Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 26459 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 26459 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 10/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso 2452-2020 proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato AVV_NOTAIO COGNOME, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1060/2019 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 04/07/2019 R.G.N. 303/2019; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
11/09/2024 dal AVV_NOTAIO. NOME COGNOME.
Oggetto
Avviamento categorie protette
R.G.N. 2452/2020
COGNOME.
Rep.
Ud. 11/09/2024
CC
Rilevato che:
La Corte d’appello di Milano ha respinto l’appello di NOME COGNOME, confermando la sentenza di primo grado con cui era stata rigettata la domanda del predetto, iscritto negli elenchi delle categorie protette, volta ad ottenere la condanna della RAGIONE_SOCIALE all’assunzione e al risarcimento del danno.
La Corte territoriale ha premesso che la RAGIONE_SOCIALE aveva disposto la copertura a tempo indeterminato di cinque posti di coadiutore amministrativo, categoria B, da assegnare al RAGIONE_SOCIALE per l’attività di back e front office, ai sensi dell’articolo 18 della legge n. 68 del 1999; che nel bando era espressamente richiesto il possesso di conoscenze informatiche rapportate alla tipologia di mansione da svolgere; ha accertato che il signor COGNOME si era presentato al colloquio senza il curriculum vitae, datato e sottoscritto, previamente richiesto al fine di valutare le pregresse esperienze del candidato, e nel corso del colloquio aveva mostrato evidenti difficoltà relazionali, al punto da non riuscire a fornire alla Commissione esaminatrice alcun valido elemento da cui desumere il possesso delle conoscenze tecnico-informatiche, la sussistenza di pregresse esperienze formative e professionali e dei requisiti caratteriali – attitudinali necessari per l’attività di sportello CUP, che implica il costante contatto con l’utenza; ha ritenuto che la Commissione, esercitando la propria discrezionalità tecnica, avesse legittimamente giudicato il COGNOME non idoneo a causa della sua grave difficoltà a relazionarsi con terzi e a dare prova delle competenze professionali e informatiche; ha respinto, comunque, le
domande risarcitorie per difetto di prova, di cui era onerato il ricorrente, di elementi atti a far presumere il probabile superamento dell’eventuale prova pratico-attitudinale sulla capacità di utilizzo degli strumenti informatici.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso NOME COGNOME con quattro motivi. La RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Il Collegio si è riservato di depositare l’ordinanza nei successivi sessanta giorni, ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c., come modificato dal d.lgs. n. 149 del 2022.
Considerato che:
Con il primo motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., omessa e insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, per avere la sentenza d’appello giudicato legittima l’esclusione del ricorrente dall’avviamento obbligatorio senza in alcun modo valutare l’idoneità dello stesso a svolgere i compiti connessi alle mansioni cui doveva essere adibito.
Con il secondo motivo è dedotta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., violazione e falsa interpretazione degli artt. 16 e 27 della legge n. 56 del 1987, degli artt. 1, 12, 27 e 32 del d.P.R. n. 487 del 1994, dell’art. 6 del dpcm n. 392 del 1987 , dell’art. 6 del dpcm 27.12.1988, per non avere la Commissione sottoposto il ricorrente ad alcuna prova pratica o sperimentale attinente alle posizioni lavorative oggetto dell’avviamento, escludendolo dalla possibilità di accedere all’impiego pubblico sulla base di mere valutazioni del tutto svincolate dalle mansioni di operatore CUP.
Con il terzo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., violazione o falsa applicazione dell’art. 18, comma
2, della legge n. 68 del 1999 e degli artt. 27 e 28 del d.P.R. n. 487 del 1994, per non avere la sentenza considerato che il lavoratore avviato ha un diritto soggettivo all’assunzione e che gli uffici competenti sono chiamati a svolgere una mera attività di certazione, che non comporta l’esercizio di una vera e propria discrezionalità amministrativa; che il rifiuto dell’assunzione può dirsi giustificato solo se il datore di lavoro dimostra l’impossibilità di un utile collocamento del lavoratore nella propria struttura o se il soggetto avviato non abbia attitudini corrispondenti alla categoria professionale indicata dal datore; che nel caso di specie la RAGIONE_SOCIALE non ha fornito alcuna allegazione e prova atta a dimostrare il mancato possesso, da parte del ricorrente, delle attitudini richieste in relazione alla categoria professionale indicata dal datore di lavoro.
Con il quarto motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., violazione o falsa applicazione degli artt. 1223, 1226 e 1227 c.c., assumendosi che, se l’Amministrazione avesse operato nel rispetto delle norme che disciplinano l’avviamento obbligatorio, il lavoratore avrebbe certamente conseguito l’impiego di operatore CUP, con probabilità pari al 75% (come affermato dal Tribunale di Pavia nella sentenza 430/2016 pronunciata in analoga controversia), tenuto conto delle pregresse esperienze lavorative e del suo livello di scolarizzazione, superiore a quello richiesto per la posizione lavorativa di addetto allo sportello unico delle prenotazioni; si aggiunge che nella fattispecie per cui è causa è certamente configurabile il danno da perdita di chance.
I primi tre motivi di ricorso possono essere trattati congiuntamente per connessione logica. Essi non sono fondati.
Deve premettersi che il COGNOME apparteneva alle categorie protette quale orfano di caduti sul lavoro e che era utilmente
collocato nella graduatoria predisposta dalla Provincia di Pavia per la posizione di coadiutore amministrativo, categoria B, da assegnare al RAGIONE_SOCIALE per l’attività di back e front office.
Come precisato da questa S.C., l’utile collocazione in graduatoria non è requisito esaustivo in quanto il diritto soggettivo all’assunzione del lavoratore, ancorché utilmente collocato in graduatoria, sorge solo all’esito del completamento del procedimento, cioè dopo la valutazione positiva della prova di idoneità (così Cass. n. 7068 del 2024; n. 31407 del 2021).
Come accertato nella sentenza d’appello, RAGIONE_SOCIALE aveva invitato i candidati a presentarsi per l’espletamento del colloquio muniti di curriculum vitae; il colloquio era finalizzato a verificare ‘eventuali esperienze lavorative pregresse e all’approfondimento delle attitudini/capacità/competenze informatiche possedute’.
Dal verbale redatto all’esito della prova selettiva (trascritto per estratto in sentenza, p. 6, ultimo cpv.), risulta che la Commissione ha espresso un giudizio negativo nei seguenti termini ‘colloquio condotto con molta difficoltà e frammentarietà a causa di una emotività incontrollata. (Il candidato) riferisce di possedere il diploma di ragioniere, della anticipata risoluzione di diversi rapporti di lavoro per mancato superamento del periodo di prova e di essere non occupato da circa 12 anni. Non menziona esperienze di contatto con il pubblico’.
Il ricorrente censura lo svolgimento della prova di idoneità che, a suo dire, sarebbe avvenuta in violazione delle norme legislative e regolamentari per essersi la Commissione esaminatrice limitata al colloquio e per non aver proceduto alla
prova pratica o sperimentale necessaria ai fini dell’espletamento delle mansioni oggetto di avviamento.
15. Ai sensi dell’art. 16, comma 1, della legge n. 56 del 1987, ‘Le amministrazioni dello Stato anche ad ordinamento autonomo, gli enti pubblici non economici a carattere nazionale e quelli che svolgono attività in una o più regioni, le province, i comuni e le unità sanitarie locali effettuano le assunzioni dei lavoratori da inquadrare nei livelli retributivo-funzionali per i quali non è richiesto il titolo di studio superiore a quello della scuola dell’obbligo, sulla base di selezioni effettuate tra gli iscritti nelle liste di collocamento ed in quelle di mobilità che abbiano la professionalità eventualmente richiesta e i requisiti previsti per l’accesso al pubblico impiego. Essi sono avviati numericamente alla selezione secondo l’ordine delle graduatorie risultante dalle liste delle circoscrizioni territorialmente competenti’.
16. L’art. 27 del d.P.R. n. 487 del 1999, nel disciplinare le selezioni da eseguire a seguito della ricezione delle comunicazioni di avviamento, attraverso ‘prove di idoneità’, statuisce, al comma 2, che ‘La selezione consiste nello svolgimento di prove pratiche attitudinali ovvero in sperimentazioni lavorative i cui contenuti sono determinati con riferimento a quelli previsti nelle declaratorie di area o categoria dei comparti di appartenenza od eventualmente anche del profilo definito dalle singole amministrazioni e comunque con riferimento ai contenuti ed alle modalità stabilite per le prove di idoneità relative al conseguimento degli attestati di professionalità della regione nel cui ambito ricade l’amministrazione che deve procedere alla selezione, ai sensi dell’articolo 14 della legge 21 dicembre 1978, n. 845’. Il successivo comma 3 aggiunge che ‘La selezione deve tendere
ad accertare esclusivamente l’idoneità del lavoratore a svolgere le relative mansioni e non comporta valutazione comparativa’.
Il profilo professionale per il quale il candidato doveva essere valutato, coadiutore amministrativo, categoria B, da assegnare al centro unico prenotazioni (CUP) per l’attività di back e front office, prevedeva l’attività di sportello e quindi il contatto con il pubblico.
Sul contenuto delle prove di idoneità occorre rilevare come la norma regolamentare (art. 27, comma 2, d.P.R. n. 487 del 1994) richiami espressamente le declaratorie contrattuali e il profilo come definito dalle singole amministrazioni, quindi, la qualifica e le mansioni che il candidato avviato al lavoro dovrà svolgere e in relazione alle quali dovrà essere vagliata la sua attitudine, come peraltro espressamente statuito dal terzo comma del citato art. 27.
Con specifico riferimento alle modalità della prova di idoneità al cui superamento è subordinato il rilascio dell’attestato, questa Corte ha sottolineato come la prova pratica richiesta, a differenza di una prova teorica, è finalizzata a valutare non il grado di conoscenza astratta dei principi di una determinata disciplina, bensì la capacità di assumere in concreto comportamenti necessari in un determinato contesto; ha aggiunto che tale capacità (pratica) può essere verificata anche attraverso una prova scritta, di per sé non incompatibile con il carattere della praticità, atteso che il discrimine tra teoria e pratica è dato, in tale tipo di prova, dal contenuto delle domande formulate e delle risposte richieste (v. Cass. n.15223 del 2016; n. 22907 del 2022; n. 23875 del 2022; n. 5653 del 2024; n. 7068 del 2024).
Più esattamente, nelle pronunce appena richiamate, si è sottolineato come ‘la norma regolamentare nel contrapporre
alla “prova pratica” la “sperimentazione lavorativa”, esclude la sovrapponibilità delle due diverse forme di verifica della idoneità, sicché non richiede che il giudizio sia necessariamente espresso all’esito di una prova che comporti il concreto espletamento delle mansioni ricomprese nel profilo professionale. In altri termini la “prova pratica” è ontologicamente diversa dalla “prova manuale” e si contrappone a quella teorica, perché è finalizzata a valutare non il grado di conoscenza astratta dei principi di una determinata disciplina, bensì la capacità di assumere in concreto i comportamenti necessari in un determinato contesto’ (v. in tal senso Cass. n. 15223 del 2016, p. 9, penultimo cpv.).
La prova pratica quindi, a prescindere dalle concrete modalità con cui è svolta (forma scritta, colloquiale ecc.), deve essere tale da consentire di verificare, non le conoscenze teoriche e astratte dei principi di una determinata disciplina, bensì la concreta capacità del candidato di assumere i comportamenti necessari nei diversi contesti legati allo svolgimento delle mansioni.
A tali principi di diritto si è attenuta la sentenza d’appello nella parte in cui ha giudicato legittimo lo svolgimento della prova attitudinale consistita, secondo quanto riportato nel verbale della Commissione, in un colloquio diretto a verificare il possesso delle pregresse esperienze lavorative e dei requisiti indispensabili per lo svolgimento di un’attività a contatto con il pubblico. Da tale colloquio, secondo quanto accertato dai giudici di appello, è emersa ‘una grave difficoltà (del candidato) a relazionarsi con i membri della commissione e a dar prova delle proprie competenze professionali ed informatiche” (sentenza p. 7, terzultimo cpv.). L’esito negativo del colloquio (prova pratica) ha reso superfluo lo svolgimento della prova ‘manuale’ o
‘sperimentale’, da eseguire mediante l’utilizzo degli strumenti tecnici, come il lettore laser per codici a barre, il computer e la stampante.
Le censure mosse dal ricorrente in ordine al mancato espletamento della prova manuale o sperimentale investono la valutazione in concreto compiuta dalla Commissione e non integrano, da questo punto di vista, il vizio di violazioni delle norme di legge invocate.
La conferma della sentenza impugnata e del suo percorso argomentativo rende evidente l’insussistenza del vizio motivazionale oggetto del primo motivo di ricorso.
L’infondatezza dei primi tre motivi porta a ritenere assorbito il quarto motivo, sul diritto al risarcimento del danno da perdita di chance.
Per le ragioni esposte il ricorso deve essere respinto.
La regolazione delle spese del giudizio di legittimità segue il criterio di soccombenza, con liquidazione come in dispositivo.
Il rigetto del ricorso costituisce presupposto processuale per il raddoppio del contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 (cfr. Cass. S.U. n. 4315 del 2020).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 2.500,00 per compensi professionali, euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato
pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.
Così deciso nell’adunanza camerale dell’11 settembre 2024