAGIONE_SOCIALE in Roma, INDIRIZZO;
con -controricorrente –
e contro
RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO (p.e.c. indicata: EMAIL), con domicilio eletto presso il suo RAGIONE_SOCIALE in RomaINDIRIZZO INDIRIZZO;
-controricorrente – avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano, n. 3162/2020, pubblicata il 2 dicembre 2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 6 dicembre 2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che:
RAGIONE_SOCIALE convenne in giudizio davanti al Tribunale di Pavia il rag. NOME COGNOME per rivalersi nei suoi confronti del danno subito per aver dovuto far fronte alle domande risarcitorie di RAGIONE_SOCIALE, alla quale era stata notificata nel 2011 una cartella esattoriale in cui era contestata la mancata presentazione telematica all’Agenzia delle entrate del Modello Unico 2007;
espose a fondamento che di tale incombente essa istante, incaricata dalla RAGIONE_SOCIALE, aveva a sua volta dato incarico al COGNOME;
questi resistette alla domanda negando di aver ricevuto alcun incarico professionale per adempimenti fiscali riguardanti RAGIONE_SOCIALE;
esteso il contraddittorio nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, chiamata in causa dal convenuto per esserne manlevato in caso di condanna, il Tribunale pronunciò sentenza (n. 684 del 2019) con la quale rigettò la domanda, condannando parte attrice alle spese nei
confronti di ciascuna delle controparti costituite;
con sentenza n. 3162/2020, resa pubblica il 2 dicembre 2020, la Corte d’appello di Milano ha rigettato il gravame interposto dalla RAGIONE_SOCIALE, condannandola alle spese del grado nei confronti di ciascuno degli appellati: ha, infatti, ritenuto mancare la prova dell’incarico professionale asseritamente conferito al COGNOME, giudicando infondati o inammissibili tutti i motivi che, sotto vari profili, tale prova assumevano doversi ricavare dagli elementi istruttori acquisiti in primo grado o offerti in appello;
avverso tale sentenza la RAGIONE_SOCIALE propone ricorso per cassazione sulla base di tre motivi, cui resistono gli intimati depositando controricorsi;
è stata fissata per la trattazione l’odierna adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 -bis.1 cod. proc. civ., con decreto del quale è stata da rituale comunicazione alle parti;
non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero; la ricorrente ha depositato memoria;
considerato che:
il primo motivo di ricorso reca la seguente intestazione: « sull’integrazione documentale; i documenti che introducono ulteriori elementi di prova ed indizi nel senso del conferimento dell’incarico professionale al dott. COGNOME COGNOME ai fini della predisposizione e dell’invio per via telematica del Modello Unico per RAGIONE_SOCIALE per l’anno 2007 (periodo di imposta 2006) »;
si legge subito dopo la seguente affermazione: « preliminarmente lo scrivente difensore produce, in consecuzione rispetto ai documenti prodotti in primo grado, anche i seguenti documenti … », cui fa seguito l’elencazione di n. 3 documenti, cui sono attribuiti i numeri da 59 a 61;
concludono l’esposizione le seguenti affermazioni:
─ « la produzione documentale è comunque ammissibile, posto
che si tratta di documenti precostituiti da acquisirsi al processo e da valutarsi »;
─ « l’odierna produzione documentale riveste importanza dirimente ai fini del decidere anche in questa sede, fornendo ulteriore fondamento alle censure qui mosse in ordine all’omesso esame circa un fatto decisivo »;
─ « i modelli F24 accedono alla dichiarazione e sono una conferma del fatto che il resistente COGNOME aveva l’incarico di curare tutti gli incombenti fiscali per le società indicate (RAGIONE_SOCIALE in primis ) »;
il secondo motivo è così rubricato: « sull’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti. Le prove richieste dall’odierna ricorrente in merito a fatti dirimenti ai fini del decidere accaduti dopo il deposito della sentenza di primo grado. La sussistenza del vizio di cui all’art. 360, primo comma, num. 5, cod. proc. civ. »;
si censura con esso la sentenza impugnata per aver negato ingresso alle prove richieste « in merito ai fatti accaduti immediatamente dopo la pubblicazione della sentenza di primo grado »: il riferimento è al contenuto di una telefonata che il legale rappresentante di NOME afferma aver ricevuto dal COGNOME, nel corso della quale questo avrebbe pronunciato una frase avente, in thesi , valore confessorio;
si rileva che, peraltro, il fatto in sé della telefonata e il suo contenuto non erano stati specificamente contestati dalla difesa del COGNOME;
il terzo motivo reca, infine, la seguente rubrica: « di nuovo sull’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, del codice di procedura civile; l’errata applicazione dell’art. 115 c.p.c. e del principio di non contestazione in esso sancito »;
si lamenta che erroneamente la Corte d’appello abbia ritenuto non
efficacemente contestata l’affermazione contenuta nella comparsa di costituzione e risposta in primo grado di NOME COGNOME, secondo cui « il modello unico è liberamente accessibile sul sito dell’agenzia delle entrate e può essere da qualsiasi utente stampato e compilato » (affermazione, questa, con la quale il convenuto aveva negato che la foto copia prodotta dall’attore della dichiarazione dei redditi di RAGIONE_SOCIALE, contenente i dati contabili e la partita Iva dello RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ove operava il NOME, potesse dimostrare il preteso incarico, proprio in quanto agevolmente scaricabile e poi manipolabile);
il primo motivo è inammissibile (più esattamente è un «non motivo»);
non si espone alcuna critica alla sentenza impugnata ma solo si comunica di voler svolgere un’attività istruttoria nel presente giudizio, quasi fosse questo un procedimento aperto all’introduzione di nuove prove relative al merito della controversia, contro ogni più elementare nozione circa la struttura e la funzione del giudizio di impugnazione e di quello di legittimità in particolare;
il secondo motivo è inammissibile sotto più profili;
anzitutto ai sensi dell’art. 366 n. 6 cod. proc. civ. atteso che si omette di indicare il contenuto dell’atto (e di localizzarlo nel fascicolo di causa) nella parte in cui si sarebbe chiesto di dimostrare il fatto sopravvenuto (la comunicazione telefonica in tesi contenente una confessione stragiudiziale), omettendosi in particolare di riportare l’articolazione dei capitoli: da quanto risulta dallo stesso ricorso (v. anche p. 16) e dalla sentenza impugnata (v. p. 3) si può, bensì, desumere che si faccia riferimento all’atto di appello e alla prova per interpello capitolata nelle conclusioni riportate per l’appunto nella parte iniziale della sentenza, il che però non esclude la rilevata inosservanza dell’onere predetto riguardando questo un requisito di contenuto-forma del ricorso;
l’evocazione del principio di non contestazione, con riferimento
alla circostanza in questione, in disparte il rilievo della inoperatività del principio nel giudizio di appello (v. Cass. n. 22461 del 4/11/2015), risulta a sua volta aspecifica non essendo riportate le affermazioni contenute nella comparsa di costituzione dell’appellato da cui tale «non contestazione» dovrebbe desumersi;
la circostanza (ossia la dichiarazione resa per telefono dal COGNOME successivamente alla sentenza di primo grado) risulta comunque espressamente valutata in sentenza come irrilevante perché priva di valore confessorio e, per vero, la sua non decisività emerge dalle deduzioni della stessa ricorrente, che nel penultimo capoverso di pag. 17 del ricorso, la indica non come di per sé dirimente ma (solo) come idonea a consentire «di cogliere nuovi ed illuminanti elementi» «unitamente» ad altri;
è dunque evidente che la censura di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 n. 5 c.p.c. è, con riferimento a tale circostanza, del tutto difforme dal paradigma che, quanto a presupposti e limiti di tale vizio cassatorio, è ormai stabilmente fissato nella interpretazione di questa Corte (v. Cass. Sez. U. 07/04/2014, nn. 8053 -8054), tendendo piuttosto in ultima analisi il motivo a sollecitare una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito non consentita in questa sede (v. Cass. Sez. U. n. 34476 del 27/12/2019);
essa comunque deve ritenersi in radice preclusa, ai sensi dell’art. 348ter , ultimo comma, cod. proc. civ. , dall’avere la Corte d’appello deciso in modo conforme alla sentenza di primo grado (c.d. doppia conforme), non avendo la ricorrente assolto l’onere in tal caso su di essa gravante di indicare le ragioni di fatto della decisione di primo grado ed in cosa queste si differenziavano da quelle poste a fondamento della decisione di appello (v. Cass. 22/12/2016, n.
26774; 6/08/2019, n. 20994; 15/03/2022, n. 8320);
analoghe considerazioni valgono per il terzo motivo;
esso è inammissibile, anzitutto, là dove evoca il vizio di cui all’art. 360, primo comma, num. 5, cod. proc. civ., per la preclusione che, come detto, deriva -ai sensi dell’art. 348 -ter , ultimo comma, cod. proc. civ. ─ dall’avere la Corte d’appello deciso in modo conforme alla sentenza di primo grado (c.d. doppia conforme), non avendo la ricorrente, nemmeno sul punto, assolto l’onere in tal caso su di essa gravante di indicare le ragioni di fatto della decisione di primo grado ed in cosa queste si differenziavano da quelle poste a fondamento della decisione di appello (v. giurisprudenza sopra citata);
il motivo è poi inammissibile, là dove denuncia anche la violazione del principio di non contestazione, ex art. 115 cod. proc. civ., per la palese marginalità dell’affermazione (contenuta a pag. 12 della sentenza, secondo e terzo capoversi) additata come frutto del dedotto error in procedendo e, dunque, la non decisività del vizio (cfr. Cass. n. 22341 del 26/09/2017 e succ. conf.): la doglianza, infatti, si appunta solo su una delle argomentazioni spese in sentenza per negare l’efficacia probatoria della menzionata fotocopia, non risultando invece censurati né il rilievo iniziale de ll’intervenuto disconoscimento della conformità all’originale del documento, né l’ulteriore rilievo secondo cui, a tutto concedere, l’indicazione nel documento in questione (dichiarazione dei redditi) della partita Iva dello RAGIONE_SOCIALE non valeva a provare la riferibilità dell’incarico al COGNOME, persona fisica, data la distinta soggettività dell’associazione professionale;
appare evidente che anche tale motivo tende, in definitiva, a sollecitare, inammissibilmente, una nuova valutazione del materiale istruttorio certamente non consentita in sede di legittimità;
la memoria che, come detto, è stata depositata dalla ricorrente, ai sensi dell’art. 380 -bis.1 , primo comma, cod. proc. civ., non offre
argomenti che possano indurre a diverso esito dell’esposto vaglio dei motivi;
il ricorso deve essere dunque dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna della ricorrente alla rifusione, in favore di ciascuno dei controricorrenti, delle spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo;
va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13;
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano, per ciascuno, nella somma di Euro 5.200, per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P .R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della società ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza